Il potere e la gloria

«Resta esperienza di eccezionale valore l'avere imparato a guardare i grandi eventi della storia dal basso, nella prospettiva degli esclusi, dei sospetti, dei maltrattati, degli impotenti, degli oppressi e dei derisi, in una parola, dei sofferenti» (Bonheffer).
Sabato 10 giugno ore 21, al campo della pace in Darsena presso la chiesetta del porto, circa 250 persone tentavano di sostenere con la povertà della voce e del canto le ancora giovani ed esili spalle degli studenti Cinesi coraggiosi e consapevoli «benché la morte sia per noi un fardello troppo pesante, noi dobbiamo andare perché la storia ce lo chiede».
Al di qua e al di là del molo le auto stanno smottando la noia verso un mare inquinato e una passeggiata spocchiosa. Nella Burlamacca la luna tenta di ricoprire amorosamente con il suo splendore l'abbuffata quotidiana di inquinamento di un'umanità assatanata di benessere e di comodità.
Fra i platani si stagliano i tre del monumento delle «paure» (intuizione di un popolo: l'esercito e la guerra sono sempre paure) che freneticamente e angosciosamente tendono le mani verso la fiaccola della libertà. Seguivo i canti dell'internazionale, la lettura del testamento degli studenti cinesi, la cronaca dell' agonia. Sullo schermo si susseguivano come ferite al cuore le immagini di una fraternità mancata: quei giovani soldati mal si adattavano ad un servizio militare che dicono dovrebbe essere «per una sua natura, una cosa molto degna, molto bella, molto gentile». Pensavo che l'autentica guida di ogni uomo è la propria coscienza, la propria personalità la possibilità di vivere i propri ideali... ieri come oggi.
Nella vita di ognuno vi sono delle scelte decisive e categoriche, amore e disamore, in cui tutto di se stesso deve essere compromesso. Noi europei rimaniamo scandalizzati per quello che avviene oggi nell' Asia, in Africa, nell' America Latina ma cosa vi abbiamo fatto noi al tempo del colonialismo? Eppure in quegli anni bui e terribili - autentici massacri per una sete di potere e di ricchezza - vi furono degli uomini che dissero no con la parola e con la vita, ostinati non «piegarono costa» e scelsero la via della solitudine.
I giovani studenti cinesi in questa notte hanno risvegliato le nostre coscienze assonnolite ed hanno riacceso questa fiaccola della libertà zavorrata e affossata da troppe retoriche da inutili ghirlande e da vuoti discorsi celebrativi.
1889-1989... Un centenario, due uomini, due scelte di vita.

Reale filibustiere
E.D. Morel un uomo da non dimenticare per la sua purezza di cuore, nel suo lavoro di impiegato in una società di Liverpool apprese gli orrori commessi da re Leopoldo nel Congo: per renderli pubblici dovette sacrificare il posto e la tranquillità. Solo e testardo... a poco a poco sollevò l'opinione pubblica mondiale, a dispetto di tutti i governi europei, e riuscì ad imporre una riforma in Africa. Tutto il rispetto che si era guadagnato nel corso della sua azione umanitaria a favore degli indigeni congolesi lo sacrificò al pacifismo durante la prima guerra mondiale. Fu messo in prigione. Visse fino a poco dopo la formazione del primo governo laburista, dal quale Mac Donald lo escluse nella speranza di far dimenticare il proprio passato pacifista. Questo modesto e tenace campione dei diritti umani attirò l'attenzione dello scrittore M. Twain sulla questione del Congo: per l'umorista americano, innamorato della libertà ribelle contro la tirannia e ingiustizia, la santità delle capanne di una razza primitiva è, agli occhi di Dio, altrettanto inviolabile quanto quella di un palazzo principesco, anzi forse di più perché più debole.
Re Leopoldo II, personalmente e lui soltanto, è stato ed è l'amministratore del territorio congolese fin dal 1885. Sue tutte le facoltà legislative giudiziarie esecutive e finanziarie. Non ha controlli, non ha freni di alcun genere. Il suo governo è complice, il popolo belga ingannato gode di un benessere strappato dalla pelle dei poveri africani. Il personale coloniale è belga, burattini e ruffiani pagati dal re: obbedire o andarsene. Colpevoli e conniventi per molti anni di un vasto e criminale sistema di oppressione tutti hanno paura e approvano... fra questi un certo numero di sacerdoti cattolici ed il cardinal Gibbons. Il più alto indice di spopolamento provato direttamente o indirettamente dall' amministrazione di re Leopoldo ammonta a tre milioni di persone (su 15 milioni di abitanti) negli ultimi 10 anni. Gli indigeni ai missionari - considerati i soli amici che hanno - raccontano i propri guai, mostrano le cicatrici e le ferite inflitte dalla polizia coloniale. Uomini donne bambini alzano i moncherini e si lamentano di aver avuto le mani mozzate come punizione per non aver raccolto abbastanza gomma nella foresta. Villaggi bruciati, donne violentate o crocifisse, bambini uccisi col calcio del fucile per non sprecare munizioni. Tutto doveva essere fatto per spillare denaro, sempre più denaro... in cambio fame, terrore, disperazione, schiavitù massacro. Gli affari sono affari per questo re = dio senza spina dorsale pregato da milioni di sciocchi! «In fondo è proprio la razza umana che ci sostiene e ci protegge, a noi re. Essi sono il nostro amico sincero, baluardo, la fortezza nostra e per questo io sono loro profondamente grato... ma non li rispetto».
Questo re assetato d'oro disgusta, suscita disprezzo: la sua sete è assurda e oscena, fa vergogna. Ecco perché non fa cessare il cupo dramma di un popolo, non solo non restituisce agli indigeni i diritti sulla propria terra e sui prodotti della terra ma calpesta i loro diritti umani e la loro dignità umana ed intanto posa, re Leopoldo, da benefattore della chiesa, colonna della fede cristiana, mecenate delle arti e delle scienze. Lui ha solennemente dichiarato che la spinta principale alla sua impresa africana è stato il desiderio di promuovere la rigenerazione morale e materiale dell'indigeno congolese! Da questi enormi profitti segreti che egli trae dalla indicibile miseria dei negri sono costruite costose cappelle private, grosse somme di denaro vengono date ad alcuni ordini religiosi o devolute all'arte e alle lettere! Da un libro di testo scolastico:
«Durante la guerra del '70 seppe far rispettare la neutralità belga. Nel 1895 non si oppose alla riforma democratica della costituzione. Fu suo merito aver finanziato la spedizione e la colonizzazione del bacino del Congo (1884) e aver fondato il regno del Congo, prima sua proprietà privata, poi da lui ceduto allo stato belga come colonia nel 1889».

Sporco e ostinato
Contemporaneo e suddito di re Leopoldo lo era Damiano de Veuster nato a Tremeloo: ragazzo comune, religioso comune, un prete comune. Ma si assunse un compito che nessun' altro voleva: la cura di una colonia - prigione di malati di lebbra nell'isola di Molokai, nell' arcipelago delle Hawaii. Padre Damiano, missionario «un'anima ardente, una grande volontà, due occhi aperti e sereni, due braccia spalancate, due mani pronte, due orecchie attente, due piedi solleciti, ma specialmente un grande cuore; sì un cuore immenso, universale, umile, comprensivo ed amoroso, che si muove in un mare di sincerità; un cuore che piange, ride soffre e canta, una voce, una strada, un incontro un dono di Dio per l'umanità» (P. Celio).
100 anni fa a Molokai chi era colpito dalla lebbra, la malattia più terribile e infettiva del mondo, vi veniva inviato come forzato e vi viveva solitario e disperato. L'unico modo per bloccare la diffusione della malattia era quello di tenere i malati lontani dalla gente sana. Nessuno si interessava di ciò che accadeva ai malati, portati sull'isola: «lontano dagli occhi lontano dal cuore». I malati, strappati dalle loro case dalle loro famiglie e dai loro amici, si abbandonavano spesso al dolore e alla disperazione al punto che opponevano resistenza per non essere scaricati nelle barche che li traghettavano dalla nave all'attracco. Allora venivano lanciati fuoribordo perché raggiungessero la riva come potevano o annegassero.
Chi sbarcava trovava un mondo dominato dal principio satanico «in questo posto vale la legge del più forte» e non ci sarebbe stata una via d'uscita... se non la morte!
L'l1 maggio 1873 padre Damiano sbarca a Molokai. Aveva 33 anni, quello che vide lo riempì di terrore. Le persone erano sporche e sfigurate: in molti casi la malattia era avanzata e le mani e i piedi erano ridotti a monconi. Assomigliavano più a orribili fantasmi che a uomini e donne. Vi-sitando il villaggio il più difficile da sopportare era il terribile odore che emanava dalle capanne. Tutto era sporco e mal ridotto. La gente aveva perduto ogni amor proprio ed ogni speranza che le cose potessero un giorno cambiare. Padre Damiano non aveva niente. Non c'erano medicinali e non c'erano cure: aveva bisogno di tutto e diede inizio ad una lunga battaglia per cui sarà chiamato «l'uomo di Molokai che vuole sempre qualcosa e continua a scocciare finché non la ottiene». Mentre aspettava le risposte, faceva ciò che poteva con ciò che aveva a disposizione. Lavorava al doppio degli altri assisteva i fratelli e le sorelle li teneva per mano li confortava, li faceva sentire nuovamente esseri umani. Tutto questo per 16 anni... da solo. «Ci circonda delle sue sollecite e virili cure e costruisce da solo le nostre case. Quando qualcuno di noi è malato gli porta tè, biscotti e zucchero, e dà ai poveri di che vestirsi. Non fa distinzioni di religione».

Colpito dalla lebbra camminò su questo calvario per quattro anni... rifiutò fino all'ultimo di mettersi a letto, si faceva portare in giro per il villaggio su un carretto ma dava sempre consigli e incoraggiamenti col filo di voce che gli era rimasto, felice di vedere i suoi amici e i progressi che ve-nivano fatti. La sua morte il 15 aprile 1889 a 49 anni, fu silenziosa e tranquilla come di un uomo molto stanco e contento di sprofondare in un lungo pacifico sonno. Lo seppellirono sotto l'albero di pàndano dove aveva dormito la prima notte, quando ancora tutta la battaglia era davanti a sé. Uno sciograto ministro del culto, reverendo Hyde, scrisse su p. Damiano «la verità è questa; era un uomo rozzo, sporco, ostinato e bigotto». Così gli rispose L. Stevenson, il famoso poeta-autore dell'Isola del tesoro: «Sporco? Lo era, ma il pulito Dott. Hyde se ne stava ben pasciuto nella sua bella casa. Ostinato? Damiano era ostinato, credo che lei abbia nuovamente ragione; e io ringrazio Dio della sua ostinazione di testa e di cuore» .
...a due passi dal monumento delle paure, si proietta nel fosso della Burlamacca una lapide, non so se a onore e gloria del popolo viareggino, una lapide che dice:
«Il popolo a Guglielmo Oberdan morto santamente per l'Italia terrore e ammonimento rimprovero ai tiranni di fuori e ai vigliacchi di dentro. 1882»
100 anni fa: è tutto così attuale!


Rolando


in Lotta come Amore: LcA luglio 1989, Luglio 1989

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