Persone impigliate nella storia

Nel febbraio scorso, a Viareggio, in occasione del I° anniversario della morte di Sirio, tra le altre cose c'è stata una assemblea intensamente partecipata e carica di commozione.
Le persone raccontavano frammenti di vita, episodi, ricordi, interpretazioni. Erano narrazioni, fatte dalla gente più varia, di quella parabola che è stata la vita di Sirio. E nelle parabole, anche in quelle di chi si dichiarava ateo, c'era come uno squarcio di trascendenza, un riferirsi a qualcosa di grande, di indicibile, che superava la vita e la morte di Sirio, ma proprio nella sua vicenda umana aveva in qualche modo preso corpo per svelarsi.
Perché tanta gente eterogenea, ricreando attraverso il linguaggio e la comunicazione quella parabola storicamente conclusa, percepiva ed annunciava un «quid» di incondizionato, di assolutamente giusto? E questo, si badi, proprio richiamando le cose più semplici, più quotidiane, legate a frammenti di vita: il lavoro, la tenerezza, il significato della divisa, una donna gravida come stimolo positivo della pace...
Forse la connessione di questi eventi (quello di Sirio e quello linguistico di chi raccontando e ascoltando ricrea la parabola) enuncia qualcosa di profondo, la cui valenza può essere meglio percepita accostandoci al vangelo.
Sappiamo che il messaggio centrale di Gesù si concentra sull'evento del Regno di Dio.
«Regno di Dio è un' espressione per Dio stesso, più precisamente: per l'essere di Dio che è attivo nell'orizzonte del mondo che cambia radicalmente il mondo. Il regno di Dio è l'atto di maestà di Dio, con cui questi si impone di fronte al mondo» (Jungel E., Dio mistero del mondo, Brescia 1972, p. 459).
Nella vicenda di Gesù, oltre che ai gesti di liberazione, la comunicazione di questa lieta no-tizia viene affidata alla narrazione delle parabole. Ora ciò che stupisce in questi racconti è il loro carattere terreno, mondano. Il seme gettato, il lievito e la farina, la costruzione della casa sulla sabbia o sulla roccia, la vendita di tutto perché si è trovato un tesoro nel campo... La forza della comunicazione è affidata ad una ovvietà interna, mondana.
È ovvio a tutti che un pugno di lievito fermenta una più grande quantità di farina, come pure che il seme cresce anche di notte...
Insomma, questo è il punto, l'annuncio del regno di Dio, cioè quella signoria sulla storia e sul mondo che per Gesù è realtà assolutamente ovvia, ottiene uno svelamento proprio attraverso una ovvietà di carattere mondano: viene così stabilita una importante connessione e corrispondenza.
Così «la parabola, benché parli il linguaggio del mondo, parla al contempo in verità e propriamente di Dio» (Jungel, p. 385). Ma c'è di più: è la stessa umanità di Gesù che è parabola di Dio, manifestandolo con il suo venire a noi incondizionato e definitivo.
La sua vita e la sua morte raccontano l'umanità di Dio la quale, esprimendosi come piena dipendenza dalla signoria di Dio quale potere di vita, entra in contraddizione con le dominazioni di morte presenti nel mondo.
In quest'uomo ucciso viene a stabilirsi una singolare connessione e corrispondenza con quella umanità che è vittima dei poteri di morte presenti nella storia. Inoltre «Dio si è identificato con la vita vissuta da questo morto» (Jungel, p. 471). Il kerigma della risurrezione è la narrazione che il risorto è quel crocifisso.
Così si può dire che «l'umanità di Dio si introduce nel mondo narrando. Gesù narrava con parabola di Dio, prima di essere egli stesso annunciato come parabola di Dio» (p. 394).
Ci sembra che in questi spunti, appena accennati, ci siano delle profonde provocazioni che è doveroso cogliere: la parabola come evidenza mondana che lascia trasparire l'evento del regno; Gesù che narra parabole è lui stesso parabola di Dio che deve venir narrata; la mondanità delle parabole e l'umanità di Dio come vie di accesso al mistero del suo venire; la contraddizione interna al mondo ed alla storia umana 'messa in luce dal risorto in quanto crocifisso.
Il nostro inserimento nella condizione laica e mondana del lavoro ci ha particolarmente sen-sibilizzati su un interrogativo che, almeno per il mondo occidentale, mantiene una sua forza: come è possibile parlare di Dio? Se è vero che «dove si parla, a parlare sono persone impigliate nella storia» (Shapp), non abbiamo un potenziale di vita compromessa, e quindi di esperienza preziosa, per esprimere narrazioni?
dalla RELAZIONE INTRODUTTIVA
al Convegno dei Pretioperai 1989
Gianni Alessandria e Roberto Fiorini


in Lotta come Amore: LcA luglio 1989, Luglio 1989

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