Radici e Ali

Nel prepararmi a questo incontro ho detto ad un caro amico qui presente: «Mario, fammi un disegno che rappresenti due cose: radici e ali». Perché io parlo volentieri per metafora e le radici e le ali per me hanno un grande significato nella vita di un uomo. Il passato - guai se lo distruggiamo - ma anche il futuro, il sogno, è altrettanto importante.
Ecco che allora ritengo davvero che misconoscere, dimenticare, addirittura distruggere il passato sia un rischio terribile per ciascuno di noi. Sarà solo una sensazione mia personale - non siete mica obbligati a credere a tutto ciò che diciamo - ma trascurare il passato vuol dire non aver la possibilità di cominciare il presente. Vuol dire qualche volta cadere in prostrazioni grandi e sfiducia e vuole dire trovare molte difficoltà a progettare il futuro.
Ecco perché allora queste radici che, per me, in questo momento, ricordano che Sirio ha funzionato come radice, radice di una scelta, radice di un cammino, radice di una posizione da tenere nella vita.
Una delle radici grosse, una delle realtà grandi che da lui ho appreso, è l'amore. Sirio era un innamorato.
Mi spiace di dover usare questa parola perché è diventata talmente ambigua, talmente carica di banalità, ma d'altra parte non ce n'è un'altra.
Sirio era un innamorato di Dio.
Nella preghiera, quest'uomo aveva delle genialità, delle trovate, degli slanci altissimi. Ed era un innamorato delle persone.
Sono, credo, le vene più profonde che l'hanno alimentato.
Ritengo, peraltro, che sarebbe un guaio profondo per noi cadere in un'ora sola della vita in cui dentro nasce la certezza di non poter più amare, o che non si è più amati. Perciò l'insignificanza, perciò la pazzia, perciò la voglia del suicidio. Innamorarci è una cosa grande! Ecco perché mi pare di aver captato in Sirio questo: ha visto un problema, da giovane, e si è tuffato dentro: è il problema della Chiesa, della Fede, dell'uomo, della sua impostazione di vita nuova, del credere in un mondo che cambia... Non sto a dire quali sono state tutte le cose. Io ho captato questo da lui.
E si è buttato dentro queste cose perché un conto è guardare e un conto è vedere, un conto è leggere e un conto è sperimentare. Oserei dire, un conto è guardare i poveri e chi lavora, chi soffre, chi lotta, dai vetri della Chiesa e un conto è guardare la Chiesa stando dalla parte dei poveri e ma-sticando la vita come la vita si presenta. Sono cose ben diverse. E credo che queste realtà assunte da lui, assunte da chi le assume, e confrontate nella fede, credo che l'abbiano fatto prendere coscienza delle sue radici. Cioè di ciò che l'alimentava e lo spingeva, di ciò che non lo lasciava in pace, per fortuna.
Con l'amore e con il problema assunto, ho captato un'altra cosa: la resistenza sua. O se volete, con un'altra immagine, la testardaggine di un uomo. Crapa più dura di un mulo di pace, perché mulo di guerra non posso dirlo a Sirio! Un testone davvero con le sue idee, per fortuna!
È ciò che qualifica gli uomini che credono in un cammino da intraprendere. Dico ora dei nomi, ma così, giusto perché rotolano sul tavolo. Qualcuno lo conosco meglio perché vengo dal Piemonte, qualcun altro di meno, ma non importa. L'altro giorno ero in un paesino del Monferrato dove è nato un collegio di salesiani. Non faccio questioni critiche; niente. Sapete perché don Bosco era stato sospeso, cioè preso a calci dietro dal suo Arcivescovo, e aveva dovuto andarsene. Non sono a far delle disquisizioni se era bene o se era male; parlo della cocciutaggine! Per esempio, sono a poca distanza dal Cottolengo: questo povero meschinetto preso in giro da tutti e che resisteva nella strada che aveva intrapreso. Ricordo un fatto stranissimo - ma non voglio far credere che esisteva un'unica rotaia! - di don Orione che chiamato dal suo Vescovo che gli disse: «tu devi far questo»:
E quest'uomo grintoso che dice: «io oggi obbedirò, ma domani mattina sarò qua davanti all'altare dove Lei dice la Messa perché Lei è in peccato mortale»: Bisogna pensare a questo tipo di linguaggio usato una cinquantina d'anni fa.
Ma insieme a questi, io potrei aggiungere cento nomi, e, comunque, io l'ho conosciuto così nella sua cocciutaggine di uomo che ha scelto una strada e nonostante tutto va avanti. Con delle rilevanze liete o meno, ma nonostante tutto tira avanti. L'ho conosciuto così e questo mi ha dato la gioia, credetemi, o meglio, coraggio in certi momenti ed altri stati d'animo che sono utili per vivere.

Questo per quanto riguarda le radici. Ho detto poi di aver chiesto al mio amico di disegnare delle ali. Che significato hanno per me? Son convinto che voi conoscete il mondo in cui vivete. Allora pongo una domanda: chi tra voi, nonostante tutto, crede ancora e spera ancora di poter cambiare se stesso e di poter cambiare il mondo nell' ampio spettro della politica, dell' economia, della storia?
Questo è un uomo che ha osato. Un uomo che imposta la lotta ogni giorno, che non si ferma, che, nonostante tutto, le prende, ricomincia e avanti.
Non so se conoscete - io l'ho imparato in Francia -, ecco, è un gioco.
Lo chiamano «spingi-spingi»: un giochetto molto strano e con significanza molto chiara. Si tratta di un grande rettangolo suddiviso in tanti piccoli quadrati tanti quanti le lettere dell' alfabeto più uno. Le lettere dell' alfabeto sono in quadretti movibili: un quadretto rimane vuoto, ed è possibile giocare perché quel quadretto rimane vuoto. Diversamente non giochi. Com'è possibile comporre una lettera se manca il vuoto? Ma tutte le volte che sposto una lettera e riempio quel vuoto, ne creo un altro. E il gioco non è mai finito perché c'è sempre un vuoto, c'è sempre un oltre, c'è sempre qualcosa che ci chiama, una lacuna che ci provoca, che ci spinge, che ci lascia inquieti.
Penso davvero che Sirio era un uomo inquieto. Era un uomo che aveva una grande pace dentro ed insieme un grande tormento. Sembrano contrastanti le due cose, ma non lo credo, assolutamente. Questo vuoto lo chiamo bisogno, lo chiamo desiderio, lo chiamo sogno, lo chiamo «ali». E un portare avanti il palo dove abbiamo posto l'alt dell'esistenza. C'è un oltre al quale bisogna arrivare. Sicché io e voi abbiamo bisogno di essere accolti, dell' amicizia, del comunicare, di tante cose abbiam bisogno. Quando abbiamo tutto questo c'è ancor bisogno, c'è ancora un vuoto da riempire!
Perché mi sono fermato a questo esempio? Perché qualche volta io temo che, per evitare lo sforzo della creatività, scegliamo la ripetitività. Essa ci lascia più tranquilli perché ormai ha la firma di qualche persona che ci ha gratificato, delle leggi e decreti che ci dicono che viaggiamo sul sicuro. Qualche volta anziché le parole autentiche preferiamo chiacchierare molto e in realtà dire niente.
Allora, se i desideri e i sogni non son mai appagabili, io ho visto il Sirio sognante, e non una volta sola. Con lui ho condiviso, in certi momenti, determinati lavori, e diviso il sogno, le ali, il desiderio. Lui sentiva il vuoto, questa lacuna davanti, ed era un uomo che non aveva timore di fare il passo, di fare un tentativo. Specialmente quando, ritengo, questa lacuna assume questa significanza: il richiamo dell'infinito - interpretatelo come volete - o il richiamo della persona umana. Perché l'energia sulla quale quest'uomo giocava, mi par d'aver capito, era questa.
Allora si è stimolati ad andare sempre più lontano. Io credo che ad una certa ora della vita siam tutti figliol prodighi, perché di ciò che abbiamo non abbiamo abbastanza, perché desideriamo altro, perché - mi ha lasciato capire molte volte - quello che ha avuto nella vita, le promesse che gli han fatto, le sicurezze sulle quali poteva contare, non gli erano sufficienti. E questo grazie a... non lo dico nemmanco... né a lui, né a Dio, né a voi, né a me. Mi pare di aver capito questo da lui che è stato per me una violenza nello spirito, ma una violenza salutare.
Io credo per questo Sirio ha lottato, ha lottato perché gli occhi dei fratelli lo provocavano e il cielo stellato, il mare, o altre cose lo provocavano. Per lui avevano una significanza che andava oltre l'acqua o allo scintillar delle stelle.
Ed uno dei tesori che io ho raccolto e che tento di tenere dentro non per custodirlo come una perla, - a me le perle servono niente. Lavoro nei campi per cui seminandole so che non nascono nemmanco -, ma tento di tenerla dentro perché serve e che oggi, senza nessuna presunzione, credo, ho proposto. (Testo registrato, non corretto)


don Gino Piccio


in Lotta come Amore: LcA luglio 1989, Luglio 1989

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