Dalle Ande agli Appennini

Forse avrei potuto riferirmi ad un «titolo» più recente, ma la memoria è subito andata un po' più lontano nel tempo per raccontare l'incontro con un giovane «campesino» dell'Ecuador che è passato da Viareggio alla fine di maggio.
Un incontro molto semplice, con un «amigo» venuto da molto lontano: non solo per la distanza geografica, ma soprattutto per una storia di popolo così distante dalla nostra realtà, dai nostri problemi quotidiani.
Dalfìn Tenesaca è arrivato in Italia come «inviato speciale» del SERPAJ dell'Ecuador, una organizzazione di base che svolge un lavoro di promozione umana, culturale, sociale del popolo campesino in molti paesi dell' America del Sud. Il «Servicio Paz y justicia» (SERPAJ) ci ha fatto il dono molto bello di incontrare nella persona di Delfìn, campesino della Diocesi di Riobamba, un popolo carico di una storia secolare di umiliazioni e sofferenze, ma anche tenace e coraggioso, che ha resistito alla colonizzazione ed alla conquista europea mantenendo la propria identità culturale ed i valori profondi della propria tradizione. Cultura e tradizione «antiche come le montagne» della Sier-ra andina, bruciata dal sole e spezzata dal vento e dalle piogge torrenziali. Una terra povera di acqua, rallegrata con fatica dal verde dell'erba ma soprattutto sfruttata al massimo dal grande latifondo terriero che per secoli ha preteso un assoluto dominio su di essa e sui suoi stessi abitanti indigeni. E soprattutto intorno al problema della distribuzione delle terre che si concentra lo sforzo di molte comunità cristiane: partendo da un metodo di lotta popolare nonviolenta, si tende a fare pressione sulle autorità governative perché il popolo campesino ottenga il diritto di lavorare quella «tierra madre» che rappresenta la sostanza stessa della vita.
Eravamo un piccolo gruppo di amici riuniti per vedere qualche diapositiva che Delfìn ha illu-strato in modo estremamente essenziale, ma sufficiente a farci «comprendere e condividere» (se pure per pochi momenti) un cammino di liberazione, di affermazione limpida della propria dignità da parte di un popolo oppresso dal dominio della «civiltà bianca», mai interamente piegato. La parola di Dio ha trovato cuori e menti disposte ad accoglierla con trasparenza e pienezza di significato: il Vangelo appariva nelle parole di Delfìn come lievito capace di forzare una massa secolare di umiliazioni e soprusi, grazie anche ad uomini coraggiosi (come mons. Proano, vescovo di Riobamba) cha hanno cercato di tessere con molta pazienza e tenace fedeltà la trama di una rete di rapporti nuovi fra le varie popolazioni indigene aiutandole a prendere coscienza, in nome del Dio Liberatore, dei propri diritti e dei valori della propria storia millenaria.
Questo incontro è stato davvero ricco di significato e di profonda amicizia: una vera comuni-cazione di vita, di speranza, di fiducia nel domani, di utopie e di segni che possono diventare realtà concreta e storicamente sperimentabile.
Mi ha rallegrato ed impressionato il fatto di aver potuto intravvedere l'enorme forza liberatrice del Vangelo annunciato ai poveri e da essi coraggiosamente raccolto. Quasi una «riscoperta» di ciò che da tanti anni ho creduto dal profondo del cuore e dell' anima, ma che in questo nostro mondo occidentale è davvero difficile, a volte, riuscire a percepire in modo evidente e immediato.
La sorgente d'acqua viva che emerge con forza da cammini sotterranei chissà quanto lunghi e tormentati; il fuoco che all'improvviso scaturisce dalla pietra; un fiore che spunta come per inaspettato miracolo fra la sabbia del deserto.
L'incontro di poche ore con l'amico dell'Ecuador ha avuto per me come un «sapere biblico»: nelle sue parole semplici ho raccolto il grido di giustizia che ogni povero porta con sé da sempre ed insieme una enorme apertura alla speranza che il fiore della pace e della fraternità vera possa fiorire fra le zolle pietrose della terra andina.
Certamente il cammino verso una piena liberazione è molto lungo: non bisogna stancarsi, né arrendersi né lasciarsi sopraffare dalle mille ragioni dell' evidenza. Il viaggio dei popoli poveri ed oppressi per intere generazioni è sicuramente posto sotto il segno della benedizione di Dio che non può far mancare né il pane né l'acqua necessari per giungere al traguardo.


Don Beppe


in Lotta come Amore: LcA luglio 1989, Luglio 1989

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