Seminatori di speranza

Questi pensieri sono un fraterno e semplice contributo alla ricerca che tutti i gruppi e le singole persone che lavorano nel MIR portano avanti con appassionata ed umile fatica nella direzione di una umanità «riconciliata» per la forza dell' amore di Dio che si fa concreta realizzazione nella fraternità di tutti gli uomini e di tutte le donne disposti ad accoglierlo. Contributo che non ha alcuna pretesa programmatica né tanto meno può essere un documento di natura «politica», anche nel senso più autentico del termine.
Il «genere letterario» con cui deve essere accolto e con cui io l'ho scritto è quello della PARABOLA. «Parabola» intesa nel senso dei racconti di Gesù che i Vangeli hanno conservato e che sicuramente rappresentano un tesoro prezioso, semplice e profondo al quale attingere come sorgente sempre fresca e zampillante. Gesù stesso può essere visto ed accolto come meravigliosa e straordinaria «parabola di Dio» offerta a tutti gli uomini e donne di ogni generazione, perché in Lui è possibile scoprire la Presenza adorabile dell'Amore, della Verità, della Pace, della Giustizia, del Perdono, della Vita piena. Ed anche di quelle radici profonde della Nonviolenza che in Lui acquista i tratti inconfondibili di un Amore alla Verità di Dio e della Umanità che davvero «è antico come le montagne» (Gandhi).
È ad una delle parabole evangeliche che mi è venuto in mente di fare riferimento per aiutarci a scavare un po' in profondità in quelle radici nascoste sotto terra, che non si vedono, non sono per niente appariscenti, vivono e muoiono nel nascondimento, ma senza le quali né il filo d'erba né le sequoie gigantesche possono mantenersi in vita.
La parabola è quella del seminatore: «Il seminatore uscì a seminare... ». La conosciamo tutti. Anche se ormai da tanto tempo non si vedono più i contadini lanciare a piene mani, con gesto largo e ritmato sulla cadenza dei passi, il seme del grano, dell'orzo e dell'avena fra le zolle spianate dei campi, mi piace pensare (e non per superficiale spirito poetico) a tutti i membri del MIR come a seminatori pazienti che in modo ancora artigianale vanno lanciando «con le proprie mani» il seme della riconciliazione, della pace, della fraternità, della comunione fra tutte le creature, senza la pretesa che tutti i semi possano sopravvivere, ma con la profonda speranza che qua o là, fra le zolle del grande campo che è la vita, la storia quotidiana, il cuore, la mente, la coscienza, qualche buon seme trovi il terreno adatto a mettere radici, a crescere, a svilupparsi fino alla completa maturazione. Mi piace pensare che noi possiamo essere questi «seminatori di speranza»: speranza intesa come possibilità sempre rinnovata che i rapporti fra le persone, i gruppi, i popoli, riescano a trovare vie nuove di incontro, di comprensione, di aperture, di cambiamento. Mi pare che questo compito-impegno di seminare con fiducia, pur nella fatica e nella stanchezza del cammino, rappresenti ciò che ciascuno di noi e il nostro piccolo «insieme» può realmente significare ed essere.


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Non credo che noi possiamo essere altro da questo: e non per un rifiuto di chissà quali progettualità, organizzazioni, realizzazioni, ecc., ma per una positiva assunzione di un ruolo che pro-babilmente rimarrà sempre come elemento costitutivo di tutte le minoranze che coscientemente si assumono in prima persona l'impegno di testimoniare e proclamare nell'arco della propria vita i valori del regno di Dio, dell' amore e della pace fra le creature, della riconciliazione e del perdono, del superamento dei conflitti, della scoperta e dell' appropriazione di una cultura basata sui principi della nonviolenza, del dialogo, della reciproca comprensione anziché su quelli della forza, della contrapposizione, della violenza.
L'assunzione cosciente di questo compito, evidentemente, non ci dispensa dallo sforzo necessario e doveroso di capire i segni dei tempi, anche se a volte essi non sono facilmente decifrabili.
Ugualmente la consapevolezza di essere «minoranza» - se pure collegata e allargata a dimensione universale con tutte le minoranze sparse lungo il fronte della storia umana - non ci deve dare un senso di frustrazione o di impotenza di fronte al «muro di separazione» che a volte può darci l'impressione della impossibilità a cambiare la storia. Il seminatore ha un compito preciso, che po-trebbe a prima vista sembrare enormemente limitato: egli deve semplicemente SEMINARE. Fra le pietre, lungo i bordi del campo, fra le spine: dovunque. Senza stancarsi, senza arrendersi, senza sgomentarsi: nella certezza che la «buona terra» c'è; che il cuore di pietra può sempre trasformarsi in cuore di carne, in capacità rinnovata di aprirsi alla novità; che gli occhi dei ciechi possano vedere, i sordi udire, gli zoppi camminare e danzare, i morti risorgere a vita nuova.
Portando nel profondo dell' anima questa parabola che può significare molto della nostra vita e del nostro umile ma fedele impegno quotidiano a servizio dell' amore, della verità, della nonviolen-za, noi possiamo cercare di individuare insieme i campi che sicuramente attendono il passo fiducioso di qualche «seminatore folle» che osi rischiare di perdere il suo seme, lanciandolo a piene mani fra le zolle solo apparentemente sterili. Campi vuoti, vergini, forse non ce ne sono; è più facile pensare che si tratti di seminare, magari «di notte», del buon grano fra grandi praterie di gramigna, di «erbacce», rovesciando così un' altra bella parabola di Gesù.
Strappare tutta la «zizzania» (secondo l'antica traduzione dei Vangeli) non solo non è materialmente possibile, ma neppure è compito di cui qualcuno si possa sentire investito. Anche se la storia cristiana è, purtroppo, piena di questi fuorvianti tentativi.
La speranza che invece ci è chiesto di alimentare senza stanchezze è quella del seminatore fedele che continua, nonostante tutto, a spargere il buon seme.
La ragione di questa caparbietà, che potrebbe sembrare sciocchezza, stoltezza o pura follia, sta nella certezza che il seme sparso crescerà, anche quando il seminatore stanco dorme il giusto riposo nella notte. C'è il Padrone del campo che misteriosamente veglia sempre e alimenta le energie che fanno sbocciare la vita nuova.


Don Beppe


in Lotta come Amore: LcA luglio 1989, Luglio 1989

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