Piazza Tienanmen

Vogliamo titolare così questo numero di Lotta come Amore perché, come un piccolo segno, conservi la memoria di un avvenimento sorprendentemente nuovo che il potere, svuotato dal consenso, ha affogato nel solo modo che conosce per potersi perpetuare: nel sangue.
Abbiamo vissuto l'orrore di quei giorni quasi immobilizzati dall'angoscia che ci ha preso quando è stata diffusa la notizia dell'intervento cruento dell' esercito contro i giovani cinesi.
«Non si uccide così la speranza»: il titolo su di un quotidiano ha sintetizzato uno stato d'animo diffuso.
Ma la parola speranza rischia di diluire ed appiattire in un indistinto orizzonte la ricchezza, la varietà di motivi e valori, la vitalità espressa da più di un mese di occupazione della Piazza principale di Pechino.
Ciò che ci disorienta ora - oltre i sentimenti di più ferma condanna per quanto è accaduto e per quanto dal potere mondiale è stato lasciato accadere - è il non avere capito quale potenziale di vita si stava esprimendo in Cina. Come abbiamo potuto seguire passo passo ciò che stava accadendo senza prendere coscienza di un dovere di solidarietà da esprimere prima che la tragedia si compisse. Perché fosse protetta la vita, quella vita nascente.
Perché ciò che è nato a Pechino è un patrimonio che appartiene a tutti: prima e più di una protesta è stato un laboratorio di forme nuove di socialità e di confronto. Crediamo ci sia ancora molto da scoprire e da raccogliere di quello che è avvenuto. E da riflettere sulla nostra capacità di saper gioire per ogni seme di rinascita che anima l'umanità. Stanchezza, delusione, incredulità possono solo in parte spiegare una tardiva presa di coscienza. Ma sicuramente c'entra anche l'aver disattivato delle sensibilità, giustificando questo fatto con il lavoro, la fatica, la semina quotidiana. Con la complessità della storia attuale che non permette di individuare facilmente il nemico, ma neppure l'amico. Con le tante lotte che sembrano non potersi coagulare per cambiare veramente il mondo.
Piazza Tienenman ci richiama, con la violenza di una frustata, a prendere veramente sul serio questo nostro tempo e a viverlo con pienezza, a fronte alta. A misura di umanità. Con cuore universale.
Si tratta di reagire alla saggia misura del buon senso per allargare le braccia alla misura colma e traboccante della parola evangelica. Accettare di riprendere la strada sofferta e difficile di questo mondo in ebollizione andando a capire ciò che sta avvenendo ai quattro angoli di un mondo sempre più piccolo e vicino.
E si tratta anche di vivere con molta più intensità il «qui e ora». Cercare di proteggere, di custodire e sviluppare all'interno di questa nostra civiltà ogni forma di vita che inviti concretamente al cambiamento.
Spezzoni di cambiamento qualitativo che ci riportano ad una riappropriazione delle forme di convivenza, di confronto, di collettività. A lavorare sulle diversità perché emergano sempre di più, per poter costruire su di esse l'idealità di un mondo veramente abitabile.
Una piazza ci ha riproposto di uscire dalle nostre case per avventurarci di nuovo in spazi comuni dilatati alla misura di popolo.
Dei giovani ci hanno invitato a lottare contro la rassegnazione senile di un mondo vecchio che crede di aver assorbito le tensioni affogandole nel gioco delle parti. Compresa la coscienza buona del privilegio che lenisce le piaghe e le ferite di chi rimane fuori da un sistema spietato.
Dei giovani, una piazza per stupirei di nuovo che si possa credere e lottare per rinnovare la storia.


La Redazione


in Lotta come Amore: LcA luglio 1989, Luglio 1989

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