Monografia, perché?

Vogliamo dedicare questo numero del giornalino, il secondo ed ultimo del 2008, a «Una zolla di terra»: si tratta del primo libro scritto da don Sirio Politi che è stato ripubblicato quest'anno dalla Dehoniane, su iniziativa della diocesi di Lucca.
Pensiamo valga la pena parlarne per tratteggiare, seppure a volo d'uccello, il profilo storico dell'epoca, ricordare cosa si muoveva nel mondo cattolico preconciliare e indicare alcune tematiche che don Sirio sviluppa nel testo, per fare almeno un primo punto in questo 2008, a venti anni dalla sua morte, sulla sua vita e sul suo pensiero.
L'occasione c'è già stata l'anno passato, quando è uscito «Paso doble per la pace» una raccolta di suoi scritti sulla pace che ho scelto e curato per l'editore Servitium. Ma adesso, che a pochi mesi di distanza viene riproposto un altro suo testo - questa «Zolla di terra» che ho molto cara perché ha dato modo a me e a molte altre persone di incontrarlo -, rinnoviamo l'impegno.
Il testo si inserisce fra i molti contributi che dalla fine della guerra all'inizio degli anni '60 arricchiscono il mondo cattolico e preparano il terreno al Concilio Vaticano II. Eppure, è unico nel suo genere perché, come scrive Luisito Bianchi nella prefazione, «mi domando se Una zolla di terra non sia la prima opera di una cosiddetta "spiritualità di prete operaio" in tutta la storia dei preti operai, non dico italiani, ché questo è evidente, ma anche francesi. La mia è un'affermazione paradossale perché il libro si caratterizza per un avvenimento [la vita di cantiere, ndr l che non viene mai nominato in tutto il succedersi delle sue fitte e dense pagine. Come è paradossale parlare di spiritualità dei preti operai alla stessa stregua ad esempio, di spiritualità benedettina, o francescana [ ... l. Ma sono convinto che un prete, appassionato come don Sirio, per resistere in cantiere nell'assoluta fedeltà alla chiesa, aveva bisogno di immergersi nei gorghi di pensieri che hanno del mistico di fronte all'ineffabile, seppure appartengono a un contesto di carne e di sangue.».
A proposito della sua esperienza di prete operaio e di quanto essa costituisca la materia fondamentale del libro, don Sirio annota nella prefazione: non so se sarà possibile e utile farne anche un racconto di avvenimenti, di fatti, di cose e di persone. Adesso mi è sembrato più vero e sincero scriverne la storia interiore, quella che sta avanti ai fatti e alle cose, prima della vicenda umana, perché già tutta chiusa e nascosta dentro il Mistero di Amore di Dio.
Inizia a scrivere nel '58, in un ritiro a Camaldoli. Sono appunti nei quali riversa la gioia di vedere la verità aperta e distesa in tutta la sua magnificenza e, accanto, il buio della storia umana dove la luce nasceva come l'alba al di là dal crinale dei monti. Spesso gli pareva che scrivere fosse come un cantare, con una voce fatta di esistenza. E sul filo conduttore della «voce»e del «suono» che formano un tutt'uno con un esistere ancora indifferenziato, torneremo più avanti.

Un'avventura editoriale
Finito di scrivere il testo, parla dell'intenzione di pubblicarlo con il suo vescovo, Mons. Bartoletti, che lo consiglia di farlo leggere al professore di dogmatica del seminario. Pochi giorni più tardi hanno un incontro durante il quale il professore gli dà alcuni suggerimenti. Annota: se il libro verrà stampato sarò felice di vedere pubblicato qualcosa che è un mio sogno e spero, almeno in parte, contenga qualcosa del sogno di Dio.
Siamo nell'ottobre del 1960, don Sirio invia il dattiloscritto all'editore Rienzo Colla che a Vicenza aveva creato La Locusta1, una casa editrice coraggiosa e aperta che pubblicava libri di spiritualità, saggistica e poesia dalla grafica essenziale ed elegante. L'editore accolse volentieri la proposta di pubblicare il libro. D'altronde, proprio quell'anno, edita il testo più completo uscito in Italia sull'esperienza dei preti operai francesi, con contributi di tutto rilievo: basti citare il cardinale Suhard, padre Voillaume, Michel Favreau - prete operaio poi morto in un incidente sul lavoro - e Primo Mazzolari.
Pochi anni più tardi, siamo nel 1965, Colla pubblicherà sullo stesso argomento un testo «Preti operai al Concilio» che raccoglie due testimonianze: la lettera di 15 preti operai al Concilio - sono gli insoumis, coloro che decisero di rimanere operai ed abbandonare il sacerdozio di fronte al diktat della Chiesa o preti o operai - e alcune pagine di diario di un prete operaio italiano che racconta la sua sofferenza nel lasciare il lavoro per potere rimanere prete. Il testo non è firmato, ma l'autore è don Sirio.
Il filo del tempo
Lo sfondo storico sul quale si colloca la storia personale di don Sirio Politi e di questo piccolo libro è di poco antecedente gli anni '50: siamo nell'immediato dopo guerra, un crogiuolo incandescente nel quale la vita, libera finalmente di espandersi e costruire, prendeva forza, mentre in parallelo si consolidava l'impegno di uomini ed istituzioni perché quanto era avvenuto non si ripetesse2. Eppure, la forza dell'istinto vitale e quella della Ragione non bastavano a sanare le ferite sofferte. Maria Zambrano, la grande filosofa spagnola costretta all'esilio, affermava proprio in quegli anni, siamo nel '49, che per avvicinare l'uomo, per guarire il suo cuore occorre la Pietà. La definiva il più gigantesco dei sentimenti, «il più ampio e profondo, quasi la patria di tutti gli altri.» 3.
E da questo sentimento che in Italia fioriscono un certo numero di realtà, preziose perché del male patito riescono a fare occasione di bene, generando nuove dinamiche che intendono attraversare la storia, sanando la. Si assiste alla nascita di un amore capace di riparare, di riempire i vuoti, di essere presente nelle tante situazioni che sembrano essere ormai sfuggite al controllo degli uomini.
Nel '45, un dinamico prete irlandese che abitava a Roma, padre Carroll- Abbing, fonda la «Repubblica dei ragazzi di Civitavecchia», alla quale seguirono molte altre opere simili, sempre progettate da lui; nel '46 don Gnocchi decide di occuparsi dei mutilatini (14.000 minori, danni collaterali del conflitto... ) sostituendo lo Stato, troppo impegnato su altri fronti; nel '47 Don Milani viene ordinato sacerdote e si preoccupa subito di fondare una scuola per operai e contadini, nel '52 pubblica «Esperienze pastorali»; nel '48 nasce l'avventura di Nomadelfia, "dove la fraternità è legge", nella quale don Zeno Saltini raccoglie giovani abbandonati e piccoli orfani; nei primi anni anche Padre David Turoldo si unisce a lui.
Accanto a queste iniziative che si assumevano la piena responsabilità di un sentire paterno e materno concreto e allargato, una brezza nuova soffiava lieve e vivace nel mondo cattolico.

Gli anni della germinazione
Nel mondo dell'Azione cattolica e della Gioventù Italiana di Azione Cattolica (Giac) vi è fermento: nel 1946 Carlo Carretto ne diviene presidente e porta la ricchezza della sua straordinaria energia, nel 1949 chiama accanto a sé Arturo Paoli che arriva a Roma da Lucca, nominato vice assistente della Giac. I successi dell'associazione aprono la strada a vivi contrasti con la gerarchia cattolica sul tema dei rapporti con la vita politica, soprattutto dopo la inaspettata vittoria della DC alle prime elezioni. Seguono anni tesi, di contrasto e insieme di ricerca, Carlo Carretto nel 1953 si dimette in polemica con chi cerca di imbrigliare la sua azione; l'anno seguente, insieme al gruppo dirigente, Arturo Paoli viene destituito. Ambedue, per cammini diversi, entreranno a fare parte dei Piccoli Fratelli di Gesù.
A Genova, Nando Fabro e Katy Canevaro avevano dato vita nel 1946 a un movimento «Il Gallo», dal quale si originerà l'omonimo mensile aperto ai lontani. Nello stesso anno a Firenze esce la rivista «L'Ultima», contraria a contaminazioni fra fede e politica, mentre a Milano Padre Turoldo e Padre Camillo Piaz danno vita al vivace, prezioso spazio della «Corsia dei Servi». Fra le nuove testate impegnate nella cultura del dialogo, spicca il quindicinale «Adesso» di don Mazzolari, fondato nel '49.
A Firenze, nel 1951, la Pira inaugura un nuovo modo di amministrare la città, partendo dal Vangelo; ha il coraggio, nel '52, di invitare i rappresentanti culturali di 49 nazioni a partecipare a Firenze a un convegno sulla pace e la civiltà cristiana, gli incontri, che ebbero una vasta eco, si ripeteranno ogni anno fino al '56; ad essi si affiancheranno i "Colloqui mediterranei". Nella stagione della ricca germinazione fiorentina, troviamo anche padre Balducci, lo scolopio che nel '50 fonda l'associazione "Il Cenacolo", dove accanto all'assistenza ci si occupa di problemi politici, sociali e spirituali. Molti dei collaboratori passeranno a formare la redazione di "Testimonianze", la rivista fiorentina che Balducci fonda nel '59 e che sarà punto di ispirazione per la crescita di un dibattito in seno alla Chiesa.

Attraversare i confini
In parallelo a queste novità, cresce nella società civile la sensazione che i rapporti umani non debbano più essere chiusi fra confini che separano; che la vita può rinnovarsi solo a patto di esprimere a pieno titolo la propria complessità. Riprendono vigore gli ideali socialisti di una fratellanza che intende superare le divisioni di classe.
In campo cattolico si accentua sempre più l'esigenza di una maggiore attenzione ai problemi sociali e, per i più sensibili, di un ritorno alle origini del cristianesimo. In Francia, Père Voillaume4 dà vita nel '47 a un'esperienza di religiosi che vanno a vivere «poveri fra i poveri», prendendo il nome di Piccoli Fratelli di Gesù.
Ma già in piena guerra, nel 1941, il cardinale Suhard di Parigi, consapevole della scristianizzazione del Paese, aveva dichiarato la Francia «terra di missione», da convertire attraverso l'opera di sacerdoti e laici che, scavalcando i muri che separano, andassero ad operare nei quartieri popolari, condividendo con gli abitanti vita e lavoro.
Nel frattempo, la pesante esperienza dei campi di lavoro e di quelli di prigionia in Germania induce una parte del clero francese a riflettere sulla nuda realtà umana che tutti accomuna e che appare evidente quando spariscono le sovrastrutture.
Essere «come loro»5 diventa un'esigenza irrinunciabile, dove loro significa gli umili, i poveri, coloro che non contano. Da qui prende vita l'esperienza coraggiosa dei preti operai che salda la realtà della Chiesa alla classe operaia, quel proletariato che da più di un secolo tenta di emergere e definire la propria identità.
Dalla Francia il movimento passa in Italia con don Borghi6 a Firenze e don Sirio Politi7 a Viareggio. Siamo nel 1954 quando don Sirio si reca a Marsiglia per prendere contatto con Père Voillaume e con i preti operai che lavoravano nel porto della città come scaricatori. Più tardi si recherà anche in Provenza, a Bollène, per conoscere il gandhiano Lanza del Vasto8, che di ritorno dall'India aveva fondato l'Arca, una comunità agricola non violenta.

Storia di un viaggio interiore
Si tratta di un periodo ricco di incontri e di fervore: è ormai passato un decennio dalla fine della guerra e quella forza di amore alla quale abbiamo accennato, continua a lottare per esprimersi ed essere espressa. Chiama a gran voce uomini e donne, offrendo loro la possibilità di consentire. Le storie più ricche e varie si intrecciano e portano nuove sfaccettature di vita in un mondo già in movimento. Fra esse, fra le tante, vi è quella di don Sirio.
Giovane parroco a Bargecchia, un paese delle colline versiliesi, è aperto a quanto si muove al di là del suo stretto orizzonte. Viene attirato da coloro che parlano un linguaggio nuovo, che hanno attraversato confini geografici e sociologici e posto la loro tenda fra i più bisognosi. Da qui comincia la recherche di don Sirio. E un viaggio reale: un andare che ha il suo fulcro nel movimento dall'Italia verso la Francia, compiuto più volte; ma anche Roma è luogo di incontri: lì nella borgata Prenestina si apre nel '53 la prima fraternità delle Piccole Sorelle di Gesù9, destinata ad essere per lui spazio di confronto serrato su come trasformare la sua vocazione. Altro luogo presso il quale si reca di frequente è la Domus Pacis, dove si incontra con Carlo Carretto e altri amici per leggere insieme «Come loro» fresco di stampa. In seguito, si sposta dalla collina verso il mare di Viareggio.
Ma vogliamo precisare che il suo è soprattutto un viaggio interiore: la risposta a quell'invito a lasciarsi invadere e cambiare, per diventare espressione di una Forma amorosa che in lui non ha ancora mostrato intero il suo volto.

Il tema dell'andare
«Una zolla di terra» narra la trasformazione che accade in lui in quegli anni: non i fatti esteriori, ma la visione che andava acquistando forma, il suo bisogno di lasciarsi prendere da Dio mentre cammina gomito a gomito con gli umili che affollano le strade.
Una zolla di terra significa il luogo dove vivere, la stabilità, la radice, il paradigma dell'intero universo. A questo titolo don Sirio era molto affezionato, al punto da cercare con cura una frase da mettere all'inizio, che lo riecheggiasse: alla fine sceglie le parole di un autore greco contemporaneo Nikos Kazantzakis «Chi lotta e soffre su una zolla di terra, lotta e soffre su tutta la terra»...
Eppure... questo libro non parla di stabilità, narra un movimento, un andare alla ricerca. Lungo le pagine, il tema dell'andare si sussegue come un'onda: ho tanta nostalgia per gli antichi pellegrini, dovevano avere la voglia di essere nell'universo intero. La gioia del camminare e camminare sperduti in perfetta libertà. Il bisogno di abbandonarsi, lo spinge a sentire ogni angolo della terra come un confine e oltrepassarlo con la gioia della libertà che dal particolare entra nell'universale, dal finito si perde nell'infinito. Finché, tornato piccolo e animato dalla gioia dell'Amore del cuore, scopre che se il camminare e camminare alla ricerca del mistero, in superficie e negli abissi è fatto in serena libertà, si arriva alla porta misteriosa delle novelle antiche che si apre solo al suono di magiche parole. Allora, la fatica si tramuta in gioia di entrare lungo un filo irreale, dove realtà diverse si sfiorano e le sentiamo accanto. Lungo questa linea considera perfino la morte come conclusione, come punta estrema, come attuazione del camminare verso il compimento completo, perfetto di sé. E salire la vita, salirla ad ogni passo, fin sulla cima, seguendo ogni giorno richiami scoperti nell'intimo del cuore, ascoltati nelle profondità dell'anima.

La voce degli uomini
Il bisogno incessante di un andare che lo ha portato a perdersi nel mondo di Dio, lo spinge anche verso quello degli uomini, altra tematica sempre presente. Occorre camminare in silenzio, facendo il vuoto in noi perché un'altra parola sia possibile. Bisogna abituare il cuore ad udire le voci del filo d'erba, ma in modo speciale il richiamo della solitudine e della pena degli uomini. Vi è un mistero di smarrimento e di paura inesprimibile che agita sordamente i cuori, fino a somigliare alle correnti nelle profondità del mare che con cupo brontolio vanno a frangersi sugli scogli.
In quegli anni, emerge in lui una capacità di sintonia singolare, quasi originaria e fuori dal tempo. Le voci e i richiami che il suo cuore impara a distinguere, paiono riconnettersi a quel mondo pre-verbale descritto dalla Cavarero10, abitato da suoni che «formano un intrigo di esseri unici che si rivolgono l'uno all'altro, che si espongono reciprocamente, stanno in prossimità, si invocano, comunicando non dei contenuti, ma semplicemente la radicale prossimità del proprio comunicarsi», perché appartengono a una dimensione dove prevale il bisogno di relazione, quello di ascoltare e di rispondere alla chiamata pressante. Fra quei suoni, don Sirio distingue chiaramente - tanto da sentirli risuonare dentro di sé - i richiami che vengono dal deserto, dai lati di una strada asfaltata, dentro il tormento delle fabbriche, nella buia disperazione delle miniere, sulle distese del mare, nella solitudine dei campi, negli alveari delle città, dove tutti cercano qualcosa. Allora sente il bisogno di aprirsi alla voce di ognuno per comprenderne il mistero, di raccogliere ogni parola capace di narrare, ma soprattutto quelle rivolte a Dio, mormorate o gridate per Lui. Non le preghiere... ma le parole inespresse, quelle che rimangono nascoste nel cuore. La parola della carne e del sangue. Dell'anima esiliata e schiacciata dal peso della terra e del tempo, dalla stanchezza e dal vuoto di ogni speranza. La parola della gioia in pena perché è troppo poco un momento. Chi potrebbe dire: tu non hai niente a che fare con me?
Ricorrono spesso, nel primo capitolo, i termini "voci, suoni, parole": sono di carne e di sangue, indistinti, appartengono a un mondo di relazioni, di prossimità fisica, di pluralità al quale si accede mettendosi in ascolto profondo, rinunciando a se stesso. Il mondo materiale che ha scoperto, quello del duro lavoro, della fatica, dei corpi stanchi, lo sollecita ad aprire i cinque sensi, ma qui soprattutto l'udito. E il suono più che il concetto che sembra muoverlo, è la dimensione del con-fuso, dove coesistono perfettamente l'unicità e la comunione. Emmanuel Lévinas nei suoi Saggi sul giudaismo, affrontando la critica alla centralità del Logos, annota che non dobbiamo più insistere sul che cosa del Detto, ma interrogarci sul chi del Dire. Allora, scrive, nasce «un contatto, un dovere senza fine, una reciproca responsabilità - un dire ancora indifferente al detto, che dice se stesso nel dare»; d'altronde non scriveva don Sirio, mentre a Camaldoli stendeva le prime pagine di questo libro, che voleva cantare, con una voce fatta di esistenza?

.. e quella del creato
Nuovamente è la voce a fargli da filo conduttore alla scoperta di un senso di fratellanza universale. O meglio, come sempre, ancor prima della voce, il suono: e le pietre e gli alberi e l'acqua dei fiumi e le nuvole del cielo e il vento impetuoso e la distesa del mare e le stelle che tremano lassù... mi parlano sommessamente, con dolcezza. Nel silenzio che ha fatto dentro di sé, è possibile lasciarsi raggiungere da tutte le forme di vita. La materia intorno a don Sirio sembra animarsi, spinta a rivelare la sua anima, quell'intima essenza che gli artisti, gli innamorati e i santi di ogni tempo hanno saputo cogliere.
Inizia un nuovo Cantico delle creature che vogliono tutto comunicargli, mentre lui si lascia coinvolgere dal loro effondersi. Fra loro l'intendersi è quello dell'anima: avverte la vibrazione dell'universo che non sa come esprimere in parole l'armonia delle sfere celesti: loro non conoscono le parole di amore e mi chiedono di colmarle del mio, infatti solo l'amore può parlare all'Amore. Allora divento l'adorazione del mondo, dell'universo, sono questa adorazione vivente: una corale perfetta che sale a perdersi in lode infinita davanti al Trono di Dio.
Trovare parole per esprimere il Creato (il luogo stesso del per-l'altro) è il punto più alto della comunione alla quale è arrivato: come un soffio, il respiro dell'amore passa dall'uno all'altro, da Dio a lui, da lui alle creature per tornare a Dio. Che sia l'amore diafanico del quale parla Teilhard de Chardin, quello che ci attraversa quando ci siamo resi trasparenti, che ci possiede: è di Dio e nostro, teologico ed antropologico insieme?

L'anello si chiude
Una caratteristica di questo viaggio esemplare è la passione che lo abita, non solo quella alta che guida il protagonista, anche quella confusa, eccessiva che deborda. Ricordo che don Luisito, quando lesse il libro la prima volta, rimase disorientato dall'affastellarsi del racconto, dall'empito del comunicare. E ne aveva ben donde, perché la passione porta sempre a sbavature, è troppa cosa: è, secondo la Ragione, difettosa.
Ebbene, questa passione sfilacciata, concreta, umile, ce lo rende più caro perché ravvisiamo don Sirio come uno di noi, pienamente umano.
Chi era don Sirio, un pensatore, un artista? Credo fosse un uomo di preghiera e un semplice artigiano: colui che tiene insieme la mano, la mente e il cuore e che, pur consapevole di essere una piccola cosa (una piccola pietra - amava dire - alla quale erano state date ali per volare), si era abbandonato a un sogno di amore. Ho conosciuto il creato e le creature, si è aperto il velo che copre li cose, si è svelata la sostanza segreta, delineato il volto dell'anima, venuta alla superficie l'esistenza nascosta... È il campo, questo mondo, che nasconde il tesoro: bisogna affondare le mani nella terra, gettar via i sassi e le pietre e forse lasciarsi mangiare le unghie dalle zolle indurite. Dopo, scoperto il tesoro, correre a casa e vendere tutto per comprarlo ed essere ricchi soltanto di quello. Lo so e sempre più lo capisco che cercare e trovare l'Amore di Dio vuoi dire offrirsi a sofferenza infinita, ma non posso e non voglio opporre un rifiuto.

(1) Punto di riferimento vivace del mondo cattolico di quegli anni, la piccola casa editrice è stata fondata a Vicenza nel 1954 e ha pubblicato 310 titoli.
(2) La nascita delle Nazioni Unite, i processi di Norimberga, la nuova Costituzione italiana con il suo solenne ripudio della guerra..
(3) Per una storia della pietà, Maria Zambrano, Cuba, 1949
(4) René Voillaume si consacrò all'eredità spirituale di Charles de Foucauld. I religiosi da lui fondati trovano il modo di vivere di contemplazione nel cuore delle masse, come recita il titolo di un suo fortunato volume, uscito in Francia nel 1950.
(5) "Come loro" (ed. Paoline) è il fortunato titolo che la traduttrice, Vanna Casara, sceglie per il volume "Au coeur de masses" di Padre Voillaume, uscito in Italia nel 1953. Si tratta di una raccolta delle lettere che Voillaume periodicamente indirizzava alle fraternità.
(6) Don Bruno Borghi, classe 1921, entra a lavorare nelle fonderie della Pignone, a Firenze nel 1951, col permesso del cardinale Della Costa.
(7) Nato a Capezzano Pianore nel 1920 e morto a Viareggio nel 1988, inizia a lavorare nel cantiere Picchiotti a Viareggio nel 1956, col permesso del vescovo A. Torrini
(8) La lettura di "Pèlerinage aux sources" spinse don Sirio a volere conoscere di persona Shantidas, come Gandhi aveva soprannominato Lanza del Vasto, l'apostolo della nonviolenza in Europa, scrittore, poeta, pellegrino instancabile.
(9) Le Piccole Sorelle di Gesù vengono fondate da Magdaleine Hutin nel 1939, anch'esse, come i Piccoli Fratelli, sulle orme della spiritualità di Charles de Foucauld. Nel '54 due giovani parrocchiane di Bargecchia, con le quali don Sirio aveva condiviso una profonda ricerca spirituale, entrano nella fraternità italiana con il nome di P.S. Giulia e P.S. Maura
(10) A più voci, Adriana Cavarero, Feltrinelli, 2005


"Se la mia vita fosse povera mano protesa, aperta e concava per raccogliere anche una sola lacrima che cade, basterebbe forse per la gioia di non essere vissuto per nulla."
don Sirio


Maria Grazia Galimberti


in Lotta come Amore: LcA dicembre 2008, Dicembre 2008

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