Lettere

Comunità di Biella
so qualche tua notizia attraverso «Lotta come amore». Ho seguito un po' il tuo processo e il vostro centro artigianale. Di questo credo proprio ci interesserebbe parlare a lungo con voi, perché, credo ci potrebbero essere delle cose che voi fate che ci servono per i ragazzi del quartiere. Poi avrei comunque voglia di incontrarci perché credo avremmo molte cose da dirci. Noi qui stiamo bene. Lavoriamo molto. Per la verità adesso sono tre settimane che siamo in ferie, comunque domani si ricomincia. Io continuo a lavorare con le donne e sono in casa. Gli altri lavorano fuori, poi Egidio lavora con me nel quartiere, Alberto B. e Alberto F. lavorano nella Joc.
Dopo un anno con molta difficoltà le donne (che hanno comunque resistito nonostante le difficoltà) hanno acquistato una certa autonomia e anche una certa capacità a lavorare. Da domani inizieremo anche un doposcuola per i ragazzi che cerchiamo di gestire noi direttamente. Questo perché l'anno scorso abbiamo avuto un'esperienza abbastanza negativa. Il Comune, viste le indicazioni che noi abbiamo dato riguardo gli interventi da fare con questi ragazzi, ci ha dato cinque milioni perché noi gestissimo un doposcuola. Non potendo farlo noi direttamente perché era appena iniziato il lavoro con le donne si è data la gestione a degli animatori che sembravano disponibili a fare un certo lavoro. Purtroppo non si è capiti, per cui quest'anno abbiamo pensato di fare meno la-voro, ma di farlo direttamente e chi vuole aiutarci lo fa a livello di volontariato: primo perché chi vuole deve incontrarsi o scontrarsi con questa realtà, secondo per avere una certa autonomia del potere locale. Tu cosa ne pensi?
Tra di noi c'è un 'intesa di fondo che ci dà una certa sicurezza nelle cose che facciamo anche se, come credo tu sai meglio di me, la vita comune provoca dei momenti di tensione che comunque in questa situazione servono ad approfondire il nostro rapporto senza però intaccare le scelte di fondo.
Paola


Un giovane amico
Da molto tempo medito di scriverti. Da anni ricevo il tuo foglio, ed ogni volta che lo leggo è per me motivo di speranza ma anche di profonda angoscia. Cercherò di spiegarti meglio.
Sono uno studente di filosofia, al 2° anno di università, ho 20 anni. Passo cinque giorni della settimana tra libri pressocché incomprensibili e parole che hanno un tasso zero di circolazione sociale. Non faccio più politica attiva (simpatizzo per il PDUP, leggo «Il manifesto»), non ho più termini di confronto. Mi rifiuto di fare politica in quanto cattolico negli allettanti spazi offerti dal Movimento Popolare. Tutti i miei amici all'università sono non credenti e quando parliamo il mio tentare di essere cristiano viene ignorato, non crea nemmeno un problema, né a me né agli altri.
Il sabato e la domenica faccio l'animatore di un esiguo gruppo di scout laici che opera in un quartiere di periferia tra mille difficoltà: economiche, sociali, interpersonali.
Ogni venerdì sera mi ritrovo con un gruppo di amici cacciati-usciti tre anni fa da una parrocchia: con loro per tre lunghi anni ho letto e commentato e pregato il vangelo di Marco. Da tre mesi a questa parte anche questo gruppo si va sfaldando: c'è stanchezza, non ci sono prospettive di inserimento nella chiesa locale, gli studi e il lavoro ci distaccano, la speranza viene meno ogni giorno che passa.
lo mi sto chiedendo cosa vuol dire essere cristiano in queste condizioni, che senso ha leggere una parola di Dio che mi frustra anziché darmi speranza, che senso ha tentare di pregare e passare magari un 'ora in silenzio pensando a mille altre cose, a cosa mi accadrà domani, alla ripresa dell'università in ottobre. Io mi sto chiedendo che senso ha credere di tentare di essere cristiano in mezzo ad un vescovo che mi dice che sono veterotestamentario perché chiedo che chi dice di essere cristiano cerchi di esserlo personalmente nella scuola o sul lavoro, senza bisogno del gruppo cristiani scuola, del sindacato cristiano, del partito cristiano; in mezzo a parrocchie chiuse, che sfornano calciatori, travoltini, tossicodipendenti, oppure persone dagli orizzonti ristretti, che non vogliono guardare oltre il proprio naso, che puntualmente usano la fede per farneticare sul giornale locale contro il fantasma del marxismo ateo; in mezzo ad altri amici che vanno in estasi per le cerimonie di apertura delle olimpiadi di Mosca, che pensano che gli aderenti a Comunione e Liberazione siano tutti dei ritardati mentali, che non riescono ad ascoltare un discorso fatto di parole diverse da quelle che usano loro...
Oggi il mio essere cristiano è andare ad una messa anonima la domenica sera. Niente di più.
Per questo quando ricevo «Lotta come amore» rimango profondamente turbato: io non sto lottando per qualcosa, e tanto meno mi sembra di amare.
E'ormai lontana quella sera d'inverno del '76 in cui ti ho sentito parlare su «Chiesa e classe operaia», come è lontano quel gennaio del '77 in cui sono passato per Viareggio andando ad un incontro dei Cristiani per il Socialismo a Roma. Allora se non altro avevo molta più speranza, e molte più possibilità. Ora mi sembra di essere ingabbiato e che qualsiasi scelta faccia sia improduttiva e sterile.
Scusa questa lettera di sfogo: ho appena ricevuto «Lotta come amore», ed ho appena letto «Vi raccomando la pazzia».



in Lotta come Amore: LcA febbraio 1981, Febbraio 1981

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