Le radici della salvezza

Non è più il caso di perdere tempo e fatica a fare l'analisi della crisi generale che imperversa in questo nostro tempo. L'analisi è sostituita dalla semplice, spietata constatazione attraverso l'esperienza personale per chi, in qualche modo, si trova ad essere personalmente coinvolto e gli bruciano terribilmente le scottature o attraverso la conoscenza, seria e responsabile, di ciò che quotidianamente succede all'angolo della strada, nella propria città, nel nostro paese, nel mondo.
Chi ha cuore e sensibilità umana e accetta e consente di essere attraversato e percosso dalla realtà attuale del vivere e del convivere, non può non essere oppresso e sconvolto da angosce profonde, da amarezze senza fine.
Tanto più che a guardare d'intorno cercando uno spiraglio di luce dal quale possa essere sperata una salvezza, o se non altro una semplice alternativa, qualcosa di diverso insomma, è come trovarsi nel fondo di un pozzo dove l'acqua sporca, la melma soffocante, arriva fino alla gola. Perché tutto è possibile reggere e sopportare, quando si è sicuri, o almeno balena nell'anima l'intuizione, la fiducia, di essere in una condizione di attesa, qualcosa scenderà dal cielo o spunterà dalla terra, da oriente o da occidente, da settentrione o da mezzogiorno.
Invece niente. Come quando si scruta il cielo e dove si sperava uno squarcio di azzurro, si sono addensate nuvole nere.
Forse la frustrazione dell'attesa è l'amarezza più inconsolabile. La caduta della speranza, è il morire dell'anima.
Il nostro tempo e la gente che lo vive, più che tutto è schiacciata dal vanificarsi di un'attesa, dallo spengersi della speranza, dal crollo di ogni possibilità di fiducia. Specialmente nel mondo dei giovani gioca l'immiserimento, la banalizzazione, la sfiducia, provocata da quei vuoti paurosi che la storia del nostro tempo ha scavato, spazzando via, perfino all'orizzonte, i motivi essenziali del vivere umano e schiacciando a rullo compressore, utopie e sogni di umanità diversa.
Il tempo dell'oggi uccide il tempo del domani, fossilizzando nell'immediato, nell'artificioso, nell'obbligato, inevitabile perché spietatamente imposto, il guardare fiducioso in prospettiva, l'orientarsi allegro verso un futuro.
Il fatto che gli uomini del potere assoluto (il potere è ciò che decide di tutto, dell'aria da respirare fino a chi deve vivere e abitare la terra, un ingranaggio cioè dal quale è impossibile che un essere umano in qualsiasi angolo del mondo, non venga macinato) il fatto che questi uomini del potere abbiano disponibile e pronto all'uso, un potenziale nucleare capace di distruggere l'umanità quindici volte, questo fatto può essere, oltre a quella realtà terrificante, anche un'indicazione simbolica, eloquentemente descrittiva, della realtà dei rapporti fra l'esistenza umana attuale e quella di domani: sopravvivenza oggi, seria probabilità di sterminio domani. La conclusione psicologica imperversa più o meno in tutti: la provvisorietà, il niente della persona, l'inconsistenza del valore della vita. Nel S. Salvador, più di diecimila morti nel 1980, uccisi dalla repressione governativa. A Napoli diciannove assassinii dal primo giorno di quest'anno per rapine e regolamenti di conti. Due soli esempi. Così, ugualmente, non conta niente l'insidia alla salute pubblica delle centrali nucleari, i migliaia di miliardi nella costruzione di armi vendute al terzo mondo dove la fame uccide a milioni. Il giocare sulla vita e sulla morte, spietatamente da parte delle B.R. l'uccidere disinvoltamente da parte della polizia e in questi giorni sui muri della città hanno attaccato grandi manifesti invocanti la pena di morte... E questi sono semplici accenni di una vera e propria necrologia universale.
E' chiaro, spaventosamente evidente che, come sempre, anche oggi, conta di più e nel gioco del potere è più vincente, la morte, l'assassinio, lo sterminio, che la vita, che il vivere e il convivere in pace.
L'attesa, ma aspettare chi, che cosa? La speranza, ma sperare cosa?
Il cammino della storia dell'umanità, sono migliaia e migliaia di anni, è come un fiume che scorre.
Spesso non si sa se è più lacrime e sangue o l'acqua di questo fiume che scorre e scorre.
Il nostro tempo segna forse una novità nella storia umana: il tentativo di fermare, di arrestare, di bloccare lo scorrere del fiume. Il tentativo spaventoso di chiudere la storia nel presente, nell'attuale. Il tentativo di impedire che possa esistere il domani, di escludere dal presente il futuro
E' la maledizione più pesante che grava sul nostro tempo. E' anche la dichiarazione esplicita, anche se tutt'altro che riconosciuta, che il nostro tempo è abitato e vissuto assai più dalla morte che dalla vita.
D'accordo che questo giudizio può essere eccessivo e avvelenato da pessimismo, da una visione drammatica e traumatizzata della storia. Sta il fatto però, comunque, che s'impone il dovere di fare qualcosa, di prendersi le proprie responsabilità, di compromettersi in qualche misura.
Non apparirà facilmente il che cosa fare, quali responsabilità da assumere, dove e in che modo compromettersi. Anche questa è una novità affacciatasi in questi ultimissimi anni e non è indicazione di problema di poco conto. Perché i vuoti di progetto si dilatano sempre di più: per un chiudersi istintivo nel buco del personale, con il solo impegno e pagando spesso prezzi di valori essenziali e di dignità umana, per ovattarlo questo buco, di benessere epidermico, artificioso, alienante. E poi perché gli spazi concessi e permessi per progettazione di rapporti, sono sempre più ristretti dalle realtà di potere e dalia sopraffazione e quindi dall'imposizione più o meno violenta, dei sistemi imperanti, dai quali sembra impossibile sottrarsi e liberarsi. Non rimane altro da fare, per chi ha voglia di non arrendersi e quindi di non allinearsi, che, nelle misure del possibile di ognuno, operare vere e proprie rotture, realizzare respinte, stabilire delle scelte, in un clima interiore di resistenza a costo di tutto, di dissenso profondo, credendo fermamente ad una possibilità di proposta per se stesso e da offrire intorno a sé.
E' chiaro che non può essere concessa una programmazione di risultati e tanto meno un gradimento, un'accoglienza, un'approvazione e un seguito.
Perché l'unica fruttificazione non può essere di più di una sincerità personale, di una libertà liberata, per un vivere fuori dal ghetto soffocante di una civiltà in putrefazione.
E altra cosa da fare estremamente importante è cercare di custodire, salde e forti, le proprie radici.
Nell'albero che non fa più frutti, che ha perduto le foglie e vitalità, rinsecchendo miseramente, le radici affondate nella terra, abbarbicate disperatamente alla roccia, possono conservare la speranza di una ricrescita dell'albero al tempo opportuno. La fiducia del domani é tutta posta nelle radici, nella loro sanità e saldezza, nella cocciutaggine, tenace ed appassionata, di rimanere aggrappate a succhiare linfa vitale dalle profondità nascoste, sotterrate.
Perché ognuno ha le sue radici, fittoni che scavano e penetrano nel profondo della carne e dell'anima, rete aggrovigliata, fino ai capillari, di radici invisibili ma tenaci, resistenti, aperte a ventaglio nel sotterraneo del proprio vivere.
Noi pensiamo che la radice che mai inaridirà è la Fede, è Dio, è Gesù Cristo. E quindi la verità, la giustizia, la libertà, l'amore...
Custodire, a costo di tutto, questa radice é garantire sicurezza di Speranza per un valore, per un significato al vivere di se stesso e al vivere umano dell'umanità.
Perché in questi nostri tempi di smarrimento, di disorientamento, di alienazione, individuale e collettiva soltanto la conoscenza dell'essenziale e il giocarvi tutto sopra, può fruttificare salvezza.




in Lotta come Amore: LcA febbraio 1981, Febbraio 1981

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