Testimonianze di atrocità commesse da soldati isra

La registrazione delle testimonianze è avvenuta in Israele, nei giorni 13, 19, 20 maggio 1980.

l - Soldato in servizio di riserva, età 25 - 30 anni: Ci hanno ordinato: costringete l'arabo ad abbaiare e a dire io sono un cane.
Ho compiuto Il mio servizio di riserva nella zona di Hebron, in Cisgiordania, durante la prima metà di maggio. Appartengo a un'unità di combattimento che aveva servito in precedenza nei territori occupati.
Al nostro arrivo nella zona siamo stati chiamati ad ascoltare un esponente del governo militare che era accompagnato da un colono di Kiryat Arba (insediamento ebraico presso la città araba di Hebron - n.d.t.) che ci veniva presentato come un ufficiale dell'esercito anche se non portava divisa. I due ci parlavano sul tema «Gli arabi cosi come sono». La conclusione da trarre dalle loro dettagliate descrizioni era che gli arabi «non hanno nulla in comune con gli esseri umani. che noi abitualmente conosciamo, e che quindi essi vanno trattati come animali, da addomesticare». I due sottolineavano ripetutamente che gli arabi imparano quando gli si esercita sopra dell'autorità e quando gli si umilia. L'esponente del governo militare diceva perfino che gli arabi desiderano essere picchiati, e che è ciò che vi viene richiesto.
Gli ordini precisi che abbiamo ricevuto erano: quando effettuate una perquisizione all'interno di una casa dovete picchiare il padre di fronte al resto della famiglia, specialmente di fronte ai bambini (picchiare la madre non ha lo stesso significato). Quanto al tipo di botte da impartire, i due esperti raccomandavano: se il soggetto resiste, rompete tutte le ossa del padre e dei figli maggiori. Se non vi è resistenza, e specialmente se il padre vi chiede pietà di fronte ai suoi figli, allora dovete soltanto schiaffeggiarlo in viso un paio di volte. Una minima dose di botte ci deve essere comunque.
Se poi un membro della famiglia si dimostra arrogante - e per arroganza si deve intendere, per esempio, il rifiuto di parlare, oppure uno sguardo che esprime ostilità - allora dobbiamo rompere gli oggetti che si trovano in casa, in particolare quegli oggetti che si presume siano considerati particolarmente preziosi dalla famiglia: l'apparecchio, i mobili del salotto, il letto dei genitori. Il capo dal canto suo, ci raccomandava in modo particolare di distruggere il cibo: versare l'olio sulla farina, etc. Uno dei soldati chiedeva: «non sarebbe meglio pisciare sulla farina?» E il «conferenziere» rispondeva: «Usate la vostra fantasia».
Alla fine del discorso il comandante si rivolgeva a noi spiegando che si tratta di un dovere spiacevole, ma che era altrettanto importante per lo Stato quanto il combattimento in tempo di guerra. Egli offriva a coloro che non sarebbero stati disponibili per questo tipo di servizio la possibilità di compiere altre funzioni. Io ero tra coloro che alzavano la mano. Eravamo non più della decima parte dei presenti.
Quando siamo giunti nel villaggio dove si dovevano compiere le perquisizioni, scorazzavamo per le stradine diverse volte, su e giù, sparando in aria per spaventare la popolazione. Alcuni dei soldati, incoraggiati dagli ufficiali, sparavano contro le case, e qualcuno sparava anche contro le finestre chiuse.
Durante il mio servizio in quel villaggio, ho visto spesso uomini e ragazzi portati in strada, messi in fila, e picchiati a turno dai soldati che facevano da «guardie». Ciò accadeva più spesso quando arrivavano gli uomini del governo militare o quelli del Gush Emunim, i quali qualche volta portavano la divisa ed altre no. Era molto chiaro che i nostri ufficiali ne avevano paura perché questi ultimi hanno accesso facile e diretto al Capo di stato maggiore e riferiscono sugli ufficiali dell'esercito, non soltanto sul loro comportamento ma anche sulle loro opinioni. Gli ufficiali e i soldati che si distinguevano nel pestaggio degli arabi venivano pubblicamente elogiati dagli uomini del governo militare e di Gush Emunim. Elogi speciali venivano riservati a quei militari che ordinavano all'arabo, dopo averlo picchiato di umiliarsi, facendogli dire «grazie per avermi picchiato ed avendomi trasformato in un essere umano», al che essi rispondevano «un arabo non può mai diventare un essere umano, comunque facciamo del nostro meglio per riuscirci». E a quelli che ordinavano all'arabo di piegarsi, mettersi giù su quattro zampe, abbaiare come un cane, e dire: «io sono un cane», dopodiché lo facevano spogliare e minacciare i suoi genitali.
Ho anche visto come si legavano gli arabi ai veicoli militari che partivano, trascinandoli così verso i nostri WC, che essi venivano poi ordinati di pulire. Tutti i lavori duri ed umilianti nel campo militare venivano fatti da arabi portati dal villaggio a questo scopo. Una volta, circa 200 uomini venivano prelevati dal villaggio dopo un giorno di coprifuoco e costretti a stare in piedi per tutta la notte su una collina nei pressi del paese. Un uomo del governo militare con uno di Gush Emunim sceglievano i soldati noti come i più bravi picchiatori per fargli le guardie e picchiarli. Ciò ha sollevato una gran protesta tra quei soldati che si lamentavano invece di essere premiati, venivano puniti col lavoro notturno extra ed essi hanno deciso di vendicarsi e di non picchiare gli arabi quella notte. La mattina dopo essi venivano rimproverati per questo «sciopero del pestaggio», gli ufficiali gli rimproveravano perché «non si sentivano gli arabi urlare per le botte» durante la notte.
Nei giorni successivi l'unità veniva impiegata in altri villaggi con le stesse mansioni e lo stesso tipo di azioni veniva ripetuto. Ai blocchi stradali gli autisti arabi venivano picchiati e così anche i passeggeri. Prima si attendeva che si formasse una lunga fila di macchine, e poi, quando c'era una folla giudicata sufficientemente numerosa, si prendevano le vittime una per una e che si picchiava davanti a tutti.
Quando abbiamo finito il nostro periodo di servizio, l'uomo del governo militare ci ringraziava per «il buon lavoro fatto». Ho notato che la maggioranza degli uomini della mia unità dapprima si divertivano con tutta la vicenda e poi semplicemente si abituavano, gli sembra la cosa normale da fare. Alcuni degli uomini hanno invece deciso di emigrare da Israele non appena potranno farlo, a causa di tutto ciò».

2 - Un soldato di riserva, età 40 anni:
«II rabbino militare ci predicava la cacciata degli arabi; il consigliere Usa c'incoraggiava a diventare un esempio per i bianchi d'America».

«Sono venuto a parlarti perché sapevo qualcosa sulle tue idee.. Appartengo a un'unità di uomini che sono più o meno tutti della mia età. Il nostro servizio di riserva ha avuto inizio, questa volta, con una riunione a cui partecipava un gruppo di religiosi che cantavano canzoni fanatiche, tipo «E noi espanderemo ». Poi un rabbino militare che risultava essere un colono di Gush Emunim iniziava una predica basata su frasi del Talmud. lo non ne capivo granché salvo che era diretta contro i gentili. (i non-ebrei, ndt) in generale, ma in seguito, quando ha cominciato a parlare dei paragoni biblici, tutto diventava molto chiaro. Lui stava semplicemente dicendo che gli arabi di oggi sono gli amalechiti e i canaaniti dei tempi della bibbia e che quindi bisognava che se ne andassero perché Dio ha dato questo paese a noi alla condizione che vivessimo qui noi soli, gli ebrei soltanto, senza i gentili, la cui sola presenza contamina la Terra e gli ebrei, rinviando la salvezza. Gli arabi che si rifiutassero di andarsene dovranno subire il destino dei sette popoli (canaaniti etc.) dei tempi della bibbia. A questo punto non riuscivo più star zitto, e gridavo: Ma è questa la religione ebraica?! Allora lui mi prendeva in giro, dicendo che sarei un ebreo riformista, di quelli che si siedono nella sinagoga accanto alle donne, e tutti ridevano. Si vergognavano di continuare la contestazione. C'erano anche altre domande. Per esempio: perché ci mettiamo tanto ad espellere gli arabi. La sue risposta era che in primo luogo dobbiamo agire gradualmente per evitare che ci manchi tutt'un tratto tutta la mano d'opera, e in secondo luogo, perché molta gente in Israele non è ancora sufficientemente forte nella sua fede. Quando finì, il nostro comandante s'alzo e disse: d'ora in poi, ricordatevi di ciò che vi è stato detto qui, in ogni momento e in ogni circostanza.
La nostra unità doveva imporre il coprifuoco in diversi luoghi. Durante il coprifuoco si compivano perquisizioni in tutte le abitazioni.perquisizioni il cui unico vero scopo era quello di picchiare, di terrorizzare e di umiliare. Soltanto pochissimi soldati evitavano di picchiare la gente, ed essi venivano subito presi in giro dagli altri.
Di regola, le azioni da compiere erano: la deliberata distruzione di proprietà di oggetti e la distruzione del cibo. Si buttava sabbia sulla farina, sullo zucchero. I soldati urinavano sull'olio da cucina o sui sacchi di farina. Se qualcuno buttava soltanto il cibo per terra, ciò veniva considerato un atto troppo mite. Si picchiava tutti gli uomini e i figli più grandi, e qualche volta anche le donne. Se qualcuno diceva qualcosa o chiedeva qualcosa gli veniva scatenata addosso una tempesta di botte. I soldati parlavano di questo con i coloni di Gush Emunim che venivano a visitarci e gli elogiavano, dandogli anche dei consigli come picchiare meglio: consigliavano di rompere le costole, perché è facile, particolarmente nei casi di ragazzi giovani; oppure di usare la parte inferiore della mano «perché così si rompe meglio le ossa. Quanto alle umiliazioni, essi consigliavano delle cose che non ho neppure il coraggio di ripetere qui, ma vorrei citare un'ufficiale che nel passato aveva servito con Arik Sharon (il generale-ministro oggi responsabile per la colonizzazione ebraica del territori occupati - ndt), e che è stato trasferito al nostro reparto dopo essere stato ferito altrove: non avrete umiliato un arabo abbastanza fino a che egli non avrà urlato davanti agli altri. Fate quel che volete, pur di fargli urlare in pubblico.
I soldati che si rifiutavano di picchiare venivano presi in giro, accusati di essere comunisti del Rakah o del Matzpen (anche se nei casi a me conosciuti non si trattava di sostenitori di alcun gruppo) che si vergognavano di picchiare gli sporchi arabi (in ebraico: araousnìm).
Nonostante che anch'io ho sofferto da questo trattamento, e che ho sofferto vedendo tutto quel che succedeva senza poter far nulla per fermarlo, non sarei venuto qui a parlarti se non fosse stato per un altro discorso, tenutoci questa volta, verso la fine del nostro periodo di servizio, da un «esperto psicologo» dal rozzo accento americano, che parlava male l'ebraico e ricorreva spesso a parole in inglese. Egli ci diceva che dobbiamo addomesticare gli arabi come si addomesticano gli animali. Ripeteva in continuazione l'esempio del cane, come quando si vuole addomesticare il cane a non fare i suoi bisogni in casa si deve spingergli il muso ripetutivamente nei suoi feci e nella sua urina ed ecco, così si deve fare con questi arabi che stando qui sporcano la nostra casa (cioè il nostro paese). Spiegava anche che gli arabi causaole loro origini e la loro cultura, non capiscano nessun altro trattamento, e che si tratta in realtà di un trattamento che è tutto per il loro bene, così com'è per il bene dei cani picchiarli quando c'è n'è bisogno.
Dopo dì lui ci ha tenuto un breve discorso anche uno di Gush Emunim. Diceva che il mondo è diviso in cinque parti: l'inanimato, la vegetazione, l'animato, Il parlante e gli ebrei, e la differenza più importante sta tra il parlante (diceva di evitare deliberatamente l'uso del termine «esseri umani» perché ciò sarebbe stato fuorviante) e gli ebrei: «perciò non dovrete temere ciò che avete fatto ad esseri umani - un simile concetto non esiste. Non avete picchiate o umiliato degli ebrei, ed è questo che conta.
Questi discorsi erano stati accolti, generalmente, con accettazione e comprensione. Per quanto riguarda, era in quel momento che avevo capito che era mio dovere raccontare i fatti a qualcuno.
Vorrei aggiungere un altro dettaglio. Dopo i discorsi ho cercato di parlare con lo psicologo da solo. Gli chiesi se ciò ch'egli aveva detto degli arabi non poteva riferirsi anche agli ebrei dai paesi arabi. Egli si guardava intorno (perché all'infuori di noi due la gran parte dei soldati della mia unità provengono dai paesi arabi) e diceva: «si, certo, sono per lo più come gli arabi, ma se noi ci comportassimo nella maniera giusta ciò convincerebbe molti «veri ebrei» di venire dagli Usa». Gli chiesi cosa voleva dire con ciò ed egli rispose che quegli ebrei degli Usa che desiderano picchiare i negri e non possono farlo, verrebbero qui per picchiare gli arabi. Poi aggiunse: «E forse gli americani in generale impareranno dal nostro trattamento degli arabi come trattare i negri». A questo punto cessai la conversazione.
lo non sono un'intellettuale e negli ultimi anni ho letto pochi libri, ma ora, pensando a cose lette nel lontano passato, mi sembra di scorgere una grande somiglianza tra l'attuale stato d'Israele e le crociate.

3 - Testimonianza di un soldato di riserva, età 23 anni:
«Io vorrei dire solo poche cose, e in particolare due: 1 - Picchiare e umiliare gli arabi in Cisgiordania è la norma, è un diritto acquisito. 2 - Quel che mi spaventa più di qualsiasi cosa è che ho visto come i nostri uomini godono sempre di più questo «diritto» e la loro espressione, il loro comportamento, mi ricordavano in modo drammatico e crescente dell'espressione e del comportamento di drogati che dopo un po' non possono più fare a meno della droga».

4 - Testimonianza di un soldato di riserva, età 25 anni:
«Le vittime gridavano dal dolore; i soldati dicevano: è cinema gratis».

«lo non ero incaricato con il «mantenimento dell'ordine», ma essendo incaricato con altre mansioni nella zona di Hebron tra il 2 e il16 maggio dovevo attraversare questa zona spesso, ed era impossibile non notare le atrocità. Menzionerò soltanto tre casi di cui sono stato testimone oculare.
1. - Viaggiando in macchina attraverso una zona deserta ho udito improvvisamente un urlo terribile. Ho avuto molta difficoltà a convincere gli altri soldati di fermarci. Dicevano: lascia perdere, si tratta probabilmente soltanto di arabi, gli stanno facendo qualcosa. Ma presto ci siamo trovati davanti ad un lager improvvisato, recintato con filo spinato, in mezzo a un campo. Circa.300 uomini e ragazzini ancora bambini erano concentrati lì, divisi in due gruppi spaziati tra loro. Il centro di questo spazio vuoto c'era un tavolo accanto al quale erano seduti un ufficiale e due civili circondati da 15 - 20 soldati in piedi. Uno dei soldati andava verso uno dei gruppi, sceglieva un uomo a caso, lo trascinava per i capelli o per l'orecchio fino al tavolo, dove la vittima veniva interrogata a forza di calci e pugni. Alcuni «interrogatori» erano brevi, dopodiché l'uomo veniva trasferito nel secondo gruppo. Altre volte il pestaggio era tanto terribile - non ho mai visto una cosa del genere, neppure in un film. Le vittime erano sdraiate per terra gridando dal dolore e i soldati e gli interroganti ridevano, sì, stavano lì ridendo a crepapelle. Improvvisamente ho visto otto uomini in disparte, erano molto giovani, spogliati nudi tranne le mutande, sdraiati sulla schiena con le mani legate dietro la schiena con corde elettriche. Alcuni erano svenuti, e altri gemevano appena. Ci siamo avvicinati al recinto del lager, e i soldati che vi facevano da guardie dicevano: qui c'è il cinema gratis, se volete potete restare a guardare. Ho tentato di dire qualcosa, ma i miei compagni cominciavano a prendermi in giro, dicendo: è un buon soldato, ma ha un'anima troppo bella, così mi sono azzittito. Uno dei miei compagni chiedeva perché gli uomini nudi erano sdraiati lì. La risposta era: sono arroganti. Poi dicevano che questi uomini erano li da un bel po' e che questo trattamento si sta rivelando anche migliore del pestaggio: Servono da esempio, basta dimostrare agli altri sporchi arabi questi qua come sono ridotti. Gli dicevo: «Ma continuate a picchiare senza soste: Ma come, non ti piacerebbe picchiare un arabo? Quando mai ne avrai un'altra occasione per farlo?» E un altro diceva: Gli arabi aspettano di essere picchiati, e così via. Ho smesso di fare domande.

2 - Nel cortile del governo militare di Hebron ho visto centinaia di persone arrestate. I soldati e quelli di Gush Emunim giravano tra loro, e ogni tanto sceglievano una vittima e la picchiavano, o gli ordinavano di mettersi in posizione umiliante, per esempio su una gamba sola oppure su tutt'e quattro, oppure di alzarsi e ributtarsi per terra molte volte, in continuazione.

3 - Viaggiando sulle strade vedevo spesso degli arabi fatti scendere dall'autobus, o portati fuori da qualche villaggio vicino. con i soldati che li maltrattavano.

4 - Testimonianza di un soldato in riserva, età 30 anni:
Ho prestato servizio nella zona di Genin-Nablus (in Cisgiordania - ndt). La nostra unità aveva ordini permanenti: quando vi si comunica che ci sono problemi, chiudete una strada, o un settore della città, o una parte del villaggio senza dichiarare formalmente un coprifuoco, e portate fuori tutti i maschi dall'età di 12 a 18 anni. Non c'è bisogno di controllare l'età esatta sui documenti, valutatela liberamente voi. Per me, si trattava di un'esperienza scioccante. Le madri, sapendo già quel che accadrà ai figli, cercavano di proteggere i più giovani con i propri corpi, ma non potevano fare nulla. Se non lasciavano andare i figli venivano picchiate e minacciate che il figlio verrà trattato ancora più duramente. l bambini erano già stati picchiati all'interno della casa, davanti al resto della famiglia. I ragazzi venivano concentrati in un luogo, e l'interrogante gli annunciava: «vi terremo qui fino a che scopriremo chi aveva scagliato la pietra, sappiamo che egli (o loro - ho partecipato a un gran numero di questo tipo di razzie) si trova tra voi». Poi i ragazzi venivano fatti correre verso un luogo deserto fuori dal villaggio o dal quartiere. L'unità chiudeva il luogo ai giornalisti o alle personalità, come per esempio i sindaci arabi, dopo che tutti i telefoni nella zona erano già stati interrotti in anticipo. L'interrogatorio del ragazzo, qualche volta di centinaia di ragazzi, altre volte di alcune diecine, si svolgeva in modo semplice:
L'interrogante, o due interroganti, stavano accanto a un tavolo improvvisato, qualche volta con un segretario. Un ragazzo viene trascinato verso di loro, picchiato, e chiesto: «Hai scagliato tu la pietra?». Ovviamente, la risposta è sempre negativa, e allora i soldati che si offrono volontari per quest'azione, ricevano l'ordine di picchiarlo, di bastonarlo con i manganelli o di frustarlo; su tutto il corpo tranne la testa. Qualche volta è l'interrogante a segnalare ai soldati quale organo colpire. Alcuni interroganti preferivano far bastonare i ragazzi sulle costole, altri sullo stomaco, altri ancora sulle mani e sui piedi. Uno di loro picchiava egli stesso i genitali dei ragazzi. Dopo il pestaggio e le botte, veniva ordinato di torcere il braccio del ragazzo verso l'indietro. I ragazzi urlavano perché quelli che si sforzavano di non urlare venivano maltrattati ancora peggio. A questo punto l'interrogante guarda il ragazzo torturato, e dopo un po' dice: «quello dice la verità, adesso basta», oppure «quello sta mentendo. continuate». Gli interroganti vantavano davanti a noi di «saper conoscere dallo sguardo di un arabo se egli mente»: Di solito, durante gli interrogatori, uno dei ragazzi non regge di più alla tortura e confessa, ma ciò significa che la sua tortura non finirà mai più, o meglio, quando il numero delle confessioni avrà raggiunto quello che gli interroganti si erano prefissati in anticipo, e ciò a prescindere dalla questione se chi aveva scagliato le pietre era in realtà di questa zona oppure no.
Dopo alcuni giorni di questo tipo di servizio non riuscivo più a stare zitto e cominciavo a dire in giro che queste azioni non andavano bene.
Una volta l'ho detto davanti al mio ufficiale. Lui è membro di un kibbutz, e un «falco» nelle sue idee, Subito mi ha detto: da quando mai sei diventato uno del Rakah (il partito comunista)? Io negavo di essere nel Rakah,e allora lui diceva: se non sei del Rakah e reagisci in questo modo vuol dire che forse sei affetto da qualche disturbo mentale. Forse ti si deve ricoverare. Nel mio kibbutz ci sono stati alcuni casi come il tuo, che sono stati sottoposti con successo a trattamento psicologico. Sono stato preso dal panico, dalla paura di essere ricoverato in manicomio, e pertanto non ho più detto nulla fino alla fine del mio periodo di servizio, ma ho visto che dal quel giorno i miei compagni cominciavano a guardarsi intorno in modo diverso. Non so che cosa dovrei fare, dovrei chiedere il trasferimento in un'altra unità?





in Lotta come Amore: LcA giugno 1981, Giugno 1981

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