Cattolici e non

Dalla stretta angolazione di una realtà di volontariato laico, con tutti i limiti, le angustie, i ritardi di un volontariato in generale stucchevolmente esaltato quando fa comodo credere e far credere in tanta disinteressata bontà, da un fazzoletto di umanità, dicevo, alcune considerazioni sulla presenza di cattolici in una organizzazione dove non sono maggioritari, ma costretti in qualche modo a subire la preponderanza di altre componenti culturali e ideologiche.
La prima cosa da tenere di conto è che il cattolico che milita in una organizzazione laica di volontariato si trova a dover fare i conti con organizzazioni cattoliche a livello locale o a livello nazionale come la Caritas. Se a livello locale reggono ancora campanilismi con motivazioni da tifo sportivo, man mano che la riflessione cresce, aumentano anche le difficoltà per chi vuol costruire gesti di solidarietà senza distintivi, in una ricerca di rapporti nuovi ed aperti tra gli uomini. Come cattolico fatica a trovare spazio e credibilità schiacciato in un angolo da cattolici organizzati per realizzare, in quanto tali, l'amore nel mondo.
È vero che davanti al volontariato si apre ancora uno spazio che è possibile gestire in comune dove la coscienza solidaristica di un laico e quella di un cristiano che muove da elementi di fede non diventano corpo distinto, separato. Ma questa possibilità rischia continuamente di essere un affare di vertice, un «compromesso storico» a livello politico, perché non è alimentata se non scarsamente da un incontro sul piano della realtà sociale dove si dovrebbe gestire in comune e con strumenti comuni l'impegno di solidarietà e di assistenza.
Il terremoto nel Sud ne è stato prova significativa con tutto uno sforzo di volontariato ammirevole, che però poche volte ha trovato il modo di esprimersi senza ricorrere a grossi sussulti di identità e di specificazione delle proprie bandiere. Per esempio, a Grottaminarda, nel primo mese dal tragico avvenimento, intorno al centro di distribuzione e assistenza delle Pubbliche Assistenze toscane (organizzazione laica e in toscana a base largamente marxista) c'è stata la convergenza di associazioni come la Misericordia di alcune città toscane (sono la faccia cattolica delle Pubbliche Assistenze e in un clima campanilistico come quello toscano sono più che cane e gatto), la partecipazione di gruppi di Mani Tese, l'aggregazione di volontari isolati. Quando si è trattato di rispondere alle gravi provocazioni del sindaco di Grottaminarda, l'intero gruppo dei volontari ha risposto in maniera unitaria senza lasciarsi andare a quegli eterni «distinguo» che, a cose normali, sull'ormai consueta fabbrica occupata, provoca l'uscita di dieci volantini diversi, dalla cellula alla parrocchia.
Certo la tragicità dell'avvenimento mette tutto in riga, ma è possibile che, anche per i tempi cosiddetti «normali» non si faccia mai un po' di autocritica?
Innanzitutto, e la contestazione è immediata, invece che l'autocritica è fin troppo facile fare del vittimismo. Come cattolici non ci è dato spazio, noi vorremmo fare, dire, ma... E questo finisce per essere l'obiettivo primario. Non contribuisce con sovrabbondanza e coraggio ad affrontare i problemi che la realtà propone, ma difendere spazi occupati, lottare per acquistarne di nuovi, piantare le proprie bandiere e costruire i propri accampamenti.
È possibile che non si riesca a crescere? Come può la fede nel Cristo Risorto provocare nel cuore di tanti credenti un così grande timore di essere strumentalizzati, di non contare? O forse questa tremenda responsabilità di essere i «santi», gli «eletti», i «chiamati» diviene pietra pesan-tissima che schiaccia ogni possibilità di camminare insieme agli altri? Mi viene in mente, ma può essere anche una grossa bestemmia, che non avendo il coraggio di affrontare un serio rapporto con l'imprevedibile Dio di Gesù Cristo, ci siamo cosi tanto identificati in Lui da voler per forza costruirci «strade nostre» in quanto credenti perché: «i sentieri degli uomini (di quegli altri!) non sono i sentieri di Dio».
Soffro molto questa condizione di separazione. Non mi entusiasmano i riconoscimenti laici a chi si batte da cattolico per la giustizia, la verità. Non mi dice molto il rispetto dei laici per la mia cattolicità. Vorrei giocare la mia fede soprattutto come energia, come coraggio per affrontare uomo insieme agli altri uomini il mistero di questo mondo. Vorrei che il mio battesimo mi aiutasse a non aver timore se «gli altri» sono schiavi di un interesse o di una ideologia perché io so che si può essere lavati dai segni che ogni padrone imprime sulla fronte dei suoi schiavi. Ci sono tante potenzialità di crescita, tanta ricerca da fare, tanta vita da vivere. E siamo ancora qui, a misurarci sui «si» e sui «no», a sognare rivincite e affermazioni, a costringere il cuore ad esaltarsi solo quando l'affermazione è dei colori di casa. Non so se questo mio vivere avrà o meno significato, ma un senso ed una vera motivazione, almeno questo si.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA giugno 1981, Giugno 1981

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