C'è fede e fede

Se rivolgo la mente dietro le mie spalle, nel tentativo di rivivere, almeno nel ricordo, la bellezza smaltata e lucente di certi ideali di un tempo neanche poi troppo lontano, sento alitare dietro la mia nuca la sensazione fredda della loro svuotata ricchezza, della loro illusorietà, dimenticata forza della «passata» esistenza.
Pensare dietro di noi, non soltanto in noi, ma anche nella storia, ci porta a vivere questa lacerante, brutale evidenza: ogni «illusione» è stata una «fede», ogni fede alla quale non crediamo (o non crediamo più) è ormai un quasi nulla, un sogno da ridimensionare con un sorriso, un attesa divenuta insensata, una speranza rivelatasi vana, una fiaba da raccontare.
Tutto quello che oggi compiamo, per cui oggi lottiamo e soffriamo e paghiamo, forse si trasformerà nel ricordo in una ridicola scaramuccia giovanile, in una auto-risibile coscienza della antica «ingenuità» (perché l'ingenuità non è mai nell'oggi, ma sempre in ciò che abbiamo già tentato...).
Siamo gli uomini del «transire», in una "sunset age" di valori dimenticati ed esistenze degradate, angosciate nell'insicurezza e nella solitudine.
Di fronte e dentro a tutto ciò, quale risposta, quale testimonianza possiamo dare noi, uomini della speranza e della novità, della conversazione e della rivoluzione non violenta delle coscienze?
Noi crediamo oggi che sia possibile e necessario che l'uomo impari a vivere dell'egoismo potente che nega il potere, in una scelta di vita che rifiuta l'imposizione autoritaria, la barbarie delle armi e delle patrie? Noi abbiamo una FEDE, noi la proponiamo al mondo.
MA C'È FEDE E FEDE...
La fede religiosa è staccata dalla storia, non falsificabile da alcuna esperienza, una fede della sottomissione, una fede dell'amen.
È porre la propria vita e la propria forza su qualcosa di stabile, su una roccia inamovibile, su una speranza che si chiude a riccio contro ogni pericolo di divenire anch'essa «illusoria attesa di qualcosa che non è».
Spezza col dogma le domande ripiene dell' ansia umana di «sapere», giunge al fanatismo e al settarismo più bieco laddove individua eresie e ostilità, non può conoscere tolleranza al suo interno in quanto niente di sostanzialmente «altro» può in essa, ad essa coesistere.
La nostra fede, invece, non è quella delle chiese e dei partiti, dei vangeli e dei dogmi; la nostra fede deve essere sempre capace di trasformarsi con gli uomini, deve sempre saper esistere nella storia, deve in ogni luogo e in ogni tempo accettare le conferme e le falsificazioni.
La nostra fede non ricerca rocce, non fonda se stessa su niente che si trovi al di là dei suoi stessi testimoni, delle loro parole, dei loro pensieri, della loro vita, dei loro fallimenti.
La nostra fede accetta la propria «illusorietà», vive del suo passare, nella certezza che divenire è crescere, se si ama l'esistenza e la si vive con intelligenza e coraggio.
Viviamo del nostro cambiare e soffriamo dei nostri «passaggi», ma - andare al di là - saper ricominciare, questa è la sostanza della nostra nuova concezione della parola «fede».

Enrico


in Lotta come Amore: LcA novembre 1981, Novembre 1981

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