La posta di Fr. Arturo Paoli

Miei carissimi Amici italiani,
Finalmente sono riuscito a superare le due difficoltà che ostacolavano questo contatto personale che vorrei fosse periodico: il primo é costituito dalla difficoltà di parlare a molti insieme; il secondo da non sapere come organizzare l'invio di questa lettera. Il primo lo supero pensando che continuamente mi dirigo a un pubblico di settanta ottanta persone; è vero che mi comunico da sguardo a sguardo, però posso immaginare i vostri occhi; il secondo é stato superato per la gentile disponibilità del mio amico fraterno don Sirio Politi. Il contatto con voi è facile perché so di non avere mai interrotto il dialogo con voi, attraverso i libri gli articoli della Rocca e di Nigrizia, le lettere personali che sarebbero la mia delizia, se, per la loro quantità, non riuscissero ad essere il mio incubo.
Io abito ora a Caracas con i fratelli Patrizio e Jesus (fratello di Maurizio, il nostro martire) e ora con due novizi, Juan (spagnolo) e Neto (brasiliano) che sono qui per il contatto con il mondo operaio della grande città. Finalmente abbiamo il nostro alloggio, dopo aver tribolato più della santa Coppia di Betlemme.
La casa é piccola, povera, ma in un luogo tranquillo nonostante sia inserita in un «barrio» più popoloso e turbolento di Caracas. per una eleganza della Provvidenza siamo in piena colonia di Monte Carmelo, sicché non faccio uno sforzo quando chiedo alla vicina una cipolla o di poter mettere qualcosa nel suo frigo, perché la vicina è Rosa di cui ho benedetto le nozze, e il mio amico Sisto di M. Carmelo vigila il patio perché non entrino «malandros» (simile al nostro malandrini, ma meno poetico) a disturbare il mio lavoro. certo che se non fossi sicuro che difende anche la sua quiete e l'incolumità delle famiglie che danno sul patio, il suo zelo m'imbarazzerebbe molto, perché non sono né il Papa né altro personaggio ufficiale. È certo che il barrio é minacciato come del resto le periferie di tutte le grandi città, dove dimorano masse di disoccupati, di immigrati stipati nelle piccole abitazioni di parenti o conoscenti in attesa di essere assimilati dalla massa urbana. L'ama-bilissima Gertrude, una ragazza di M. Carmelo che é la titolare di questa casa, ha approfittato di una mia breve assenza per sbarazzare una stanza dove pensiamo istallare fra breve il nostro oratorio.
Lo so che «é venuto il tempo che né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre... questo é il tempo in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità». Ma avere un piccolo angolo in cui mantenere l'appuntamento con l'Amico é un richiamo che scuote la nostra pigrizia, ed è un mezzo per cui qualcuno può restare con i nostri visitatori e altri ritirarsi tranquillamente. Non ho dimenticato certamente M. Carmelo dove tornerò il più frequentemente possibile, approfittando anche dei viaggi dei nostri vicini. Sisto ha la moglie e quattro bambini là dal venerdì sera a tutta la domenica si strugge dalla voglia di scappare. La comunità di M. Carmelo è ben aiutata dall'instancabile Mario e da altri membri stabili o provvisori della comunità di Bojo.
Io sono rientrato il giovedì 15 ottobre da una permanenza lunga in Brasile, e una breve, di una ventina di giorni in Colombia. Mi rammarico sempre di non essere un narratore, perché mi piacerebbe compartire con voi le mie esperienze, le sensazioni che provo nei viaggi il più delle volte in bus, per le strade interminabili del Brasile, e in quelli meno lunghi, ma meno comodi, attraverso la montagnosa Colombia. Il mio vuoto di narratore non provocherà tante delusioni, perché l'Oceano é diventato un mediterraneo qualunque, ed è facile incontrare a Sao Paulo un gruppo di giovani partito pochi giorni prima da Modena, e abbracciare qualcuno approdato qua sulle ali del vento calabrese.
Ho riempito le nove ore di ritardo di un aereo in un aeroporto dell'Acre, lo stato più all'ovest che tocca la Bolivia, conversando piacevolmente con due giovani italiani «missionari civili» (speriamo non dispiaccia il nome). Ormai l'America latina non è più un mistero per gl'italiani e tutte le voci della selva arrivano in scatola a Milano e a Palermo. La nuova forma di narrare è quella di accendere davanti a un gruppo di giovani la visione delle favelas di Rio e di intercalare il «ballenato» della costa colombiana, con una musica reggae. Se vi facessi l'esposizione delle città e degli stati (regioni) che ho percorso in questo tempo vi darei il capogiro. Io stesso mi meraviglio di essermi spostato tanto, di essere passato per esperienze cosi diverse, e di essere rientrato alla base, come se fossi uscito di casa ieri, per una escursione di un giorno, almeno se guardo l'aspetto psichico. Sono arrivato a mettere in chiaro, che, per vivere nella successione, come trascinato nella corrente di un fiume che corre velocemente, senza perdersi, bisogna portare in noi «qualcosa» che sia fermo, sicuro, stabile. Non so come ringraziare Dio di avermi dato in questi ultimi anni la grazia di raccogliere la mia fede, la mia vita religiosa, in un solo ideale, che è il regno, questo movimento di riconciliazione degli uomini e delle cose, che terminerà nella sintesi, il Cristo totale. Leggevo stamani nel breviario le parole della «Gaudium et spes»: «infatti il Verbo di Dio per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e divenire il centro di convergenza di tutte le cose. Il Signore è la fine della storia, il punto focale dei destini dei popoli, e delle loro culture, il perno della vicenda umana, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni». Poco a poco senza mio merito, e senza sforzo, posso dire che questa verità è diventata in me un'idea forza, la sola ragione del mio vivere e del mio muovermi. Mi vengo-no spesso in mente le novelle del buon tempo antico dell'uomo che cercava per cammini interminabili, l'amore lontano. So di non essere un'eccezione perché incontro spesso in America latina persone che, sotto altre denominazioni e spesso con motivazioni che non coincidono con la mia, cercano il Regno. E le mie impennate contro uomini e gruppi di chiesa sono motivate dal fatto di vedere come la nostra maniera di vivere la fede è dispersiva ed è spesso deformata da scelte che chiaramente vanno contro il movimento del regno. Il mondo cattolico mi appare spesso come un'Arcadia di amabili cavalieri e di non meno amabili dame che passano il tempo in trattenimenti amabili. Questa concentrazione sul Regno mi ha fatto perdere di vista totalmente la legge come criterio di giudizio; e di condotta e non posso superare la stizza nel sentir parlare in un certo contesto di «bontà» di «santità» di «perfezione».
Devo a questa trasferenza di criterio, il sentirmi liberato dalla tentazione di giudicare, di fare dei confronti, di cadere nel giuoco dei concorsi di bellezza (naturalmente spirituale). È una soffèrenza acuta e permanente vedere una utilizzazione egoista e utilitarista di Gesù che è il «punto focale dei destini dei popoli». Il documento di Puebla mette in guardia contro una «privatizzazione» del Cristo, ma questo avvertimento non è stato raccolto. A volte il ricordo della legge abbandonata e ormai lontana, mi provoca una certa paura, ma se mi sfracellerò per il Regno è un guadagno.
In questo tempo ho letto la Cristologia del Ducocq che mi è parsa bellissima e l'assassinio di Cristo di Welhem Reich. Perché non vi spaventiate, dirò che di notte trovo il tempo anche per dormire, ma quando per tutta la durata del giorno, mi trovo immerso nelle speranze e nelle delusioni del Regno, il sonno si fa più difficile del solito. AI mattino mi alzo sempre con un ottimismo feroce. Vorrei saper cantare (ahimè un'altra cosa cui sono negato) canticchio salmi quando nessuno mi ascolta. Non posso certamente raccomandare il libro del Reich, pero, quando leggevo pensavo che é un vero peccato che Vescovi e religiosi apologeti non si preoccupino di guardare il Cristo contro-luce. Non si può dire che Reich parli male del Cristo, tutt'altro, ma il suo Cristo non è quello della chiesa, il Signore; ma guardandolo con lui, dalla sua parte l'ho visto cosi straordinariamente bello e gigantesco che ho dovuto spesso di notte reprimere il desiderio di svegliare i giovani partecipanti ad un incontro per comunicare quello che mi esaltava in quel momento. Ma poi ho avuto paura di finire in un manicomio.
Vorrei ora sostare su un punto che torna spesso nelle vostre lettere. Pare che il mio amore per l'America latina mi abbia fatto dimenticare l'Italia e gli amici Italiani, mentre io sento che é vero il contrario. Non credo si possa definire amore lo sguardo rivolto sempre al passato, alle cose che abbiamo lasciato, trovare orribile quello che viviamo qui, ora, e vivere le amicizie attuali con un riferimento continuo a «quelle vere», quelle che abbiamo alle spalle. Credo che tutto questo sentimento investito nel passato sia in fondo una forma di egoismo. Io sento che molte esperienze le vivo con voi e quanto più sono ricche, vibranti affettivamente tanto più importante è quello che vi comunico. Forse fra poco sarò un vecchio rudere che chiederà al passato la forza di sopravvivere, ma perché anticipare quel giorno? E se non venisse mai? Sarebbe troppo bello. In tutti i modi se le mie esperienze sono produttrici di amore, tutti ne usciamo con guadagno. Forse la mia felicità e la mia fortuna non sarebbero apprezzate da tutti. Gesù ha detto una verità sacrosanta (e quando non dice la verità?) quando ha promesso il centuplo con la persecuzione, e questo l'ho vissuto letteralmente in Colombia. Ve ne parlerà un'altra volta e poi sapete che certe cose non si possono raccontare in qualunque tempo.
Ancora una volta ricorro al vostro aiuto; so di non farvi dispiacere, perché molti di voi mi chiedono che possono fare per me. Alla fine dell'81 mi occorrono circa tremila dollari per giovani e ragazze che aiutiamo a studiare. Non vi ho detto che entro novembre e dicembre andrò in Nicaragua e in Messico perché il nostro fratello regionale Giovanni mi ha dato l'incarico di visitare le due fraternità (due luoghi che visito volentieri). In Nicaragua non posso andare a mani vuote. Voi sapete la situazione generale e particolare dei religiosi che sono là a dare il loro aiuto. I fratelli hanno preparato un progetto per seminare le piante per fare spago (credo che si chiami maguey). Poi io devo pagarmi i viaggi, quando i gruppi che invitano sono poveri. E devo dire che sono i migliori. Ora per esempio devo pagarmi il viaggio Nicaragua-Messico. Vi scriverò certamente prima di Natale; penso che questa lettera potrebbe esservi inviata quattro volte nell'anno. Che ne pensate? Vi scriverò dal Messico o dal Nicaragua. Le offerte potrete inviarle a mio cugino Gianni Villani, Lungadige Cangrande 9 - 37126 Verona - Tel. 914387. Non ha fatto niente di male per esser mio parente; ma lo sopporta con cristiana rassegnazione ed esercita stupendamente il mestiere di mio amministratore. O potreste anche inviare al prof. Umberto Allegretti, via Cagna 23 - 09100 Cagliari - Tel. 302288 perché ha il progetto favoloso di venire a passare il Natale con noi. Sto aspettando il figlio del mio carissimo indimenticabile Mario Rossi: gli ho scritto ai due indirizzi americani che mi ha mandato. Sarebbe una vera gioia averlo qua un po' nella vostra casa.
Manderò a don Sirio gli indirizzi pregandolo di inviare a ciascuno più che un numero della lettera in modo che voi possiate diffonderla a comuni amici. La salute va benone a parte una artrosi che mi ricorda il memento homo. Ma se dura cosi, conviviamo senza litigi. La vita in fraternità é splendida. La vita comune é davvero deliziosa quando guardiamo tutti dalla stessa finestra. Vi abbraccio a uno a uno e bacio i vostri bimbi che ormai sono nostri nipoti o bis nipoti.
Vostro Arturo


Arturo Paoli
Apartado 51753 - Caracas 1050 A - Venezuela



in Lotta come Amore: LcA novembre 1981, Novembre 1981

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