Non seppellire la verità

Seppellire i morti è un'opera di misericordia che da sempre è stata insegnata alla coscienza cristiana e fa parte del bagaglio morale dell'umanità. È giusto quindi che di fronte al mistero della morte di ogni uomo e di ogni donna, chiunque sia e qualunque sia la sua storia individuale, la Chiesa si metta in atteggiamento di preghiera e di accoglienza fraterna della sofferenza e della speranza che ogni morte racchiude. Ma la morte, come la vita, è un segno che il cristiano deve anche interpretare e comprendere alla luce della fede e del messaggio evangelico. Specialmente la morte violenta, la morte che non viene come una «sorella», ma che raggiunge gli uomini sulla lama infuocata dell'odio, dello scontro, della vendetta di parte. Non si può accogliere - per chi è cristiano - la morte di Gandhi, di Luther King, di Charles De Foucauld (per ricordare alcune «grandi» morti violente) allo stesso modo in cui si può accogliere la morte di chi cade con le armi in pugno, sul fronte di guerra, in un dirottamento aereo, nel corso di una rapina, in un'azione terroristica. La morte non è «uguale per tutti»; non è neutrale, come neutrale non può essere la vita, specialmente quando è segnata dal marchio drammatico della violenza. Ho pensato queste cose di fronte agli ultimi avvenimenti in relazione alla spietata uccisione di due giovanissimi carabinieri, in servizio di leva, a Monteroni d'Arbia in provincia di Siena per mano di un commando di «Prima linea». I loro funerali nel Duomo di Siena alla presenza del Vescovo di quella comunità, del ministero della Difesa, di esponenti dei comandi militari, mi hanno costretto a considerare come possa succedere che insieme ai morti si seppellisca anche la verità della loro morte. Perché ogni morte porta con se un bagaglio, amaro quanto si voglia, ma estremamente importante di verità che se fosse raccolto potrebbe essere motivo di salvezza e di liberazione. Il discorso del vescovo, la parata politica e militare all'interno della cattedrale, sono stati i segni di un'occasione ancora una volta perduta per poter «leggere» un avvenimento diventato amaro pane quotidiano dei nostri tempi. È da farisei piangere sui morti che noi stessi fabbrichiamo giorno per giorno addestrando centinaia di giovani alla difesa violenta dell'ordine costituito, costruendo e vendendo armi sempre più micidiali, alimentando un'economia di sfruttamento a qualunque costo.
Chi porta la spada è destinato a morire di spada: la Chiesa e i suoi vescovi queste cose dovrebbero saperle perché sono scritte oltre che nelle pagine del Vangelo anche nella carne e nel sangue sparso a fiumi di tutti i popoli. Come cristiani non possiamo piangere e pregare su questi morti senza piangere su noi stessi che questi morti li vogliamo con le nostre connivenze quotidiane con le strutture politiche e militari della nostra società. Certi discorsi di sapore patriottico possono stare sulla bocca delle autorità civili, non certamente su quella di un vescovo che avrebbe potuto celebrare l'Eucarestia solo con i familiari di quei disgraziatissimi giovani uccisi dalla follia di un pu-gno di disperati. Con loro, e con noi poveri credenti alla ricerca della forza necessaria per continuare a sognare e a cercare il regno di Dio nelle pieghe della storia umana, il vescovo avrebbe potuto tentare di comprendere l'appello che veniva da quel sangue versato su una strada della dolce campagna toscana. Avrebbe potuto dire che la violenza è maledetta, diabolica, antiumana e antievangelica: tutta la violenza, quella dei terroristi come quella degli eserciti, delle polizie, delle milizie di qualunque nazione; anche la violenza che è mestiere, carriera, lavoro per un pezzo di pane. Che i giovani, specialmente quelli del Sud devono imparare a difendersi dal miraggio di un posto di lavoro nella polizia, nei carabinieri e nell'esercito perché questo significa imboccare una strada che ha il sapore amaro della violenza legalizzata. Che non ci sono armi da benedire e altre da maledire, uniformi buone e altre malvagie, una violenza omicida buona e una cattiva. Che non si può dichiarar dalla parte di Abele e poi agire come Caino.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1982, Gennaio 1982

menù del sito


Home | Chi siamo |

ARCHIVIO

Don Sirio Politi

Don Beppe Socci

Contatto

Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455

Link consigliati | Ricerca globale |

INFO: Luigi Sonnenfeld - tel. 0584-46455 -