Polonia ossia lacrime amare

Non é possibile non parlare della Polonia. Se non altro perché é ferita ancora sanguinante e quando si rimarginerà rimarrà senza dubbio una cicatrice così profonda che non si cancellerà mai più. Tanto più che sicuramente sarà ferita che prima o poi riaprirà labbra ulcerose a gridare angoscia, disperazione, sgomento mortale.

La Speranza
Perché qualunque sia questa «normalizzazione» tutto è rimandato ad altri tempi più o meno vicini o lontani. La ribellione di un popolo non si risolve al passatutto in una brodaglia grigia, inqualificabile. È «il pugno di lievito» (e la paraboletta porta in se il sacramento di parole che sono l'onnipotenza di Dio) che non è possibile che possa rimanere compresso, schiacciato, nella massa: quello è proprio il momento in cui sta lievitando. Così il seme sotterrato, condannato (nei programmi del potere) a marcire sotto terra: rispunta e è vitale proporzionalmente al suo marcire.

La morte di un popolo
Ciò che angoscia è che tutto (crocifissione, morte e risurrezione) è nella sofferenza, nell'umiliazione, nell'oppressione, nell'annientamento. E l'oppressione di un popolo e la morte della sua libertà, è delitto supremo e disperazione assoluta. È carne di umanità dilaniata, è anima di popolo soffocata. Rimane soltanto il sopravvivere e la sua spaventosa fatica, anche se sostenuta dalla certezza. Ma spesso l'attesa è uguale all'agonia.
Non so se di questa agonia del popolo polacco ne abbiamo sofferto abbastanza. Di quella sofferenza lancinante, soffocante che sgomenta fino a non sapere più a cosa aggrapparci. È per dieci milioni di operai ricacciati, soltanto a morire, negli abissi delle miniere (perché uccide il lavoro materiale quando é soltanto «materiale»). Respinti a fondere le loro speranze di poter essere uomini, nell'inferno delle acciaierie. Riseppelliti al di dentro dei muri di cinta dei cantieri navali... o nei campi a concimare di sudore i prodotti da regalare allo stato, o costretti a chiudersi il mangiare di tutti, nel proprio egoismo.
Perché il sindacato («Solidarnosc» la sola parola che tutti abbiamo imparato perché è diventata universale) perché il sindacato vuoi dire unica possibilità di essere uomini, operai e non animali da soma.

Fratelli contro fratelli
Sofferenza estrema perché fratelli hanno spento la speranza di milioni di fratelli. E carri armati e mitra hanno ucciso l'anima di un popolo.
Perché abituati a misurare la gravità degli avvenimenti dal numero dei morti, forse abbiamo pensato che in fondo, dato che, uno più, uno meno, tutto si è risolto con appena una diecina di morti, poteva andare molto peggio. E non ci si sgomenta che polizia ed esercito, figli tutti del popolo, abbiano scorrazzato per le vie della città, bloccato miniere e cantieri. Puntato le armi e sparato a zero sulla libertà, la fraternità, l'uguaglianza, il respirare della gente, il sognare un domani diverso, di un popolo.

Gli sconfitti: la chiesa e il partito
Ho pensato, a torto o a ragione, che i grandi sconfitti del golpe polacco, oltre al popolo, è stata la Chiesa e il partito Comunista Polacco. Sotto i cingoli dei carri armati tutta una chiesa descritta rigogliosa, fiorente, orgogliosa, ha rivelato la sua devozione, rispettabile certo, ma devozione casalinga, da affollamento di chiese e per manifestazioni di religiosità popolare. E vescovi e preti, buoni, ottimi sacerdoti in cotta e stola. Ma forse non totalmente eredi di quel 30% di clero sacrificatosi nei campi di sterminio nazisti.
È chiaro che non penso questo perché avrei preferito che vi fossero stati dei martiri, ma unicamente perché un cristianesimo che non traduce la Fede in una realtà di lotta, di resistenza, è devozionalità, ritualità.
Il partito comunista completamente soppiantato dalle divise militari. Intervento militare sicuramente richiesto dal partito, certamente imposto da Mosca. Partito di popolo, democrazia popolare, proletariato al potere... dopo trentacinque anni la salvezza del sistema comunista riposa sull'esercito, le armi della polizia, i carri armati, i generali.
La sconfitta è bruciante, sconvolgente. Quei carri armati hanno schiacciato sotto i loro cingoli maledetti tante speranze non soltanto del popolo polacco, ma del mondo intero. Del mondo dei lavoratori, dei popoli sfruttati, dei poveri. Speranza a vuoto, può darsi, assurda, ma speranza come saper dove guardare, puntare il dito sorridendo di fiducia sulla carta geografica. Se non altro per il sapere dell'esistenza di una possibilità di alternativa, qualcosa che potrà portare un cambiamento. Se non altro l'esistere di una forza ideale e di popoli, contrastante questo rullo compressore del denaro, del potere economico e militare del mondo occidentale.

Motivi di sgomento
Un'angoscia, senza fine, lo confesso, perché 65 anni di infinita sofferenza (dall'ottobre del '17) di rivoluzione, di costrizione, di disumanità e sempre però di speranza e di fiducia, nonostante tutto, d'ideali, di sogni di un'umanità diversa, vederla questa storia di speranza di popoli, stritolare sotto i carri armati, come la neve caduta di fresco per le strade di Varsavia, è sgomento per una sconfitta, per un fallimento che vien da pensare irrimediabile.
Tanto più che tutto è avvenuto per l'assedio dei 20.000 carri armati dell'Armata russa, degli alleati-nemici del Patto di Varsavia, dei nemici-alleati della Nato, dei missili URSS da una parte e di quelli USA dall'altra, per lo sgomento del freddo, della fame e dei trenta miliardi di dollari di credito delle banche tedesche occidentali ed americane. Ma particolarmente tutto è avvenuto e un popolo è morto, dopo un'agonia di pochi giorni, per la disperazione d'impotenza del più debole davanti all'incredibilmente più forte, del disarmato davanti ad un potenziale spaventoso di strapotere militare, qual'è l'armata russa.
In Polonia ha vinto la paura che può essere chiamata prudenza, saggezza, inevitabilità e quindi ha vinto ancora una volta la violenza organizzata, armata. Ha vinto ciò che mette paura. Ha vinto l'esercito, il potere, la forza militare.

Una sconfitta di tutti
Forse non abbiamo meditato abbastanza che nella sconfitta del popolo polacco, abbiamo perduto tutti la battaglia della libertà, della giustizia, del rispetto della dignità umana...
Fra i due blocchi, con tutte le irrisioni e burattinate degli incontri di Ginevra, delle «dure» reazioni americane, si è rinsaldato il patto di Yalta e il mondo è sempre più diviso non fra nord (lo spreco) e il sud (la fame) ma fra est e ovest. E in un blocco e nell'altro è a man salva l'oppressione, lo sfruttamento, il fermarsi della storia della giustizia, della dignità umana. In modi diversi, ovviamente, ma con gli stessi risultati.
Perchè fra la Polonia e il Cile, fra l'Afganistan e il Salvador, fra l'Europa dell'est e l'America latina... tanto per citare qualcosa di geografico, è difficile trovare diversità se non nella diversità del numero di km. che separa la disumanità politica e militare da casa nostra.
Il potere si sta polarizzando e centralizzando sempre più. L'umanità e la sua storia sta correndo, e non è facile ipotizzare chi fermerà questa corsa, verso il suo dipendere da pochi uomini, che non rappresentano niente se non gli enormi interessi di potere economico e militare, capaci di decidere della sopravvivenza o no dell'umanità intera.
Vien da pensare che i due bottoni dai quali dipende la possibilità della fine del mondo, siano d'accordo molto più di quello che non sembri. Perché sotto questo maledetto ombrello atomico l'umanità é già distrutta o in via di distruzione. La Polonia ne è l'ultima testimonianza .

Papa Woitjla e Berlinguer
Fra questa povera umanità, anch'essi come tutti o forse di più, giocati nonostante l'aria di giocatori, ho particolarmente avuto pena per due uomini, diversi eppure dal 13 dicembre molto vicini: Enrico Berlinguer e Papa Woitjla. I fatti polacchi hanno sconvolto i due uomini fino allo smarrimento (con ogni rispetto, è chiaro). Perché trovare i modi giusti per un comportamento rispondente, non è stato facile. Conciliare per es. Partito Comunista Italiano e Marxismo-Leninismo e 65 anni di storia e dieci milioni di operai polacchi schiacciati dai militari (Armata Rossa), non è impresa facile. Ma anche ravvicinare Chiesa Cattolica, Fede cristiana (cioè Gesù Cristo) e «la mia patria» non è che evangelizzazione tipo piazza S. Pietro. Tanto più che i comunisti italiani (compresi i sindacati) non è che si siano particolarmente commossi e agitati per i fatti di Polonia. Se il vertice (direzione e C.C.) non si mettevano sottosopra per tentare affannosamente «lo strappo», succedeva non molto di più che nel '68 per la Cecoslovacchia. Forse era più consigliabile il cambio di guardia, dato che tutto fino a pochi giorni fa è stato sbagliato. Perché le mani che demoliscono non possono anche ricostruire. Ma la cosa non sorprende perché si sa come è fatto il potere.
Ma anche la Chiesa, cioè il popolo di Dio, non è proprio detto che si sia particolarmente angosciata per la situazione drammatica della Chiesa polacca. E se il papa non era polacco, meno gente sarebbe stata, forse, a commuoversi sotto la Finestra.
Perché il mondo cattolico è ancora molto sensibile alla parola «patria», (A me, per es. non piace molto che il papa dica «la mia patria e così dovrebbe essere per ogni cattolico cioè l'uomo universale»). Anche tutto quel lavoro di vertice diplomatico o no, non è che edifichi il Regno di Dio. Perché questi sono giochi di potere e di li non passerà mai (anche questa è cruna di ago) la pace, la fraternità, la giustizia, la libertà ecc. cioè quell' «uomo» di cui tanto si parla.
Chiedo scusa di queste righe, confuse, frammentarie. Spero di poterne essere perdonato perché sono come i singhiozzi, non si possono trattenere o come le lacrime che quando scendono giù non rimane che inghiottirle.


don Sirio


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1982, Gennaio 1982

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