Forse era giusto e doveroso scrivere qualcosa "sul pentimento dei pentiti" quei brigatisti rossi che, come dice la legge si sono ravveduti. E ora hanno quattro mesi circa per convertirsi o decidere di dichiararsi impenitenti.
Nel tempo in cui la Pastorale lamenta il vanificarsi del Sacramento della penitenza, non ci si può che rallegrare che quello che la religione non può o non può più, lo faccia la polizia, la magistratura, lo stato. Perché spingere al pentimento e premiare chi si pente è certamente opera umanitaria, di civiltà, ottima e lodevole pastorale. Il guaio è però che l'equivoco "morale" è sconcertante, micidiale del più elementare, fondamentale sentimento e norma di moralità.
Non siamo della magistratura e tanto meno della polizia e nemmeno del parlamento, siamo semplice e povera gente che sempre più è costretta ad essere impoverita e immiserita di tutti i suoi valori, sacri, di umanità, di civiltà.
Il pentimento era cosa seria, riflessione e scelta di una coscienza ferita a morte per il male compiuto, per la volontà di riparare il passato in una ricerca di vita nuova, diversa, pagando tutti i prezzi richiesti sia da una riparazione che da una rinascita e tutto, assolutamente tutto, nello spazio del personale e attraverso un cambiamento, una conversione (la parola è estremamente chiara) di se stessi.
Il soggetto del pentimento è il mondo interiore: dove è avvenuta la scelta del male, avviene il cambiamento, il pentimento, succede il miracolo della novità di vita. Un problema di coscienza e soltanto di coscienza. Sia davanti a Dio che davanti agli uomini.
Ecco che invece la persona onesta che vorrebbe continuare a credere ai valori fondamentali della moralità e anche della Fede cristiana, si ritrova disorientata.
La legge incoraggia e premia il pentimento. Molto bene e chissà quanti nelle carceri sono profondamente "pentiti" del male compiuto e si arrovellano l'anima e si rigirano angosciati perché vorrebbero tanto che ciò che è avvenuto non fosse avvenuto. Ma rimangono in carcere e il loro pentimento è soltanto apprezzato forse dal cappellano del carcere. Ma il pentito che denuncia, che è delatore, spia, traditore, o, come lo chiamano collaboratore, perché guida la polizia, illumina la magistratura, fa fare i colpi grossi, rivela i covi e si affanna a fare nomi, strizza la memoria e forse inventa, unicamente per ingraziarsi l'autorità e diventare meritevole di trattamento di favore ecc. questo pentito dalle mani insanguinate è quasi esposto all'ammirazione, oggetto di riconoscenza, benemerito dell'ordine pubblico e dello stato democratico. E a questo pentito la legge e la giustizia diminuisce gli anni di carcere secondo e in base alla misura del suo "pentimento".
Tutto questo può andare bene per la magistratura, per la polizia ecc. ma non va assolutamente bene per l'affermazione e il progresso nella coscienza pubblica e privata, della moralità, dei suoi criteri di valori o di vergogna.
Di qui quello spettacolo orrendo di tutte quelle gabbie a scompartimenti stagno a seconda del grado di pentimento o della scelta di voler rimanere a costo di tutto, impenitenti.
E spesso è innegabile che anche il senso di giustizia degli spettatori televisivi ( e chissà se forse anche di quel giurati, gente del popolo, con il tricolore a tracolla) deve fare fatica a non simpatizzare nei confronti dei pentiti e non essere spietata nei confronti dei duri, perché spesso non è facile giudicare dove sta l'onestà, se nel male con coerenza totale o nel male che si copre di altro male ancora, come chi ha ucciso con la pistola e poi continua a uccidere con la lingua, sia pure ex compagni di delinquenza. Tanto più poi che l'odio è andato crescendo ad ogni pentimento e il ran-core mortale, che sbarre non riusciranno disgraziatamente a spengere né le carceri del pentimento né dopo che la pena ridotta in premio sarà scontata.
Le B. R. sono sconfitte, il terrorismo è debellato, ma il prezzo pagato, oltre a quello di tanto sangue, è anche il deprezzamento fino all'infrazione più sconcertante, di valori essenziali per l'essere umano e per la convivenza umana: il pentimento, la conversione, la coscienza, la moralità, la magistratura, la polizia, la democrazia, lo stato e cioè la giustizia. E quindi la Fede, il Vangelo, il Cristianesimo.
È questo prezzo pagato e il guadagno che ne è stato fatto in questo commercio fra istituzioni pubbliche e terrorismo, che ha degradato a miserabile mercato il pentimento, la penitenza, la conversione. E tutta questa immoralità con la complicità e compiacimento delle forze dell'ordine (può esistere ordine senza moralità o contro moralità?) e dello stato democratico che in questo caso si è comportato come qualsiasi dittatura, cioè come quei regimi dove è legge legalizzata che il fine giustifica i mezzi.
Sconcertante è il silenzio ( chi tace acconsente ) della Chiesa gerarchica e parrocchiale, quella chiesa che è e dovrebbe essere maestra di moralità pubblica e privata e giudice attenta ai problemi di rapporto fra le leggi di Dio e quelle degli uomini. E particolarmente nei processi ai brigatisti, pentiti o no che siano, suona stridente e assurda quell'iscrizione: la legge è uguale per tutti. E quel crocifisso sopra il presidente si deve sentire piuttosto a disagio. Se lo togliessero, il gesto forse gli significherebbe un atto di rispetto.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA settembre 1982, Settembre 1982
Luigi Sonnenfeld
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