di quanti ne creino.
ARMAMENTO: SICUREZZA O INSICUREZZA?
Le nostre armi minacciano probabilmente la nostra sicurezza più di quanto l'assicurino. Effet-tivamente esse mantengono le cause di guerra poiché le spese che provocano aggravano i problemi del terzo mondo, cause probabili di guerre future.
Il loro prezzo di costo, sempre più elevato ci obbliga ad. esportare ovunque mezzi adibiti alla guerra (aerei, missili ecc.).
La logica del loro commercio ci porta a considerare, quali migliori clienti, i governi più pericolosi, pronti a sacrificare allo stanziamento militare gli stanziamenti sociali, per assicurare la loro potenza.
L'esistenza stessa di centrali nucleari sul nostro territorio lo trasforma in bersaglio privilegiato in caso di conflitto, da distruggersi prioritariamente, per evitare rappresaglie da parte nostra. Inoltre, nel corso della storia, le armi hanno costantemente dimostrato la loro inefficacia, quali mezzi di difesa di territori e popoli (mentre la loro efficacia risulta incontestabile per aggredire, opprimere e reprimere).
Per assicurare veramente la nostra sicurezza e quella dei nostri bambini sarebbero indubbiamente preferibili altri mezzi di difesa.
MA LE ARMI CREANO FORSE POSTI DI LAVORO?
In periodo di disoccupazione, una delle maggiori obiezioni a qualsiasi riduzione dello stanziamento militare risulta il problema del posto di lavoro.
Una tale riduzione non rischierebbe di aggravare la disoccupazione?
Che ne sarebbe in caso di disarmo, delle 300.000 persone che lavorano in Francia per gli armamenti?
Non si possono eludere tali domande.
L'ARMAMENTO CREA DISOCCUPAZIONE.
Qual' é esattamente, il rapporto fra spese militari e disoccupazione?
La realtà é indubbiamente molto diversa da ciò che da vent'anni ci assicura il governo, sia di destra che di sinistra.
Infatti, studi compiuti dall'Ufficio delle Statistiche del Lavoro degli Stati Uniti (nessuna ricerca simile esiste in Europa per il momento) hanno dimostrato che la medesima somme, investita in differenti settori economici, crea molta più occupazione nei settori civili che nel settore militare.
Cosi un miliardo di dollari investiti nella produzione militare crea 76.000 posti di lavoro. Lo stesso miliardo ne crea 86.000 se investito per costruzioni meccanica-civile, 87.000 se investito nell'amministrazione pubblica, 92.000 nei trasporti 100.000 nel settore edile, 139.000 nel settore sanitario e 187.000 nell'educazione. E se ci si contenta semplicemente di ridurre le spese militari, e quindi le imposte di un miliardo di dollari, si ottiene un aumento della richiesta individuale in settori diversi, tale da suscitare il sorgere di 112.000 posti-lavoro.
Questi calcoli teorici sono interamente confermati dai fatti. Dopo la guerra del Vietnam, gli americani hanno dovuto riconvertire un buon numero di basi e di installazioni militari. Un organismo dipendente dal Ministero della Difesa, l'Office of Economic Adjustement, ha pianificato e organizzato tali riconversioni. Il risultato è stato spettacolare: in 61 comuni interessati la perdita di 1.968 impieghi civili del settore difesa, é stato più che compensata mediante la creazione di 161.693 posti di lavoro nuovi.
PERCHÈ L'ARMAMENTO CREA MENO POSTI LAVORO DEL SETTORE CIVILE.
Le ragioni per cui il settore militare crea meno posti-lavoro del settore civile, con lo stesso investimento, sono facilmente comprensibili. Essendo sempre più sofisticate le armi, la produzione militare esige grandi quantità di materie prime molto costose, equipaggiamenti ancora più costosi e un personale altamente specializzato (59% ingegneri e capo servizio contrapposti ai 30% nel settore civile).
In più ,la produzione risulta molto automatizzata. Inoltre, siccome è ammesso che "la difesa non ha prezzo" e poiché la concorrenza ha poco spazio, in questo settore, sul piano nazionale, i costruttori hanno tendenza a maggiorare i prezzi; si constata così, fra il progetto di un'arma e la sua realizzazione, rialzi di costi considerevoli (da uno a venti per il Mirage IV).
Così essendo limitate le possibilità d'investimento, scegliere d'investire nel settore militare, anziché nel settore civile, è aumentare automaticamente la disoccupazione. Non. è dunque forse un caso che i due paesi industrializzati, il cui tasso di disoccupazione è più debole (la Germania Ovest e il Giappone) siano pure i due paesi che hanno le spese militari più ridotte.
I SACRIFICI CONSENTITI AL SETTORE MILITARE.
In realtà è uno sforzo smisurato, condotto da più di vent'anni, che ha fatto del nostro paese una potenza nucleare e il primo esportatore d'armi per abitante. Per arrivarci, abbiamo dovuto consacrare più del terzo del nostro stanziamento per la ricerca all'armamento, coprirne i rischi dell'esportazione, destinare, in prospettiva di una clientela per le nostre armi, somme in costante aumento, mantenere all'estero i 400 cooperatori militari, incaricati d'insegnare l'uso delle nostre armi col titolo di assistenza tecnico - militare (nel quadro del nostro aiuto al Terzo Mondo)
Ora, durante quel tempo, settori civili soccombevano, per mancanza di sostegno, per es. quello della macchina utensile dove, fra il 1974 e il 1980, abbiamo perduto un terzo del nostro potenziale di produzione. E siamo arrivati ad essere costretti ad importare più del 50% del nostro consumo in settori come le macchine agricole, macchinari da ufficio, ottica di precisione, pompe e compressori, moto di forte cilindrata, apparecchi di riproduzione del suono e dell'immagine, cellulosa, navi da commercio ecc...
In altri termini, se noi vendiamo bene le nostre armi, non è perché siano i soli prodotti che si vendono bene all'estero, ma è che il governo ha scelto di sviluppare questo settore, ed ha sacrificato, contemporaneamente ai posti-lavoro, gli altri settori.
UN'ALTRA POLITICA E' POSSIBILE
Un riorientamento delle nostre spese militari verso il settore civile é dunque possibile senza compromettere né la nostra sicurezza, né l'occupazione. Opportunamente pianificata, con la partecipazione del personale e dei sindacati delle industrie d'armamenti, una riconversione permetterebbe di creare più posti-lavoro e di soddisfare bisogni sociali attualmente sacrificati (alloggio, mezzi di trasporto, educazione, energie nuove, lotta contro l'inquinamento, attrezzature per gli handicappati, ecc...).
Possiamo dunque, se vogliamo, porre fine allo sperpero omicida delle materie prime, di denaro, di energia e di competenze che rappresentano le spese di armamento.
Per cui occorre nasca una volontà politica alla base, che si manifesti presso partiti politici, sindacati, mass-media. Già in parecchie città in cui l'economia é particolarmente militarizzata (Brest, Cherbourg, Lorient, Toulon, Toulouse) gruppi cominciano ad agire nel senso della riconversione delle industrie d'armamento. Parecchi movimenti nazionali agiscono nello stesso senso. Ciascuno là dove si trova e con mezzi di cui dispone, per quanto deboli siano, può associarsi a questo compito.
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1982, Dicembre 1982
Luigi Sonnenfeld
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