Si fanno riunioni nelle parrocchie (anche nelle sedi dei partiti e delle associazioni, ma ora mi interessa affrontare il discorso nell'ambito della chiesa), preghiere nelle chiese per la pace. E l'impressione è che si tratti di una parola d'ordine, di un'attività da programmare, di un impegno che si esaurisce in alcune piccole o grandi realizzazioni. Credo, invece, che la ricerca della pace debba penetrare la vita delle comunità cristiane nella normalità dell'esistenza oltre ogni attualità per drammatica che possa essere. Pace non è solo assenza di guerra, di violenza; pace è soprattutto presenza attiva e di condizioni di rapporto umano di libera e molteplice crescita. È quindi alla radice della vita stessa. Nel cuore del messaggio evangelico accogliamo l'annuncio: Cristo è la nostra pace.
È partendo dalle profondità del mistero della nostra fede che avvertiamo l'esigenza di crescere nelle dimensioni di Cristo generando nello stesso tempo una dilatata condizione di pace. L'azione di pace risulta come logica fruttificazione di un impegno costante nella maturazione della fede. Gesù Cristo è pace perché passando da questo mondo al padre abbatte gli steccati che separano la morte e la vita, coinvolte in un disperato conflitto. E non solo la morte e la vita, ma anche ogni pretesa superiorità di un popolo su un'altro popolo, dell'uomo sull'uomo come sulla donna. E non solo gli steccati a filo spinato delle divisioni, delle violenze, delle sopraffazioni umane, ma anche e soprattutto gli steccati legalizzati dall'ipocrisia, laccati d'oro di lucidissimo ottone, basati sul privilegio, sul merito, sul preteso onore di poter servire due padroni. Riconoscendo in Gesù Cristo il Signore non c'è più assoluto nella storia dell'umanità come nella vicenda personale, che può essere tolto privando la vita di ciascuno di ragione di esistenza.
Non c'è più quindi motivo per arrivare al crocicchio dove la tua vita deve essere annientata perché passi la mia.
"Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze e il prossimo tuo come te stesso": nella sintesi della legge nuova ritroviamo l'orientamento della nostra vita e la radice della pace come strada su cui camminare con tutti senza esclusione. Quando l'amore di Gesù arriva all'atto supremo nascono i segni indicatori di questa strada: il pane spezzato e diviso, il vino bevuto nell'unico calice: il corpo donato, il sangue versato, le braccia aperte in croce per contenere il mondo.
Così è nell'Eucarestia che la Chiesa, nella sua concretezza storica e territoriale, costruisce la pace. In confronto aperto e continuo alla ricerca di un senso comune delle diverse esperienze umane. In rispetto reciproco non come segno di vicendevole stanchezza, ma come fatica e attesa perché si possa esprimere in pienezza la profonda verità della vita.
Il battesimo e la cresima coronano l'iniziazione cristiana alla pace perché il primo cancella ogni segno di servitù dalla fronte e la seconda ci dispone alla testimonianza di una presenza che non è possibile livellare a condizioni determinate all'esterno di Essa. Ma è comunque nella forma e nei contenuti dell'eucarestia che la chiesa si costruisce e genera pace. Là dove l'incontro dei credenti è per mettere insieme, verificare e confrontare la fede e il significato dell'esistenza. Dovrebbe essere possibile questo a chi divide il pane e accetta di bere nell'unico calice.
Va a rilento,invece, una costruzione della pace che passa, prima di tutto, attraverso le coscienze per esprimersi in atteggiamenti nati dalla convinzione e non dalla consuetudine. Devono esserci ancora molti nodi che aggrovigliano una coscienza cristiana e la rendono così facilmente disponibile ad applaudire ai vecchi idoli del nazionalismo, dell'amor di patria, della difesa dei sacri confini e cosi via.
Vorrei indicarne due di questi nodi per poterli affrontare e possibilmente sciogliere.
Il primo nodo sta nel concetto e nella forma di autorità. La coscienza cristiana riconosce a Dio la suprema autorità, ma di fatto questa autorità risulta poi delegata in campo civile ai governanti, in campo ecclesiastico alla gerarchia. Per la coscienza cristiana in generale, c'è presunzione di verità per la autorità rivestita da una persona. Ci si pone il problema della obbedienza o della disobbedienza di fronte all'autorità, piuttosto che quello di essere partecipi della autorità e quindi della verità indicata. Il confronto con l'autorità risulta quindi spesso pericolosamente modellato su schemi militaristi e violenti; poco o nessun margine si lascia al confronto aperto, all'interesse comune per la verità, ma lo si restringe frequentemente, di diritto o di fatto, all'autaut: quella persona rappresenta ed è per me l'autorità: o si o no.
La prassi eucaristica dovrebbe invece accentuare un diverso riferimento alla autorità. Siamo riuniti come in un cerchio: ciascuno è distante in misura uguale dal centro. C'è la totalità di Dio e le mani dell'umanità che si stringono nella relatività del cammino. Il centro appartiene al cerchio ed è ogni suo punto. Gesù Cristo è presente nella parola, nel pane, nel vino, nello stare insieme... L'autorità non è nessuno perché tutti siamo in ascolto dell'Autorità. E la parola, il gesto autorevole connesso cioè con la verità, possono essere in me, in te, con la libertà e la forza dello spirito. Posso essere deputato a servire l'Autorità e quindi la ricerca della verità, non ad amministrarla (quali sottigliezze quando si usa il verbo amministrare!). Un'autorità, quindi, sganciata da un preciso riferimento personale: non di ruolo.
Non è certo una soluzione dei conflitti e delle tensioni storiche, ma una esperienza diversa nella storia, una tensione profetica che la Chiesa e soprattutto la gerarchia nella Chiesa dovrebbe mantenere viva con dei comportamenti e delle modalità concrete di rapporto per una ricchezza di confronto, per una smilitarizzazione delle coscienze (tra i preti quanto ancora si continua a dire "i nostri"!) verso una assunzione personale di responsabilità.
Un altro nodo sta nella scelta della chiesa (perché è stata dal terzo secolo scelta pastorale se si vuole e non assoluta e precisa indicazione divina cui non era possibile sottrarsi!) di dare nomi, volti, significati cristiani a tutto quanto appartiene alla cultura, alla storia, alle strutture che gli uomini si sono date al di là di ogni motivo religioso. Cosi per le feste del vecchio mondo pagano, ma cosi anche per le strutture militari, le armi, l'esercito. La coscienza cristiana non è mai stata aiutata a prendere una posizione precisa che non fosse la sottilissima possibilità di coesistenza della buona intenzione, dell'animo e del gesto singolo con il generale sentimento di necessità che obbedisce al male stimandolo "minore". E l'originalità delle motivazioni di fede ha lasciato spesso il posto alla semplice sovrapposizione che tranquillizza e livella dando l'illusione di poter camminare senza incontrarsi mai, senza scontri quindi e in pace. E il problema torna di attualità ora che la Caritas a livello nazionale propone l'obiezione fiscale alle spese militari facendo cosi mancare (se la cosa fosse generalmente praticata) gli stipendi per i preti inquadrati giuridicamente, ma anche economicamente nei quadri direttivi dell'esercito italiano: siamo per la pace da una parte e sulle spese del ministero della Guerra (si può dire finalmente cosi o la Chiesa continua a ritener legittima la guerra di Difesa?) dall'altra?
Questi ed altri ancora sono i nodi da sciogliere sulla via di una pace che attende di essere costruita nel cuore e nelle coscienze degli uomini. E per Chiese sparse nel mondo, per i Cristiani in cammino insieme a tutti gli altri uomini, costruire la pace vuol dire forse ancora una volta convertirsi, cambiare direzione, accettare di essere rinnovati, di poter camminare con sopite ed inespresse energie. Forse ancora di più dal concreto incontrarsi di fedeli nella vita quotidiana delle comunità locali che non dalla ufficialità dei messaggi e delle prese di posizione, pur necessarie.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1982, Dicembre 1982
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455