Carissimi Amici d'Italia
Oggi quindici agosto mi trovo in una bella città del Brasile, Vitoria nello stato di Spirito Santo, in una casa religiosa costruita su una roccia che dà sul mare. Aspiro con tutti gli alveoli l'aria tiepida che è una vera carezza soavissima sulla mia pelle. Vorrei che la mia retina archiviasse l'immagine di questa baia per quanto la vista di tuguri minacciati da una massa lurida di fango, come il luogo in cui ho passato la notte scorsa, mi immerge in una tristezza profonda. Il mio uditorio giovanile si è riunito in gruppi per riflettere sull'argomento della conferenza, e io sono il professore che furbescamente ha assegnato il compito in classe per godere libertà. Ripenso al 15 agosto dell'anno scorso, all'indimenticabile incontro in una "favela"di Rio Branco poi al 15 agosto anteriore nella quiete di Verona, e concludo che sono davvero enfant gatè di Maria nonostante che onestamente non possa dirmi un devoto di Maria. Non per una omissione cosciente, ma perché il Cristo Gesù occupa tanto spazio che non lascia vuoti.
Non credo sia necessario collezionare devozioni con limiti definiti, perché la nostra relazione con Dio si va facendo col concorso di ispirazioni di origini cosi varie che sfuggono alla nostra analisi. Non posso non essere attento al fatto che in Venezuela mi trovi in un luogo che non ho scelto, e si chiama monte Carmelo, e poi in un "barrio" che si chiama Petare, la fraternità scopra un cantuccio che si chiama "tanque" (deposito d'acqua) della Vergine, perché sormontato da una statua di Maria, e che il 15 Agosto mi senta così in stato di grazia come oggi. Ho potuto trasmettere delle intuizioni sulla contemplazione veramente beatificanti e nuove per me, e per l'assemblea giovanile con la quale condivido festosamente questo giorno. Certamente se vivo vi trasmetterò queste intuizioni o in una confezione o in un'altra, so già che dovrò accettare la tristezza di vedere queste intuizioni che riempiono tutto l'essere, come questa esperienza del mare, intristirsi in idee piccole, povere, spente.
Sapete già che il mio soggiorno brasiliano di quest'anno ha avuto un episodio doloroso, la morte di fratello Marcello, che é il fratello con cui ho condiviso il tempo più lungo della mia vita in fraternità. Marcello é mancato il 22 luglio a 52 anni per aneurisma addominale; mi hanno telefonato la notizia un quarto d'ora prima che cominciassi una conferenza cui assistevano duecento giovani. Che fare? Pensavo di presentarmi all'assemblea per invitarla a ritirarsi in silenzio a pregare; il minuto o i cinque minuti di silenzio sono una militarizzazione del dolore, e io non mi sento molto marziale. Poi mi parve che Marcello mi dicesse: - Non fare lo scemo, noi non viviamo per noi ma per annunziare il regno; e il tempo è scarso. Avendo davanti agli occhi il sorriso di Marcello, ho parlato. Avevo prevenuto l'amico che doveva fare l'introduzione, di non dir nulla per non creare una situazione difficile per me e per gli ascoltatori. Dopo mi misi in contatto telefonico con Giovanni Cara a Salvador e la calma di Giovanni mi introdusse nello spirito con cui dovevamo accettare questa morte. Al primo avviso telefonico che mi arrivò laconicamente pensai a un incidente stradale perché Marcello lavorava come autista in un'impresa, e non avrei immaginato altra morte per Marcello, fortissimo, sportivo, giovanile. Molti di voi hanno conosciuto Marcello perché fu con me nell'inizio di Bindua in Sardegna, e poi in Argentina nella fondazione di Fortin Olmos.
Marcello aveva conservato nel tempo quel suo stile di adolescente che, confesso, a volte ci irritava un po'). Ci pareva un po' esagerata la sua passione per la chitarra specialmente nel tempo di Argentina, il suo indugiare nelle case quando pareva opportuno tagliare per cose più urgenti. Ci pareva uno spreco inutile la sua abitudine di far regali al fratelli, anche se non erano scandalosamente splendidi. La morte ha nascosto quello che ci dava fastidio e ha rivelato in splendore l'aspetto positivo della sua giovinezza intramontabile. Infatti nonostante il desiderio di Giovanni, di portare alla sepoltura il fratello nel modo più privato e silenzioso possibile, una gran quantità di gente ha invaso il tempio, e Marcello è stato sepolto in un mare di fiori. Ora I bambini del barrio chiedono ai visitatori della fraternità: - Tu sei mio amico, vero? Amico come Marcello? - Ripenso spesso in questi giorni al profumo che riempie di festa la casa fredda di Simone il lebbroso. Noi cartesiani avremmo raccomandato al popolo di non fare spese inutili. Perché i fiori a che servono? Ma il popolo è fine, lussuoso, non può rinunziare al suo linguaggio, deve poter dire che è felice di accogliere una persona. E nello stesso tempo piange la sua lontananza. Il profumo della donna peccatrice era insieme il canto dell'accoglienza e il pianto del congedo: - tu non mi hai dato acqua per i piedi... ...tu non mi hai dato il bacio... tu non hai unto di olio il mio capo... lei ha imbalsamato anticipatamente il corpo per la sepoltura. I funerali di Marcello sono stati la festa dell'accoglienza e il pianto dell'addio, solo il popolo spontaneamente sa creare questa sintesi di contrari. Quando pochi giorni dopo, sono arrivato alla fraternità ho risentito questa sinfonia come la sesta di Beethoven. Marcello se ne è andato ma ha lasciato questa cosa importante: -sei mio amico? Come Marcello? Non solo io ma quanti sono venuti in visita alla fraternità hanno accolto questo messaggio.
Ho visto come è bello lasciare al mondo nient'altro che amicizia.
Dopo i pochi giorni passati in Fraternità ho ripreso Il mio cammino. Non pensatelo tanto difficile perché non mancano le parentesi di Vitoria che sono come del tuffi rigeneratori in altro paese, in altra vita dove spariscono le disarmonie che ci angosciano. Le vicende del Libano mi hanno sconvolto; è difficile adattarsi a un mondo sempre più belligerante.
Con il vostro aiuto abbiamo fatto un dono di libri al Nicaragua. Molte persone desiderano molto leggere, hanno bisogno di essere aiutate nella loro fede difficile, e non possono esportare valuta.
Per ora vi abbraccio con la tenerezza che mi inonda in questo giorno di festa.
Arturo
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1982, Dicembre 1982
Luigi Sonnenfeld
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