Vorrei ripensare alle "feste" di quest'estate. Alle tre grandi festività popolari immaginate e gestite brillantemente dalla chiesa o chi per essa, dalla Democrazia Cristiana, dal Partito Comunista.
Rimini, Viareggio, Pisa. Il Papa, Piccoli-De Mita, Berlinguer. Meeting (i cattolici sono molto raffinati) dell'amicizia.
La festa dell'amicizia (ma con quale arroganza si permettono di rendere stomachevole questa parola sacrosanta). La festa dell'Unità (originariamente il quotidiano e poi l'unità altra parola laicamente abusata come e quanto ecclesiasticamente profanata).
Tre feste per radunare le proprie forze culturali e popolari e gestirle con manovre tattiche e strategiche in propagandismi di capacità ed efficienza politica. Ma anche e specialmente per creare formidabili piedistalli ai tre personaggi, primi attori nelle sceneggiate meticolosamente preparate.
E ogni festa a chiamare a invitare, organizzare, inquadrare, infervorare le folle, le moltitudini. Qualsiasi risorsa ed iniziativa era più che giustificata dalla necessità di richiamare, convergere, coagulare gente. Tutto quello che può far presa sul popolo disinvoltamente è stato utilizzato.
Dio, Gesù Cristo, la Messa... il Partito, l'operaismo, il popolo... la democrazia, la libertà... Canti musiche, complessi internazionali di gran grido e a fior di milioni.
Manifestazioni assistenziali, culturali, folklorostiche...
Bancarelle e ristoranti attrezzati e ricolmi di abbondanze gastronomiche.
In finale i fuochi d'artificio dei grandi, oceanici discorsi dei tre vertici.
Poi tutto si spenge, le folle si disperdono, si raccolgono tonnellate di rifiuti. Numericamente e come potenza organizzativa Pisa ha battuto nettamente le concorrenze.
Rimini è stata una potente fiammata e di ardore giovanile.
Viareggio età matura, convergenze interessate, saggezza consumata, a parte la nottata dell'americano allo stadio.
"Unicuique suum" è il motto sulla testata dell'Osservatore Romano. E quindi a ciascuno la sua festa. Con tutto il rispetto.
Però, sia pur timidamente (perché non unirsi alla folla - quale preferire? - alla folla in festa, è sempre un po' separarsi, dividersi e poi non applaudire e serrarsi intorno ai "capi" è sempre contestazione e anarchia) quindi timidamente ma con sincerità e libertà, nei confronti delle tre feste, non possono non venire in mente riflessioni e nel cuore angosce.
A cosa rispondono queste feste, dov'è che vogliono approdare, qual 'è il significato e il va-lore.
Verrebbe da pensare che in fondo, a spassionatamente analizzare il fenomeno, la motivazione più emergente, più scoperta è il tentativo di alienazione, di copertura. L'ubriacatura delle folle, dei popoli è sempre stata l'inesauribile risorsa del potere.
"Pane e giochi" dicevano già i romani che di potere e di popolo se ne intendevano assai, e cosi sempre, maledettamente, è stato. E pare che cosi sempre sarà.
Lascio da parte il P.C.1. e la D.C. anche se considerazioni e riflessioni amarissime si affol-lano alla mente. Perché una festa come manifestazione di forza popolare, di efficienza di partito, di potenza organizzativa, lascia perlomeno perplessi e sconcertati. E viene in mente che forse occorrerebbe ben altro. Così e peggio ancora una festa come affermazione di amicizia in un clientelismo a marea montante e ormai incontrollabile, in una rissa d'interessi insopportabile, in arrembaggi e blocchi di potere assolutizzati fino alla volontà di eternare storia e uomini. Sinceramente occorrerebbero non feste di folclore popolare per istupidire la gente, ma feste di onestà politica, celebrazioni di giustizia, solennità di dignità umana, sociale, il trionfo della pace, del rispetto. vicendevole, dell'uguaglianza, della libertà... Quelle feste insomma che inondarono di speranza il cuore della gente, nel '45, ma che "la politica" spense immediatamente rabbrividendole di scontri e di feste di partito.
Le feste della chiesa. E qui la riflessione diventa angoscia profonda amarissima. Sarebbero interessanti nei confronti delle feste religiose, accurate serene analisi storiche. Le feste liturgiche, le solennità di Natale, di Pasqua, le celebrazioni dei vari santi, le sagre tradizionali, ecc... Con tutto il rispetto per ciò che di sacro è ricordato e celebrato, di Mistero cristiano, di Fede, è anche molto vero che tanto di paganesimo (leggere di non evangelico) si è riversato e è a parte viva e spesso componente determinante di tante feste e di tanta festosità.
A Rimini (tanto per rimanere nelle tre feste estive, ma queste feste la chiesa le sta moltiplicando ormai in Italia e nel mondo) la festa, cioè il meeting dell'amicizia, nonostante Comunione e Liberazione, il Movimento Popolare, le conferenze a tematica cristiana, le canzoni da moderna liturgia,i dialoghi col Papa, la presenza dei malati, la Messa sulla spiaggia... a Rimini la festa non era Cristianesimo, quello di Gesù, ma folklorismo spiritualeggiante, religiosità strumentalizzata, pubblicità di capacità organizzativa cattolica.
Le vie di Dio sono infinite, ma può essere che su alcune Dio non cammini. Cosi almeno sembra quando è venuto a camminare visibilmente sulle strade della Palestina.
Sirio
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1982, Dicembre 1982
Luigi Sonnenfeld
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