La posta di Fr. Arturo Paoli

Carissimi amici:
Sono ormai alle ultime settimane italiane. Questo tuffo in Italia mi ha fatto scoprire che la crisi di nostalgia più che liquidata, è in me dolcemente repressa. E dico dolcemente perché la vita piena dell'America latina ricopre spontaneamente senza richiedere interventi volontaristici il dolore di terra lontana che sarebbe inevitabile. Mi è stato molto dolce il sentirmi avvolto dal parlare italiano e da tutto il contorno in cui sono vissuto per più di quarant'anni' Mi ha messo alquanto in imbarazzo la domanda che mi ha inseguito e che trovo per altro normale - come trovi l'Italia? - l'imbarazzo viene dal fatto che non saprei dare una risposta. Per le notizie che mi arrivano laggiù mi sarei aspet-tato di peggio e penso davvero che qualche santo protettore si occupa full time dell'Italia, forse san Gennaro o san Francesco. Deve essere piuttosto san Gennaro perché san Francesco deve essere scarsamente informato di mafia sulla mafia, camorra e intrallazzi bancari. Insomma ho trovato un paese dove si vive abbastanza allegramente nonostante le periodiche paure dell'atomica e delle crisi vulcaniche. Penso che abbiamo la grande qualità che non hanno tutti i popoli, di sfogarci e di gridare, il che in fondo è la miglior cura preventiva contro gl'infarti individuali e sociali.
Vi porto con me come sempre; la gran tristezza di non aver potuto riabbracciare molti amici a me carissimi e penso particolarmente ai coetanei o quasi coetanei soprattutto avendo presente che lo
spazio d'incontrarci sulla terra si restringe sempre più. Mi sorride sempre il progetto di passare un tempo lungo in un eremitaggio dove mi possa incontrare, e mi ritrovo su un nastro mobile che riduce quasi a zero le mie iniziative di seguire un programma di tempo e di luoghi. Mi ha dato molta gioia l'interesse che ho sentito per "America latina e interesse che ha avuto la sua espressione più chiara e concreta nel convegno di Torino delle associazioni "Oscar Arnulfo Romero" diffuse un po' dappertutto in Europa e in America latina; sono intervenuti rappresentanti di molti paesi di Europa e dell'America centrale. Due interventi mi hanno particolarmente interessato quello di una indigena guatemalteca che portava nella sua passione arginata da quella dignità e imepertubabilità propria della etnia india che io ben conosco, la passione del suo popolo. Quel suo silenzioso gridare e quel suo, pudico modo di raccontare gli strazi di cui si é resa capace la generazione che é sbarcata sulla luna, ha raggiunto il cuore di tutti. L'applauso lungo unanime in cui è scoppiata la folla che gremiva il tempio di Maria Goretti a Torino quando questo volto trapunto di dolore, si affacciava all'altare per intervenire umilmente nell'omelia, credo che abbia espresso quello che ciascuno di noi non avrebbe mai saputo dirle. Davanti a questi testimoni delle sofferenze dell'America latina, ho ripensato spesso come italiano a un diario di un ambasciatore francese che lessi nella mia adolescenza. Raccontava l'ambasciatore di aver incontrato una sera a Bruxelles, in un incontro di diplomatici, alcuni italiani in esilio; fra questi, se ben ricordo, Gioberti e Gonfalonieri che si erano presentati nei loro abbigliamenti poveri, chè non avevano certamente nè denari nè voglia di vestire abiti da cerimonia, e il loro parlare pacato senza venature d'odio, il semplice raccontare le sofferenze dell'Italia e le sue giuste aspirazioni alla libertà e alla indipendenza erano la protesta più forte e più gridata contro l'usurpatore e la prova più eloquente di un popolo maturo e degno della libertà. L'altro intervento che ha attirato la mia attenzione è stato quello di Enrico Dussell il filoso teologo argentino che presentai agli italiani una diecina d'anni fa, e mi sentii riconfermato nella mia ammirazione per lui. Dussell meriterebbe di essere conosciuto di più in Italia, almeno attraverso i suoi libri perché, secondo me, è quello che ha contribuito a rinsaldare la teologia della liberazione mettendola su forti e sicure basi filosofiche. Ripete evidentemente, su altre ipotesi di lavoro, quello che Antonio Rosmini fece nel suo tempo. Quando ero a Roma sentivo spesso sospirare anche da persone della linea conservatrice - Oh se avessimo dato retta ad Antonio Rosmini - e a questa ammirazione partecipava Paolo VI che solennemente tirò fuori dall'indice l'opera di Antonio Rosmini. A me questi sospiri postumi fanno l'aria sempre di commenti che fanno i visitatori di musei di armi del medioevo. Sono commenti turistici che non aiutano per nulla la vita della chiesa e degli uomini. La presentazione dell'Eucarestia ripetuta da Dussell, un tema che, come sapete, mi è carissimo, mi ha veramente entusiasmato e ho visto più chiara la missione di quei tormentati popoli dell'America latina di portare nella chiesa quella passione che libera l'Eucarestia da un freddo e inerte ritualismo cui l'abbiamo spesso condannata, per farne lievito di vita, forza della storia, speranza di una risurrezione che si deve concretizzare qui, ora, nel nostro tempo. Sono convinto che l'America latina ha oggi il compito di far reale, storica quella dimensione della Chiesa che è stata annunziata nel Concilio Vaticano Il e che non ha trovato forse in Europa l'humus storico per germogliare e dare i suoi frutti. La causa per la quale le speranze e le mete del Vaticano Il ci appaiono frustate, e proprio quelle speranze sulle quali avevamo puntato di più, si deve ricercare soprattutto in questa mancanza di opportunità storica, di momento storico che non si da in Europa e si da in America latina e particolarmente nell'America centrale, Guatemala, Nicaragua, Salvador, Honduras, la parte demograficamente ed economicamente più debole dell' America. La sua piccolezza e il martirio, sono credo, i segni chiari di questa scelta di Dio perché il progetto di chiesa dovuto allo Spirito si faccia realtà.
Non è certo facile distinguere nel movimento convulso e contraddittorio della storia centro-americana le linee ecclesiali che si vanno formando. Coloro che parlano di chiesa nuova o di chiesa popolare, con una intenzione polemica di segno differente ed opposto, non capiscono quello che si sta gestando in questi piccoli paesi e sono dirottati da vecchi schemi ideologici, cancellando nella definizione di conflitto est-ovest la vera novità ecclesiale. L'etichetta chiesa nuova - chiesa popolare vuoi creare una contrapposizione alla chiesa alla quale apparteniamo, mentre nessuno dei popoli o degli individui del centroamerica ha !'intenzione di contrapporre una chiesa ad un'altra chiesa, né per proposte teologiche insolite, né per desiderio di autonomia e di separazione. Si tratta di poveri che si svegliano alla coscienza di essere chiesa e che scoprono una nuova dimensione della fede: non è più la fede che li spinge verso i santuari a chiedere grazia e conforto ad una vita dipendente e miserabile senza vie d'uscita, ma fede che infonde una inestinguibile sete di giustizia, l'imperativo assoluto di dare la propria vita al regno di Dio che ha la sua fase iniziale qui, su questa terra, in questa storia, in questo tempo. La conciliazione fra fede e politica sarà sempre oggetto di controversia perché fra la fede e la politica c'é veramente incompatibilità, quando sono pensate a un livello di astrazione di concetti; si compongono in una unità armoniosa solamente quando si trasformano in lotta popolare, in rivoluzione che ha come meta il raggiungimento di valori che sono allo stesso tempo profondamente e universalmente umani, e, nello stesso tempo religiosi, in quanto sono proposti dalla Parola di Dio, la libertà e la dignità dell'uomo, l'uguaglianza di tutti nella partecipazione dei diritti essenziali, la convivenza pacifica che suppone che sia sradicato dal cuore dell'uomo il desiderio di dominare, di sfruttare, di possedere.
È stato ribadito a Torino che solidarietà significa accettare con umiltà il cammino e la storia dell'altro; solidarietà non è dare quello che io stabilisco di dare, imporre il piano che io ho elaborato per esportarlo in una storia e in un cammino che non é mio. Se la chiesa vuole ricevere questa nuova dimensione che è stata definita nel Concilio e continuamente ripresa come concetto, di chiesa dei poveri, è necessario che la chiesa d'Europa rinunzi alla sua missione di missionaria ed evangelizzatri-ce e accetti di essere evangelizzata. E analogamente se la società occidentale nei paesi industria-lizzati, sente la necessità di trovare una alternativa a progetti politici che non offrono la garanzia di liberare il mondo dalla minaccia della distruzione, bisogna che guardi con, molto rispetto il sorgere di queste nuove società frab le spine che stringono da tutte le parti questo sbocciare. Più che protezione questi popoli che noi abbiamo contribuito a mantenere in schiavitù chiedono a noi rispetto e comprensione e aspettano che la nostra sensibilità cristiana non sia esaurita al punto da non saper distinguere il debole, la vittima, l'oppresso e da non avere il coraggio di mettersi dalla sua parte. Il cristiano dovrebbe avere attinto e consolidato questa sensibilità dall'esempio del Cristo Gesù, che si è rinnovato nell'attualità proprio in uno di questi paesi dell' America centrale nel sacrificio di monsignor Oscar Arnulfo Romero.
Vi abbraccio e continuiamo a volerci bene, comunicarci e ad aiutarci mutua mente nel nostro cammino.
vostro fratello


Arturo


in Lotta come Amore: LcA giugno 1983, Giugno 1983

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