Smilitarizzare l'uomo

Con questo titolo assai significativo e provocante si è svolto ad Assisi dal 27 al 31 dicembre '83 un convegno giovanile sul tema della pace.
Sono state delle giornate di studio e di riflessione molto appassionata, di scambio di esperienze concrete e di progetti umili ma tenaci per giungere alla realizzazione in termini storici, quotidiani del grande sogno che Dio ci ha lasciato attraverso la parola del profeta Isaia: "Cambieranno le loro spade in falci, le loro lance in vomeri e non impareranno più a fare la guerra". Un popolo fatto di un migliaio di giovani venuti da ogni parte d'Italia a confrontare le proprie esperienze e a trovare insieme le ragioni culturali, religiose, materiali e spirituali per un cammino autentico di pace.

"Per smilitarizzare il mondo allontanando la minaccia dell'olocausto nucleare o di guerre sempre più distruttive, allentando le ingiustizie e frenando le ingenti spese militari che affamano la maggior parte dell'umanità, occorre smilitarizzare l'uomo, occorre convertire il cuore, il cuore dei singoli come il cuore dei popoli, liberandolo dall'odio e dalla violenza, dall'avidità e dall'egoismo, dalla prepotenza e dalla vendetta. È un cammino di pace che tocca ogni uomo...".
(Luigi Bettazzi, vescovo d'Ivrea).

Fra i molti argomenti affrontati in questi giorni dedicati a studiare la via della pace ce n'era uno riguardante lo spinoso problema della "presenza della Chiesa tra i militari" con riferimento preciso alla "figura" del cappellano militare.
Il gruppo di studio al quale anch'io ho partecipato era guidato da un cappellano militare della scuola del Genio della Cecchignola (Roma): la sua esposizione è stata estremamente lineare, per niente incrinata dal minimo dubbio, fondata sulla sicurezza della validità pastorale di questo modo di presenza della Chiesa dentro la struttura dell'esercito e della vita dei soldati nelle caserme. Praticamente tutto il suo ragionamento si riassumeva in questa chiarissima conclusione: "La Chiesa tra i militari si fa militare con i militari, entrando nella struttura e nell'ambiente, vivendo giorno per giorno in essi, per coglierne sino in fondo il significato. Solo in questo modo si pone in grado di portare un annuncio efficace, veramente calato nella realtà alla quale si rivolge".
I partecipanti a questo gruppo di studio non hanno assolutamente condiviso né l'impostazio-ne né i contenuti dell'esposizione del cappellano militare ed hanno praticamente ribaltato e rimesso in discussione il modo e il senso della presenza della Chiesa nella realtà militare. La maturità e la serietà dei giovani che partecipavano alla discussione si é dimostrata veramente straordinaria, motivo di speranza per la crescita di una Chiesa nuova, diversa, veramente testimone del vangelo di Gesù Cristo. Ricucendo i vari interventi, obiezioni, domande e riflessioni è venuto fuori una specie di MANIFESTO ANTIMILITARISTA che esprime molto bene la sostanza del "vangelo di pace" annunciato e vissuto da Gesù e del quale tutta la Chiesa deve essere fedele testimone nella storia.
Storicamente i cristiani sono andati ad ammazzare con coscienza tranquilla. Ci sentiamo responsabili di non aver annunciato l'unica cosa che abbiamo il dovere di dire: tu non uccidere! L'Evangelo deve essere a volte elemento di distruzione delle strutture ingiuste, affrnché possa nascere qualcosa di nuovo.
L'annuncio di Cristo è qualcosa di più che entrare nella struttura. Cosa diciamo ai soldati? "Dio è con noi" oppure "Non uccidere?"
Il messaggio cristiano è un messaggio di pace e di amore. La Chiesa deve combattere tutte le forme di violenza compresa quella militare. Altrimenti cosa vuol dire "amare il prossimo"?
Il modo di agire della Chiesa deve essere il modo di Cristo, che è la semplicità e la povertà (kénosis). Dobbiamo interrogarci sul Vangelo per capire se le nostre modalità di presenza sono in linea con il messaggio di Cristo oppure sono frutto di incrostazioni storiche da superare.
Cristo ha scelto ed ha proposto di morire piuttosto che uccidere. Il cappellano militare stando nell'esercito, che é una struttura di violenza e di morte potenziale, rende la Chiesa complice di questa macchina che per difesa deve uccidere il nemico ("Tu sei il sacerdote dell'olocausto nucleare!")
La collaborazione con il bene è per il cristiano eguale dovere che la non collaborazione con il male. Non si giustifica quindi in nessun modo la presenza del cappellano militare in una struttura che è scuola di morte (Se tu davvero parlassi il linguaggio del Vangelo saresti buttato fuori!). Come si può conciliare tutta la cultura del mondo militare che é preordinata alla distruzione del nemico con l'insegnamento di Cristo?
La Chiesa dovrebbe impegnarsi molto di più a sostenere l'obiezione di coscienza, le varie forme di servizio civile; e ritirare i preti dalla struttura militare, costruendo una cultura di difesa popolare nonviolenta, che è una difesa civile, alternativa a quella militare.
E' necessario recuperare come comunità ecclesiale il senso collettivo della responsabilità nei confronti della violenza strutturale espressa storicamente negli eserciti.
Il "non uccidere" non è un semplice "consiglio evangelico", ma comandamento divino scritto su tavole di pietra e che impegna ogni credente. Non si riesce a cogliere le categorie morali che hanno consentito e consentono di passare dal "non uccidere" evangelico e biblico all'uso del fucile.
Un interrogativo finale: perché voi sacerdoti non potete usare le armi (codice di diritto canonico) e noi semplici cristiani, sì? Perché io posso uccidere (in guerra) e tu no?


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1984, Gennaio 1984

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