San Cristoforo

Ricordo la leggenda di San Cristoforo cantata da Lanza del Vasto, i capelli bianchi, l'abito azzurro dei compagni dell'Arca, le dita ancora agili ad accompagnare il canto con il tamburello. Un cerchio di persone su un poggio di Ontignano dietro la casa di Giannozzo, sulla sera. Quest'uomo che, in un mondo di contese e di lotte, vuol servire sotto la bandiera del padrone più potente. Dopo aver combattuto con molti cavalieri si trova con uno che per avere la vittoria vende l'anima del diavolo. E Cristoforo (ma non si chiamava ancora così), fedele alle sue decisioni, si arruola nell'esercito del male. Davanti al diavolo che arretra di fronte alla croce ed evita le cappelle disseminate sulle strade, Cristoforo comprende che c'è un padrone ancora più forte e si mette alla ricerca del Signore della Croce. Incontra i suoi servi, ma non lui.
E Cristoforo è un uomo tutto di un pezzo: non esegue ordini se non li ha direttamente dal padrone che si è scelto. Nella sua ricerca giunge sulla riva di un fiume: il ponte è stato spazzato via da una piena. Cristoforo sfruttando l'alta statura e la forza straordinaria si mette al servizio della gente che vuole attraversare il fiume.
Una notte, mentre infuria il temporale, una voce di fanciullo lo chiama fuori della capanna.
Un bambino vuole traversare il fiume gonfio per le piogge. Cristoforo si carica del modesto peso del bambino e inizia a traversare il guado. Man mano che avanza aumenta non solo la forza della corrente, ma anche il peso sulle spalle fino a vincere la sua eccezionale resistenza. Capisce allo-ra Cristoforo di avere sulle spalle il Signore che stava invano cercando nelle parvenze dei signori della terra. Il peso diviene allora leggero, si placa la violenza delle acque e il "portatore di Cristo" (Cristoforo) arriva con gioia sull'altra sponda. Mi accade di ascoltare nei ricordi questa leggenda e di leggervi uno dei fili della mia vita. Più di vent'anni fa esser partito dietro ad un progetto dopo l'altro man mano che scoprivo nuove frontiere nella complessità della vita e dei rapporti umani. Il senso della lotta, gli obiettivi e le strategie, il "che fare?", il "nemico". Non per desiderio di vittoria, di successo, ma per desiderio di conoscere il perché dello scorrere della vita e del tempo, i meccanismi delicatissimi della ragione di essere.
Fino a ritrovarmi di fronte a questa fiumana del nostro vivere oggi, là dove ogni progetto legato all'umanità sembra essere spazzato via dalla violenza delle tensioni, dalla complessità angosciante dei problemi, dal rapido susseguirsi degli scenari della tecnica e della scienza sui quali si disegna il nostro quotidiano.
I ponti del confronto e del rapporto spazzati via dalla assurda necessità di sopravvivenza e quindi di sopraffazione per la supremazia.
Sì, la nostalgia del combattere con avversari con il nome e il cognome, la nostalgia del "nemico" per poter servire il progetto più "umano". Ma anche adesso la constatazione di essere al servizio dell"umanità" così com'è nell'incessante tentativo di guadare il fiume dell'avvicendarsi storico. Questa "umanità" che non cerca più il "nemico" da combattere, ma l"amico" da amare e sulle cui spalle Dio affida il peso lievissimo del suo amore. E leggo la storia di Gesù quasi che il morire di Cristo sulla croce sia perché possa nascere Dio nella carne, nel sangue, nella storia dell'uomo approdato all'altra sponda.


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1984, Gennaio 1984

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