La posta di Fr. Arturo

Chiediamo scusa agli amici di Arturo del ritardo in cui leggeranno le sue lettere: non sempre è
possibile avere pronto il letto del fiume nel quale fare scorrere le acque di sorgente che sgorgano dal cuore di Arturo: acque che spesso sono fiumana incontenibile...
Il ritardo poi pensiamo che non abbia particolare importanza: le lettere di Arturo, pur essendo estremamente concrete, sono oltre il tempo, colgono veramente momenti e problemi, valori e progetti senza tempo: hanno soltanto bisogno di accoglienza, nella Fede e nell'Amore, a cuore aperto.

Settembre '83
Carissimi Amici,
ho trascorso l'ultimo settembre nell'altra America, l'America opulenta. Dirò fra parentesi che ho goduto New York come mai mi era capitato: l'ho sentita come percorsa da un'aria latina; mentre la stampa stillava odio contro i russi banditi che avevano abbattuto l'aereo coreano, io scoprivo la speranza nella Washington Square dove si parla spagnolo, arabo, indiano, cinese, e dove la gioventù fa a pezzi il puritanismo di una società che decide di condannare un giocatore di golf che colpisce una cicogna che sorvola il campo, e decide di preparare armi chimiche per lo sterminio dell'umanità. Mi decise ad accettare il ripetuto invito di un'organizzazione canadese i cui dirigenti sono miei amici, un po' la convinzione che, per conoscere bene la propria casa, bisogna fare ogni tanto un giro all'e-sterno e guardarla dal di fuori; un po' il desiderio di rivedere amici argentini cui mi sento fortemente legato. Il liberalismo borghese della società americana ha indubbiamente degli aspetti piacevoli: ve-nendo dall'America latina dove si deve esibire la cedola d'identità per salire su un bus e,fra poco, per entrare in un bar, lo scoprire che le minoranze etniche hanno diritto di esprimere la loro identità nelle feste, nel linguaggio, nei costumi, è molto piacevole. Ma quando uno scopre la emarginazione economica e sociale di queste minoranze si rende conto che il liberalismo che fu la conquista delle generazioni passate, si è congelato nel simbolo della statua della libertà.
In una famiglia argentina che condivise con noi le fatiche, gli affanni e le speranze della fraternità, rivissi una volta di più l'esperienza di come la gioia dell'amicizia può rinverdire il deserto dell'esilio.
Sul partire l'amica argentina chiede alla figlia di sette anni di darmi un ricordo. Laura si ritira nella sua cameretta e dopo un po' torna con un disegno che prelude la sua carriera di pittrice. Questo talento infantile, mi fa celare nella mia assoluta incapacità artistica; colpa della nostra formazione astratta a una sola dimensione. Il disegno rappresenta due soldati forniti di una mitragliatrice dalla cui bocca escono parecchi bang bang bang di un rosso vivo. l due sparano su un bersaglio comune che sta nel mezzo, il mondo. Sotto gli stivali dei due personaggi sta scritto rispettivamente USA e URSS. Probabilmente Laura deve alla sua trascultura questa imparzialità strategico-politica. Sul mondo volteggia un angelo che porta la striscia tradizionale come su tutti i presepi, con le parole peace no war. Mi pare curioso e un po' fuori tema un altro piccolo mondo alla destra in basso del foglio: pare una palla abbandonata in un angolo dopo il gioco. Sarà la speranza di un nuovo mondo di ricambio finito il gioco dei due tiratori?
Nel barrio di Caracas (ormai sapete che barrio è quartiere popolare povero) un maestro ha assegnato come compito ai bambini di rappresentare il loro ambiente. Ventinove disegni su trentacinque rappresentano la polizia che invade il barrio e spara sulla gente. Scendendo dalla fraternità per il centro di Caracas, in un taxi collettivo mi alzo trepidante per difendere la testa di un bambino che sta per sbattere contro una traversa di ferro. Il sorriso ironico della mia vicina di posto mi fa rinvenire che si tratta di una testa di plastica. Forse in quel momento riflettevo sull'aria di violenza che entra per tutti i pori, e quel bambino al naturale mi parve l'apparizione di un fantasma. Mi trasmise l'immagine di un mondo svuotato di vita che continua ad esistere come una casa abbandonata che custodisce appese alle pareti le immagini degli antichi abitanti. Ho ripensato alle bambole antiche le puppattole come le chiamava il nostro popolo toscano che volevano ricordare i bambini veri quelli che piangono respirano poppano e fanno il resto e nello stesso tempo ne marcavano la differenza, mostrando che la vita è vita ed è inimitabile. Questa imitazione perfetta del bambino iperalimentato e di apparenza felice, senza vita, mi apparve come il segno della nostra insensibilità pedagogica e una rinunzia a quella riverenza che gli antichi ci raccomandavano di conservare verso i bambini. Siamo incapaci di trasmettere ai bambini il senso reale della vita nella quale radica finalmente la gioia di vivere e l'entusiasmo di proiettarsi nel futuro. Il neonato di plastica simboleggia la nostra rassegnata accettazione della morte travestita da bambino, il demonio travestito da angelo di luce. È uno dei tanti segni che la società consumistica ha sradicato la capacità di critica e ci ha rapito per sempre il tempo e la possibilità di valutare da un punto di vista pedagogico e politico, gli oggetti che scegliamo. Ci vengono messi fra le braccia come questo mostruoso bebè, tanto più mostruoso quanto più perfetto nella imitazione del vero bebè. Non ci resta nessun spazio per riflettere su quello che conviene per formare una generazione meno distruttiva di quella che oggi ha in mano il potere di decidere. Sarebbe possibile sopportare quest'ora di angosciosa incertezza se fossimo capaci di semina re la speranza là dove può dare i suoi frutti.
In questo tempo ho lasciato Caracas per un tempo di meditazione che ho iniziato nel sud del Brasile con due amici sacerdoti con cui mi propongo di ripensare il nostro cammino in America latina. Cerco di difendere per lo meno fino a Natale questo tempo di stabilità, dopo tanto viaggiare. Il pessimismo che forse avete colto nelle mie osservazioni precedenti non mi porta a ritirarmi dalla scena e a prendere la decisione di mettermi fuori del tiro di una possibile esplosione atomica. La mia decisione é altra ed é stimolata dalle parole di Paolo: - guai a me se non evangelizzo - Il Signore sa che non voglio abbandonare il suo progetto cui ho legato la mia vita e in cui continuo a credere fortemente, di riconciliare gli uomini e le cose. Ma sento il bisogno di silenzio e di preghiere per aumentare il potenziale di speranza che é il contenuto della evangelizzazione. Siamo in una comunità contadina che offre il vantaggio di esigere tradizionalmente una predicazione in dialetto tedesco che tutti comprendono e che io non imparerò certamente, così l'ufficio pastorale é riservato a Sergio uno dei tre, e noi possiamo dedicarci ai "pensieri contemplativi". Spero per Natale potervi inviare ancora le mie riflessioni; sarete contenti di sapere che nel silenzio e nella calma si ripensano più facilmente le antiche amicizie e si ripensano con una intensità che il ritmo di lavoro a volte diluisce e disperde. E con questo rinnovato affetto vi abbraccio.
Arturo


Dicembre '83
Miei cari Amici d'Italia:
Spero di arrivare in tempo per augurarvi un buon Natale; ma sapete che, anche se non lo esplicito, sono con voi sempre nella preghiera e nel ricordo, specialmente quando le ricorrenze festive ci riportano alle persone cui siamo legati per sempre. Nell'anno 1983 ho sentito in me un invito irresistibile di inviarvi un regalo, un piccolo libro in cui ho cercato di rifare il mio cammino di fede. Perdonatemi se ho la presunzione di definirlo regalo; ma se giudico dalla sofferenza che mi è costato e dalla passione che vi ho messo, non posso non sentirlo come un dono. Ho trovato il coraggio di andare in fondo pensando a voi che avete il diritto di sapere a che punto è la mia fede, perché vivendo avvenimenti drammatici, che sfidano continuamente la nostra speranza, dobbiamo chiederci se ancora stiamo in piedi decisi ad andare incontro al tempo che viene, con coraggio.
Forse questo libro conterrà passaggi oscuri perché confesso che è il meno elaborato dei miei libri, che non peccano di eccessivi ritocchi. La ragione non va ricercata tanto nella mancanza di tempo, quanto nella difficoltà che trovo nel ritornare a freddo sul momento di grazia e di entusiasmo che mi ha spinto ad aprirmi senza pudore. Non so quale sarà il titolo del libro perché lascio all'editore la libertà di scelta e tutte le operazioni maquillage che faranno apparire le pagine meno selvagge.
Questo dono che vi ho inviato sul finire dell'anno è per me motivo di gioia perché "un uomo é nato" come dice il Vangelo, anche se è un uomo destinato ad essere povero e un po' marginalizza-to. Ma in questo anno che muore sono più numerosi e profondi i motivi di tristezza che tutti condividiamo, e che il rumore di tutti i sacerdoti del consumismo non riescono a ricoprire. Pesa sull'umanità la minaccia di un terribile diluvio ardente, non mandato da Dio: forse mai Dio ha pensato di castigare l'umanità, siamo noi che lo abbiamo incolpato delle nostre decisioni deliranti, e oggi non siamo meno irresponsabili di ieri. La mia grande sofferenza si concentra sul Nicaragua, non solo perché mi sento latino-americano di adozione, ma anche perché vedo in Nicaragua come lo svelarsi del dramma storico che stiamo vivendo. La Chiesa vi giuoca un ruolo tristissimo ed è fatale questa cecità della Gerarchia che favorisce, senza lasciare ombra di dubbio, l'aggressione americana che arriverà a spegnere nel sangue tutte le speranze di questo popolo coraggioso che stava entrando in una epoca veramente nuova della sua storia . Certo i semi che i suoi martiri hanno affidato alla terra non moriranno, ma a noi tocca vedere questa stagione di morte. Un segno chiaro è l'opposizione della Chiesa alla coscrizione militare obbligatoria. Nei paesi capitalisti la Chiesa che io sappia, mai si é schierata chiaramente dalla parte della disobbedienza civile.
Lo fa solo contro un piccolo popolo aggredito da un gigante, e questo è immensamente triste. La scelta del Nicaragua mostra chiaramente la Chiesa dalla parte del capitalismo e dell'imperialismo americano. Non può riscoprire questa scelta col pretesto abusato di difendere la dottrina, perché questo popolo che si presenta a tutti quelli che lo conoscono nella sua semplicità affascinante, sa solamente "ciò che la Parola ha incorporato alla sua esperienza di fede, cioè che non bisogna temere quello che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima, e che nessuno ha amore più grande di chi da la propria vita per i suoi amici" come scrive Raniero La Valle.
La vera grande sofferenza di noi che viviamo con i poveri e che scopriamo i loro valori, è costatare giorno per giorno che non sono ascoltati nella Chiesa come non sono ascoltati nella società politica, senza differenza alcuna. Sono oggetto di beneficenza, non soggetto della storia. Il Papa ha indicato nella solidarietà con loro il cammino per "fare la Chiesa dei poveri"; ma se questa solidarietà si trasforma in elemosina, in assistenza, in beneficenza imputridisce e invece di essere quel valore umano e divino che salva la storia, si unisce a tutti gli antivalori che minacciano le nostre speranze. La Chiesa ha fatto sua questa parola solidarietà; ma forse molti sono impreparati a questo vero consorzio al compagnerismo con quelli che hanno solo le mani per vivere e per fare esperienza del mondo. Chi come me è vissuto molti anni confidando solo nella ragione e nel prodotto della ragione, osserva che il lavoro delle mani dà frutti più sani e più saporiti dei prodotti del pensiero. Finché non saremo capaci di assimilare l'esperienza di coloro che affondano le mani nella terra, e toccano continuamente la materia avremo un mondo con questi paurosi squilibri fra un progresso affascinante e una cultura che disumanizza e dissecca la speranza dell'uomo. La Chiesa dovrebbe essere l'organo di trasmissione di questa esperienza dei poveri. L'enciclica "Laborem exercens" lo fa sperare; ma la prassi della chiesa spesso ci delude, e dobbiamo affermarlo senza false diplomazie in un momento in cui la menzogna è particolarmente grave perché le scadenze fissate dalle relazioni aggressive fra i popoli, si fanno sempre più imminenti. Dobbiamo chiudere i nostri salotti come facemmo nella ultima guerra, sopprimere i minuetti religiosi e politici a cominciare ad essere seri e a guardare in faccia la nostra realtà. Vi scrivo dopo una lunga preghiera; avevo bisogno di calmarmi e ho sentito che se vivo l'oggi con speranza, cercando di non lasciarmi sfuggire nessuna occasione di amare, nessuna occasione di uscire dal mio egoismo, avrò infuso nella storia una piccola particella di amore. In fondo, pensavo, i funghi nucleari che minacciano il mondo vengono dall'atomo e perché un atomo di amore non riuscirebbe a respingere la morte che ci minaccia?
Vi lascio, ma il dialogo fra noi in questo '84 continuerà arricchito di amore e di speranza.
Brasile dicembre '83


Arturo


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1984, Gennaio 1984

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