In una riflessione alla luce del Vangelo su povertà e pace impressiona e sgomenta il misterioso parallelismo dei due valori. La pace è possibile unicamente se inquadrata in un progetto di povertà. Ed è in un apprezzamento chiaro, serio, libero di povertà che possono aprirsi e diventare promettenti, ipotesi di pace.
Logicamente è anche vero il contrario e cioè che la ricchezza (economica, culturale, di potere...) è l'equivalente della concorrenza, della conflittualità, della guerra. Come è ugualmente vero che la guerra nelle sue maledette radici, nelle cause che la provocano, è sempre stata e sarà scatenata dalla ragione economica, dalla ricchezza, dall'insaziabilità del potere.
Non è certamente vaneggiamento spiritualistico, misticheggiante, affermare che povertà sta alla pace come la ricchezza sta alla guerra. Equivalenza, povertà e pace, disgraziatamente per l'umanità, mai esperimentata nella storia, quella a livelli di rapporti individuali, collettivi, universali. Un'utopia palpitata nel cuore di Dio e resa progetto concreto da Gesù Cristo e da chi come lui è stato affascinato dal sogno di una umanità diversa.
Mentre invece tutta la violenza del convincimento dell'umanità, é stata giocata nell'equivalenza, ricchezza e guerra, con un'attualizzazione storica incessante, senza un attimo di respiro, nonostante che la narrazione storica sia racconto di oceani di sangue, di vastità smisurate di orrore, di cimiteri sterminati di morte.
Proporzione matematica, ricchezza e guerra, che non soltanto il cammino della civiltà umana non ha gradatamente, per l'orrenda esperienza, smentito e finalmente respinto, ma ormai condotto all'esasperazione più spietata e disumana, fino al punto che il connubio diabolico della ragione economica e della guerra, sta preparando e perpetrando l'annientamento dell'umanità.
La povertà cioè il non affidare e consegnare alla ricchezza, ai valori materiali, terreni, la dignità dell'essere umano, i criteri di convivenza sociale, è sempre più assurdità inconcepibile e inaccettabile. Quindi la pace cioè il non affidare e consegnare alla guerra, al potenziale militare, all'intrallazzo politico e all'affarismo economico, la serenità individuale, la fraternità collettiva, il rispetto vicendevole fra i popoli, è stupidità culturale, politica, ingenuità popolare inattendibile, immeritevole di qualsiasi attenzione e apprezzamento.
È realmente difficile capire e accettare, in questo nostro tempo nel quale la sopravvivenza della vita umana è appesa ad un filo che sembra assottigliarsi ad ogni giorno che passa, come e perché la pace sia un'impossibilità concreta, reale, storica.
Forse ad una maggiore, profonda comprensione di questa impossibilità non solo di pace ma anche semplicemente di non guerra e di non guerra nucleare, può soccorrere una serietà di analisi nei confronti della sconsiderazione, dello scadimento totale della povertà: deprezzamento fino alle misure dell'assurdità più assoluta.
Questo vuoto religioso, culturale, sociale, determinato dalla respinta della povertà nella condizione di male di negatività, di non umanità, ottiene semplicemente un rimpiazzo, un riempitivo sovrabbondante, incontenibile, incontrollabile e cioè quello della ricchezza, dell'arricchimento, della capitalizzazione ecc.
La povertà è un male, la ricchezza è un bene e sempre più un bene assoluto, al di là e al di sopra di ogni e qualsiasi valutazione e importanza.
L'uomo è uomo proporzionalmente al valore e alla misura della sua entità economica.
Un popolo è un popolo al quale qualsiasi diritto appartiene, in base e in forza dei livelli di strapotenza della sua economia.
Ormai il nostro tempo ha finito di gettare le basi e d'innalzare, sul piedistallo del potere economico, il vitello d'oro. L'idolatria del denaro è un fatto compiuto e le liturgie sono tutte codificate e celebrate con straordinaria devozione.
Contemporaneamente il nostro tempo sta capitalizzando all'est e all'ovest l'oltre misura del potenziale già sovrabbondante per la distruzione dell'umanità.
La distruzione estrema appartiene all'assolutizzazione della ragione economica, della ricchezza. La corsa all'aggravarsi, ad ogni giorno che passa, dello scontro economico, del potere politico, rende inevitabile lo scontro nucleare.
E è tragicamente ridicola l'implorazione "ai reggitori dei destini dei popoli perché desistano dalla corsa agli armamenti specialmente nucleari" se insieme e prima ancora non si cerca con ogni mezzo di distogliere l'umanità dall'adorazione del vitello d'oro e cioè dall'impazzimento dell'assolutizzazione della ricchezza, della potenza economica, della volontà di asservimento al proprio egoismo, individuale e di popoli, di tutto quello che produce e può produrre denaro.
La salvezza della dignità dell'esistere umano prima di tutto e quindi ormai della sua stessa sopravvivenza, in un'analisi alla luce della Fede (e a quale luce noi credenti dobbiamo leggere i segni dei tempi?) risulta sempre più evidente che possa dipendere dalla evangelizzazione e cioè dalla seria, responsabile, autentica evangelizzazione della povertà.
L'annuncio delle Beatitudini, questa sintesi del messaggio di Gesù Cristo e della sua scelta di esistenza storica, dalla stalla di Betlem alla croce del Calvario, non è certamente per fare del devozionalismo. È la Parola che offre l'alternativa alla perdizione dell'umanità andata realizzandosi, di secolo in secolo, lungo la via del progredire della civiltà e cioè del potere economico, culturale, politico e ovviamente militare.
Ecco, siamo all'orlo dell'abisso: ci stiamo girando intorno e pare che il richiamo sia irresistibile. Forse é arrivato il tempo in cui la Parola di Gesù Cristo potrebbe e dovrebbe essere considerata seriamente.
Il terribile, lo sconcertante è che questa Parola è l'equivalente della povertà.
E della povertà (anche soltanto intesa come non accumulo della ricchezza, del potere, del dominio...) è assolutamente assurdo e quindi impossibile anche soltanto parlarne.
Perché parlarne dai troni del potere è svalutazione della pace, strumentalizzazione, merce di scambio. Compra-vendita. Propaganda-sfruttamento. Equivoco, menzogna. Fino a diventare ed essere la pace motivo di guerra o l'eterna orrenda giustificazione della guerra.
Perché ormai per parlare di pace bisogna essere degni. E cioè "non avere due tuniche, due calzari, né oro, né argento, né rame nella cintura". E insieme tutta l'inesauribile, immensa, splendida libertà, di alzarsi e di andarsene, di dove (e qual'è questo luogo, oggi?) la pace è impossibile che riposi. "Andarsene fino a scuotere la polvere dai sandali".
Questa evangelizzazione la Chiesa, la cristianità, non soltanto non la sta facendo, non la può fare, gliene manca la Fede e la libertà.
Anche la Chiesa non crede nella povertà e nella libertà esclusivamente legata, un tutt'uno, con la povertà. La Chiesa quindi parla e parla e parla di pace ma è come se non ne parlasse. Semplicemente perché le parole non sono la Parola.
E ormai è chiarissimo, come la luce del sole, che o la pace sarà la pace secondo la Parola, o pace non sarà. E adesso non pace vuol dire l'inimmaginabile.
La povertà dalla quale unicamente può fiorire la pace ("non si raccoglie l'uva dai rovi né i fichi dalle spine") è storicamente impossibile, è assurdità anche soltanto il sognarlo.
Ma sta avvenendo qualcosa di ancor più assurdo, pazzesco, il rovesciamento micidiale dei valori: ciò che più è povero, povertà assoluta è proprio la pace.
La pace è la bava che sbavano tutti. Lo straccio con cui si puliscono la bocca. Il ritrovato per l'imbonimento popolare. La parola da gettare in pasto alle folle per conquistarne la simpatia. Per convincere di un senso umano, di una missione apostolica, di una passione patriottica...
E nel frattempo la pace è il prezzo del terrore universale. La distruzione del mondo per poter sperare possibilità di pace.
E l'alternativa orrenda ha creato i signori, i padroni della pace e della guerra: è per via della pace, a causa, per amore della pace che le due centrali del potere economico, politico, militare, scientifico, ideologico ecc. decidono della sopravvivenza o dell'annientamento dell'umanità.
Fino al punto che della pace e perfino della sua speranza sono stati depredati i popoli: ugualmente quelli dell'est e quelli dell'ovest.
Perché per la pace i popoli dell'area del Patto di Varsavia non contano niente. E non possono fare nemmeno manifestazioni. Ugualmente i popoli dell'area della Nato per la pace non contano niente nonostante che facciano e appassionatamente manifestazioni per la pace.
Povertà suprema della pace: è totalmente proprietà dei signori della guerra.
Nel tempo della guerra nucleare è sempre più chiara la Parola: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non quella che dà il mondo...".
È vero: la sua è la pace di Dio.
L'altra è quella degli uomini... sembra proprio che unificazione della pace di Dio e della pace degli uomini sia ormai impossibile per l'impossibile conciliazione fra povertà e ricchezza.
in Lotta come Amore: LcA gennaio 1984, Gennaio 1984
Luigi Sonnenfeld
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