C'è un'"Arca" per gli handicappati

Spesso nel nostro grande capannone, dove col nostro lavoro artigianale cerchiamo di guadagnarci il pane quotidiano ma anche il ritrovare il vivere la dignità del lavoro fatto di cuore e di mani, spesso arrivano visitatori.
Chi vuole un lavoro chi un altro, curiosità da soddisfare, qualche pregiudizio in cerca di chiarimenti o anche perché quel tipo non sa dove trovare da scambiare una parola.
E spesso assistenti sociali, genitori in cerca di un'accoglienza per quell'emarginazione alla quale ancora non è dato di entrare a far parte della convivenza umana.
Ogni tanto capitano scolaresche. Gruppi di bambini, di ragazzi a formicolare qua e là nei diversi reparti di lavoro, incespicando nella grande confusione che regna dovunque, rovistando in ogni angolo a scoprire i motivi di curiosità, d'interesse, di stupore.
Si raggruppano qui, là, intorno a chi lavora e vogliono sapere tutto. Cos'è questo, cos'è quest'altro. A cosa serve quest'attrezzo, com'è che è possibile fare questo lavoro.
Quando sarò grande anch'io voglio lavorare. Anche mio padre fa questo lavoro. Ma quanto guadagni? Sei un prete allora perché lavori?
Fammi vedere come si fa a saldare. E quanto tempo ci vuole a impagliare le sedie... E poi la falegnameria, il lavoro della pelle. Sciamano sulla scala di legno a vedere la rilegatoria dei libri.
E naturalmente l'attenzione più interessata è al lavoro della ceramica, anche perché lì c'è il numero maggiore dei giovani handicappati.
Logicamente l'attenzione intorno a loro si approfondisce per problemi molto più complessi e profondi. Qualche settimana fa è venuta una classe di terza media di una scuola della darsena. Di questa visita al nostro laboratorio ne hanno fatto oggetto di una ricerca rielaborata fra loro in classe insieme alla loro insegnante. La fatica di questi ragazzi è stata pubblicata su un quotidiano della città.
La offriamo volentieri ai nostri amici di Lotta come Amore.

C'è in Darsena, in mezzo ai piccoli cantieri di via Virgilio, un capannone che apparentemente non è diverso dagli altri: bozze e lamiere, grandi vetrate e ferro. Vicino all'entrata leggiamo il nome scritto sopra un cartello: A.R.C.A. (Associazione Ricerca Cultura Artigiana). L'atmosfera all'interno è serena: la gente lavora in modo tranquillo e costante, ognuno è impegnato a svolgere con serietà il proprio compito. Il grande salone che occupa tutto il piano terra dell'edificio è diviso in vari settori dove piccoli gruppi di persone sono occupati a forgiare il ferro, a impagliare le sedie, a lavorare il cuoio e la creta ed al primo piano a rilegare i libri. Questo capannone si differenzia dagli altri del suo genere per i lavoratori che ospita; ci sono infatti quattro preti operai (Don Rolando, Don Sirio, Don Luigi e Don Beppe), 13 handicappati e due obiettori di coscienza che svolgono qui il loro servizio civile. Dei 13 ragazzi, la maggioranza ha superato i vent'anni e quelli che presentano maggiori difficoltà, lavorano nel settore della creta. Ci sono anche due donne specializzate per assistere questi ragazzi; Franca che li aiuta nel loro lavoro ed Eleonora che si occupa della parte tecnica.
L'USL paga l'elettricità, le assicurazioni, il pulmino che li porta sul posto di lavoro e la mensa la quale è presso i Cantieri Benetti ed è gestita da una famiglia. Il guadagno è scarso ed i sacerdoti ricavano gli stipendi da quello che riescono a produrre, che non è molto.
Lo scopo di questo capannone non è comunque legato al guadagno, né quello di dare un lavoro a vita a questi handicappati, ma di insegnare loro un mestiere che possano poi esercitare presso una fabbrica o un ente pubblico. Una legge regionale ben precisa dice che ogni azienda, con un personale di circa venti operai, dovrebbe assumere un ragazzo portatore di handicap. Naturalmente questo non avviene, altrimenti il problema dell'occupazione del ragazzo handicappato sarebbe già in parte risolto. Don Sirio ci ha detto che per ora nessuno dei ragazzi dell'Arca ha trovato lavoro, anche quelli che sarebbero stati in grado di svolgerlo con una sufficiente autonomia.
Nonostante che l'Arca non sia ancora riuscita a concretizzare questo scopo, rimane il fatto importante che questi ragazzi sono contenti del loro lavoro e soprattutto si sentono utili.
È infatti importante per loro essere considerati come gli altri e vedere il frutto delle loro fatiche che non è fine a se stesso ma serve a produrre anche un minimo guadagno. Non a caso infatti ogni anno questi ragazzi partecipano alla festa della SS. Annunziata vendendo personalmente gli oggetti fabbricati e con il ricavato fanno delle feste oppure organizzano delle gite. Ed è con grande soddisfazione che vedono le loro creazioni scelte dagli altri ed anche in questo modo si sentono meno diversi. È un dato di fatto che la società non è ancora pronta per accoglierli: il mondo del lavoro, soprattutto ora con il problema della disoccupazione, non offre alcuna possibilità. Questo capannone non è ovviamente la soluzione del problema generale, ma è secondo noi un esempio di come la questione può essere affrontata.
(III G)



in Lotta come Amore: LcA giugno 1984, Giugno 1984

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