Ho sohnato Papa Wojtyla

Non so bene cosa significhi psicologicamente raccontare dei sogni: può anche essere che voglia dire non avere cose reali, concrete da raccontare e allora uno si rifà con i sogni. Può anche essere che realmente non ci sia nulla, oggettivamente, storicamente, da raccontare e non certamente per svalutazione di quello che sta succedendo, ma anche perché tutto è ormai raccontato, fritto e rifritto., fino alla noia e non è il caso d'immalinconire perché non capita più niente di nuovo sul quale riversare attenzione, entusiasmo, speranze. E allora dal momento che è donata questa grande risorsa umana (spesso è stata utilizzata e adorabilmente anche dal "divino") questa possibilità di consolazione che è il sognare, conviene abbandonarci ai sogni.
Dolcemente e serenamente. Come sognano i bambini. Come sognano i cani sdraiati al tepore del sole.
Ho scritto un libro di sogni. E l'Editore mi ha scritto che sì ha avuto un certo successo ma non grandissimo. Le librerie cattoliche, dice lui, non l'hanno favorito perché giudicato "troppo avvenieristico". Ma poi forse perché racconta di "sogni antichi e nuovi" e il mondo cattolico ormai è tutto rivolto al concreto, all' immediato, cioè al temporal-trionfalistico di un Regno di Dio da ottenersi nelle piazze, attraverso valenze e successi di pastorali temporalistiche, di risorse e ritrovati assai più di questo mondo che del mondo di Dio.
Nonostante quindi la ridicolezza e l'assoluta inutilità del sognare, a me succede ancora di sognare. E mi avviene di sognare ad occhi aperti: cosa assolutamente imperdonabile e realmente risibile, alla mia rispettabile età, in cui non dovrei più avere sogni per il capo, ma invece saggezza e senso del concreto, se un po' d'esperienza mi è stato dato di vivere come giustamente si spera.
E come se questo sognare ad occhi aperti non bastasse mi avviene di sognare anche dormendo. E non soltanto sogni che visti attraverso la filigrana dell'analisi potrebbero spiegare chissà cosa del misterioso subcosciente che abita e imperversa nei fondali del nostro oceano interiore, ma anche sogni netti, chiarissimi, come visioni in piena luce, concreti e reali come fatti realmente avvenuti. Sogni cioè così veri come una traduzione fedelissima del concreto in immagini irreali, ma strasposizione nel sogno di una precisa realtà non vissuta eppure appassionatamente desiderata.
Insomma ecco il racconto di questo sogno di stamani, domenica, 14 Maggio, poco dopo le sei. Un filo di luce filtrava già dalla finestra socchiusa. Mi ero svegliato molte volte, come ormai mi succede durante la notte. Avevo tutta l'impressione spiacevole che non mi sarei addormentato più e pazienza, tanto mi dovevo alzare alle 6,30. Sono rimasto in quel sereno assopimento al quale mi sono abituato per cercare di rimediare al non dormire, in attesa che suonasse la sveglia.
E invece mi sono addormentato e ho sognato un momento di estrema lucidità e commozione. Come se fossi nella mia chiesa di quando ero bambino. Accanto alla porta che di chiesa immette nella sacrestia, accanto alla grande colonna che regge il frontone del presbiterio.
Papa Giovanni Paolo, ma è meglio che dica papa Wojtyla, stava per entrare nella porta della sacrestia. Era col suo abito talare bianco, la sua immagine era precisa, nettissima, aveva il volto sudato, i capelli leggermente bagnati di sudore. Sereno anche se molto affaticato. Mi sono avvicinato, ansioso e dolcemente felice. Gli ho preso le mani e poi l'abbracciavo con grandissimo affetto e abbracciandolo il mio volto si è appoggiato al suo, sentivo il bagnato del suo sudore. Lui rispondeva all'effusione affettuosa, dolcemente, quasi con abbandono. Una gioia profonda come per un Amore pieno, sicuro, totale. Così tanto e così vero che gli ho detto: ma sai che io ti amo. E ora mi guardava e vedevo bene che credeva a questo mio Amore. E allora ho cominciato a dirgli ed era con Amore e Angoscia, uno struggente desiderio e voglia infinita di potergli dire di questa Angoscia: ma perché non parli della povertà, della semplicità, della fraternità... perché non racconti soltanto del Vangelo...
Mi stringevo nuovamente nell' abbraccio, vedevo il bagnato di sudore del suo volto, dei suoi capelli bianchi. Non mi ha detto niente, non una parola, mi guardava con profonda, malinconica dolcezza. E io ho continuato a dirgli, ma era la mia Angoscia che parlava perché non vi era ombra di polemica, di risentimento, di rimprovero, ma unicamente (lo ricordo benissimo) quello struggente Amore perché lui fosse e facesse quello che gli dicevo, era importante, decisivo per lui, per lui personalmente e quindi come papa. E gli dicevo: perché tutta quella grandiosità, quell'importanza... non sono le cose del mondo che fanno il regno di Dio... è la povertà, la povertà...
Ho aperto gli occhi e mi sembrava di vedere ancora, continuavo a provare fisicamente la sensazione dell' abbraccio, del volto bagnato di sudore, della dolcezza dello sguardo e della profonda stanchezza. E la pace per aver potuto dire a papa Wojtyla le parole della mia Angoscia e del mio Amore.
Mi sono alzato e ancora non aveva suonato la sveglia, non erano ancora le 6,30.
Forse il sogno era durato pochi secondi. Perché sempre la Verità e la Sincerità il tempo che passa se le porta via rapidamente. Durano forse come un batter d'occhio o un palpito di cuore. Tanto più quindi la Verità e la Sincerità quando non possono essere altro che un sogno.


Sirio


in Lotta come Amore: LcA giugno 1984, Giugno 1984

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