La Teologia della pace

Questo lungo articolo l'avevo scritto perché doveva far parte di una collaborazione ad un libro sulla pace. Per motivi redazionali non è stato possibile collocarlo nella stesura della pubblicazione. Mi permetto allora di offrirlo agli amici del nostro giornalino pensando che possa esserci chi, armato di pazienza, gli interessi leggerlo.
Chiedo scusa della prolissità e anche della eccessiva fatica, inevitabile, a leggerlo.
Come ormai risulterà agli amici, secondo me il tema della pace, prima che da ogni altra angolatura e motivazione, certamente sempre importante, andrebbe affrontato anche dalla parte di Dio, di Gesù Cristo, dello Spirito.
È chiaro che non sono un teologo e tanto meno un contemplativo.
Semplicemente sono un pover'uomo condotto dalla lunga e faticosa esperienza di Chiesa e di vita umana a credere che la Pace è Fede. Fede in Dio, Fede nell'Uomo.
Sirio


La Teologia della pace
"Ecco la dimora di Dio con gli uomini!
Egli abiterà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed Egli sarà <Dio-con-loro>. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi: non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate".
E Colui che sedeva sul trono disse "Ecco, io faccio nuove tutte le cose".
(Apoc. 21,3-5)

"Una mentalità nuova che includa una teologia della pace adeguatamente sviluppata richiederà contributi da diversi settori della vita della Chiesa: studi biblici, teologia sistematica e morale, ecclesiologia, nonché le esperienze e le intuizioni di quei membri della Chiesa che in vari modi hanno lottato per costruire la pace in questa epoca spesso violenta.. Non intravediamo le caratteristiche di una teologia della pace, ma non abbiamo una visione sistematica delle loro relazioni interne".
La sfida della pace
Lettera pastorale dei vescovi USA

1 - Umiltà e teologia
Che io, povero prete dal martello in mano, ormai da oltre venticinque anni e con il tempo e le forze logorate dal camminare gomito a gomito con la gente sulla strada della vita e della storia, che io mi permetta di fare della teologia, è perlomeno presuntuoso.
Me ne rendo conto ma certa presunzione può anche non essere un male o un peccato imperdonabile quando tutto è assolutamente senza pretese. Il Magistero ha tutto il mio rispetto e la mia obbedienza da sempre. Ma penso e credo che fatta questa obbedienza di spazio per muoversi, camminare e anche volare ne rimane all'infinito. La verità dogmatica non chiude l'anima ma piuttosto l'apre, la spalanca, costringendola ad affacciarsi dove non è nemmeno l'orizzonte, dove "occhio mai vide e orecchio non udì".
Non sono un'esegeta, altro che come uno che scruta e contempla il cielo stellato e se ne inebria pur non essendo astronomo: guardo il firmamento stellato della rivelazione di Dio e il brividìo di luce incessante, ma cerco di salire oltre le costellazioni, d'intuire al di là, e chi può misurare gli spazi, il mistero d'infinito Amore là, dove e soltanto, è Dio?
Il bambino del catechismo da un bel pezzo è lontanissimo ricordo e così è anche del giovane seminarista degli anni di teologia: non studiavo affatto - nemmeno tagliavo i libri - del Diritto Canonico e non riuscivo ad occuparmi seriamente della Teologia Morale per un rifiuto invincibile delle leggi e delle casistiche. Studiavo invece, ma era come quando pregavo, la Teologia Dogmatica e certamente attraverso la conoscenza esegetica delle Sacre Scritture, i padri ecc., ma seguendo anche intuizioni, elevazioni, contemplazioni del Mistero di Dio, in Se stesso, in Gesù Cristo, nell'Amore Spirito Santo.
Ho sempre pensato che avere le ali - Rivelazione, Magistero, Dogmi ecc. - è dolcissima grazia di Dio, ma aprirle le ali e volare nell' azzurro del cielo ed inebriarsi d'infinito spazio e di chiarissima luce, è il dono dell'adorabile rapimento dello Spirito di Dio.
Lo sguardo del cuore, il dilatarsi dell'anima, l'umile e semplice preghiera di adorazione può essere quell'intuizione, quell'elevazione, quella contemplazione. Niente quindi di straordinario.
La teologia è la via dell'andare e del venire di Dio e dell'uomo, in un andirivieni incessante di Cielo e di Terra, di Rivelazione e di Risposta, come in un gioco bellissimo ed estasiante a irradiare Amore. Se in questo riflettersi a specchi parabolici del divino e dell'umano non si frappone nebbia, oscurità, caligine, ma tutto è nella trasparenza di Fede limpidissima, allora nell'uomo, anima e corpo e storia, è possibile cogliere e adorare l'immagine e più ancora il volto di Dio e nel Mistero di Dio è dato di intravedere e contemplare tutta la realtà, vita, morte, destino, dell'uomo e della sua storia. La teologia oltre alla fatica di dissipare, svanire ogni nebbia e tenebra, liberando e dilatando la conoscenza, ravvicinare le distanze e mettere a fuoco la visione, la teologia è per donare certezza all'incertezza della Fede, accendere l'Amore del cuore a fiamma inestinguibile, sostenere la trepi-dante e spesso ansiosa attesa della Speranza.
Se teologia è scienza di Dio è chiaro che il campo nel quale cercare il tesoro, richiede volontà di lavoro, di fatica, quell' ansia adorabile di desiderio, di bisogno assoluto di trovare la chiarezza, la verità e cioè il segreto nascosto nella insondabile profondità di Dio, fino ad arrivare a scoprire il cuore di Dio, quell'intimo nodo che stringe e racchiude l'essere di Dio, il punto focale di conver-genza della divinità e irradiante tutta la sua manifestazione.
La teologia: è il rapporto eternità e tempo, cioè il farsi tempo dell'eternità e quindi il rapporto creatore e creazione e il farsi creatura del creatore e poi (ancora di più la visione è chiamata a purissima, verginale trasparenza) il rapporto Dio e umanità e cioè il farsi umanità e storia, di Dio.

2 - Novità e teologia
Ma è praticamente, umanamente impossibile il decantarsi, il purificarsi della teologia dagli inquinamenti, annebbiamenti dell'umano. Perché non esiste e non può esistere uomo liberato dalla sua storicità, dall'essere circoscritto e quindi prigioniero del suo tempo, della sua terra, della cultura del suo popolo. In fondo è vero che la Fede in Gesù Cristo è tutta qui: uomo perfettamente e totalmente libero, concretezza storica perfetta e libertà assoluta, circoscritto in un luogo e in un tempo e appartenente ad ogni angolo della terra e a tutto il tempo della storia, Figlio di un popolo e di una cultura ermeticamente chiusa e incidenza profonda nella storia di tutta l'umanità. Eccezionalità così straordinaria, letteralmente unica fino al punto da poter ottenere convincimento del suo essere Dio. Perché tutto qui e dovunque, in questo momento e sempre, di un popolo e di tutti i popoli... appartiene esclusivamente a Dio.
Prima di Gesù Cristo e dopo di lui appartiene agli uomini e qualifica la loro verità e onestà, proporzionalmente, la fatica della ricerca di una qualche misura di liberazione, di purificazione dalla carcerazione storica e quindi di capacità intuitiva, conoscitiva della verità, di qualsiasi verità, ma, è chiaro, particolarmente della verità di Dio.
È di qui che s'impone per la teologia e la sua ricerca di conoscenza di Dio, la necessità vitale e quindi umile e semplice, di muoversi, eterna pellegrinante, di terra in terra, di popolo in popolo, di tempo in tempo. Non può appartenere a nessuno, come l'aria da respirare e il sole, la spaziosità dei cieli e il tempo che corre. Qui la proprietà assai più che in tutto il resto è sacrilegio perché incatenamento di Dio, un segnare confini all'infinito, stabilire e programmare la manifestazione del Mistero.
Forse alla teologia (questo misterioso perdersi della conoscenza umana nella ricerca della conoscenza di Dio) nella storia dell'umanità, non è stata consentita questa liberazione.
Anzi nei millenni la teologia di ogni religione ha subito violenza cioè schematizzazioni obbligate dentro le oppressioni storiche, quando non è avvenuta una vera e propria strumentalizzazione a giustificazione della disumanità, a copertura e più spesso ancora a garantire alleanze della divinità. La teologia, ma è parola sintesi di tutto il religioso, richiede sempre più, anche qui onestà è sangue che circola nelle vene, un riconoscere contaminazioni, imprigionamenti, oppressioni, servilismi, strumentalizzazioni e chiedere umilmente perdono, che non vuol dire dichiarazione di errori ecc. ma semplicemente di aver "obbedito più agli uomini che a Dio".
Forse è venuto il tempo in cui teologia non è più esclusività di scienza, specializzazione di qualificati: si sta imponendo sempre più, piaccia o no, un magistero che è quello della storia, però di una storia non fatta da regnanti ma dal popolo.
Si tratta di un magistero esercitato da una contingenza storica determinata dalle scelte dei potenti ma che rimangono rovesciate e trasformate in storia totalmente diversa e nuova al momento del loro impatto con le realtà popolari.
La teologia dei "segni dei tempi" è anche la teologia e più ancora la visione e contemplazione dei "segni di Dio".
E può essere che questo nostro tempo sia il tempo dell'inizio di nuova storia di coinvolgimento di Dio e umanità.
È in questa Fede che la "Teologia della Pace" può essere "il granello di senape che, seminato, cresce, diventa albero e gli uccelli vengono a fare il nido fra i suoi rami. Può essere il pugno di lievito impastato in misure di farina: una forza capace di lievitare tutta la pasta".

3 - Libertà e teologia
Affermare e credere che la pace s'identifica con l'Essere di Dio non è certamente una ricerca di strumentalizzazione pacifista, disarmista ecc. E nemmeno tentativo di liberazione di Dio, uno scioglierlo da ogni e qualsiasi alleanza, disinquinando il mistero della divinità da compromissioni temporali, da impossessamenti determinati da poteri terreni, da necessità strategiche, militari. Questa liberazione di Dio cammina allo stesso passo e sulla medesima strada lungo la quale va avanti sia pure faticosamente la liberazione dell'uomo. Perché tutto è congiunto fra uomo e Dio, divinità e umanità, sia nel bene che nel male e quindi nella pace e nella guerra: non è possibile e nemmeno ipotizzabile una liberazione dell'uomo se in antecedenza o almeno simultaneamente non avviene una liberazione di Dio. Perché Dio è per i credenti e per i non credenti è come l'aria che si respira: non è data una respirazione ossigenata se l'aria, l'atmosfera, non è purificata, disinquinata. Tutta la storia dell'umanità credente o no, risente e porta le conseguenze, come ferite spesso mortali o come piaghe non cicatrizzate, della non trasparenza dell'idea di Dio, della libertà di Dio e della costrizione perpetrata dalla religione per strappare Dio dal suo essere pace e coinvolgerlo nelle imprese degli uomini che hanno dilagato di lacrime e sangue l'umanità intera e tutta la sua storia.
Forse è di qui, dalla realtà storica di questo sacrilegio, che è assurda o perlomeno sforzata, soltanto sognata, una teologia della pace senza che in antecedenza sia affrontata una rilettura della Bibbia e senza chiedere perdono all'umanità e alla sua storia, da parte del Cristianesimo nei confronti dei sedici secoli della storia cristiana.
Una teologia della pace può voler dire due cose: una fatica profonda, sofferta e coraggiosa per ritrovare, come pagliuzze d'oro nella sabbia del fiume, sprazzi di luce di pace nel pesante e torbido buio della storia della Chiesa. Oppure in secondo luogo, partire dalla condizione storica attuale determinata dalla realtà dell'esistenza del potenziale nucleare capace di concludere l'esistenza dell'umanità e scoprire insieme alle ragioni strategiche, politiche, economiche, militari, anche motivazioni teologiche e responsabilità morali, verità cioè raccolte nel mistero di Dio e nella coscienza dell'umanità. Nel primo caso è evidente una specie di fatica apologetica con il risultato di una sforzatura culturale e quindi di accentuazione di equivoco con in più una raccolta di copertura buona soltanto a tentare di smaltire pesanti responsabilità. Di questa fatica ne è testimonianza la prima parte della lettera pastorale dei Vescovi USA "la sfida della pace".
Nel secondo caso impressiona e sconcerta (anche se le vie di Dio, è vero, sono infinite e i segni dei tempi vanno letti e scrupolosamente interpretati) il fatto che a provocare una teologia della pace sia la paura. E è evidente che la paura anche se è, come dicono, l'equilibrio del terrore a salvare la pace nell'era nucleare, è chiaro che non può essere la paura e il terrore atomico, fondamento e programmazione di una teologia della pace.
La pace non è né potrà mai essere frutto di paura. La paura è negatività, è conseguenza di male, di peccato, sta al fondo e con preminenze decisive e determinanti, di tutta la disumanità che ha imperversato e imperversa nella storia. È assurdo aspettarsi che dalla paura fiorisca la conoscenza di Dio e particolarmente la contemplazione della pace identificata con Dio. E forse di più ancora è impensabile che la costatazione dell'incubo che pesa ormai sulla umanità fino, a chi ne è cosciente, a causare l'orrenda paura di camminare sull'orlo dell' abisso della distruzione universale, possa ottenere un profondo rannodo di amore fraterno, di rispetto vicendevole fra i popoli, di umanità diversa, nuova.
Non è certamente muovendo da realtà di disperazione universale e da incubi per paure apocalittiche, che è possibile sognare una teologia della pace.
4 - Conversione e teologia
Dai terribili tempi in cui stiamo vivendo è doveroso e intelligente e cristiano raccogliere l'indicazione che il cammino della storia è arrivato ad un crocevia di fronte al quale è inevitabile una scelta, s'impone cioè, piaccia o no, quella che teologicamente (e qui è già teologia della pace) si chiama conversione.
E conversione è positività, valore creativo, inizio e volontà di novità. Impone la conversione un giudizio sereno ed onesto, retto e libero, nei confronti di tutto un passato, nella disponibilità all'accoglienza di ogni e qualsiasi responsabilità e un aprirsi alle vie nuove, esporsi serenamente e fiduciosamente alla fatica e al rischio della novità nella disponibilità a pagare tutti i prezzi richiesti. Non è semplice e facile rompere con tutta una storia passata imponendosi rotture di legami culturali, d'interessi privilegiati, di sicurezze oramai collaudate. Occorre un intervenire sulla sacralità della Tradizione e infrangere collegamenti e dipendenze, tagliare ponti e non voltarsi indietro, non sopravvivere di cultura archeologica, di celebrazioni secolari.
La conversione esige il coraggio di chiedere perdono e non è immaginabile una teologia della pace se non è radicata in questa umiltà (equivalenza di pace) liberante da un condizionamento orgoglioso (e cioé di potere) di non accettabilità di un giudizio d'infedeltà, d'incoerenza, di irresponsabilità.
Il Concilio Vaticano II ha cercato per la prima volta nella storia della Chiesa, di trasparire questa umiltà, ma è stato riconoscimento di breve durata, troppo presto si è imposto il ritorno alle posizioni sopraelevate di considerazione di se e di imposizione dei propri rapporti assolutizzati ed esclusivi. Ma non chiedere perdono, oltre ad esporsi ad una negatività di magistero e ad una non sincerità e linearità di comportamento e quindi di partecipazione e condivisione della realtà storica, impedisce alla cristianità e alla Chiesa, una disponibilità, una capacità, una volontà di novità, di creatività e cioé fa perdere al Cristianesimo nel mondo la possibilità di una proposta di storia nuova, di umanità diversa.
Ciò di cui la Chiesa può essere accusata e pesantemente, è l'aver mancato, l'aver fatto mancare alla storia e quindi all'umanità, agli uomini e alle donne di ogni angolo della terra e di tutti i tempi, l'alternativa alla vicenda umana pensata, voluta, imposta e sempre violentemente, dagli uomini del potere.

5 - Rivelazione e teologia
U n'altra storia cioè e precisamente quella iniziata da Gesù Cristo e a prezzo di sangue, da inserire e svolgersi, libera e sicura, nella storia "normale" dell'umanità. Una corrente di acqua dolce ad attraversare il mare amaro della violenza, della sopraffazione, della legge del più forte, della strumentalizzazione della morte, della disumanità del fine giustifica e mezzi.
Una teologia della pace è la ricerca, onesta e adorabile, di questa alternativa: ricerca da affondarsi - e chi può segnarne le vie e le misure - nelle profondità infinite del Mistero dell'Essere di Dio. Perché Dio è ancora conoscenza tutta da scoprire. Il camminare della storia lungo i giorni, i secoli, i millenni ha, in una visione di Fede, quest'unica spiegazione: scoprire sempre di più all'umanità "agli occhi che vogliono vedere, agli orecchi che vogliono ascoltare", la conoscenza di Dio. L'affermazione che la Rivelazione si è conclusa con Giovanni evangelista, può essere dichiarazione ad uso del magistero della Chiesa, ma non può significare la cessazione della manifestazione di Dio, del rivelarsi del suo Mistero: perché ad ogni aurora di sole al mattino e allo sbocciare di un fiore e al nascere di un passero nel nido, la gloria della creazione si dilata a lode del Creatore. Così ad ogni alito di vento, al frangersi di un'onda sulla spiaggia, ad ogni palpito di cuore, al fiorire di un sorriso, all'accendersi di un desiderio, di una speranza.
Così e ugualmente il fluttuare dei popoli, l'agitarsi dei continenti, il fremere della storia e le sue esplosioni di lotta, di scontro, di orrori e insieme di sogni, di pazzie, di utopie, di liberazioni, d'ideali mai affogati e annientati da maree di sangue, da diluvi di lacrime, sempre risorgenti a credere, a cercare una novità sia pure impossibile.
Dio è l'onnipotente violenza - Gesù la chiama lievito, sale, luce... - nascosta nell'anima dell'umanità a impedire il chiudersi, il raggomitolarsi su se stessa, in se stessa, concludendo la ricerca dell'infinito nel finito, del cielo nella terra, di Dio nella materialità dell'umano.
La storia, tutta la vicenda umana, dall'imponderabile al cosmico, è provocazione di Dio ad aprire gli occhi alla visione, alla contemplazione, alla conoscenza del rivelarsi incessante di Dio. Ad aprire il cuore all'adorazione, all'Amore di Dio.
La fine del mondo, la conclusione della storia avverrà quando la rivelazione e la conoscenza saranno compiute: e la compiutezza, la misura della totalità appartiene all'Essere di Dio. E questo sarà il giorno scelto da Dio e che Lui solo conosce.
Oppure la creazione non sarà più, resistenza sarà conclusa, se verrà il tempo in cui la Rivelazione sia sterile e inutile manifestazione e la conoscenza sia come chiudere la finestra alla luce del sole. Il giorno in cui le tenebre non si lasceranno nemmeno filtrare dalla luce, quello sarà certamente l'ultimo giorno della storia. E questo è il giorno che può essere deciso dagli uomini, dalla storia dell'umanità.
In questo nostro tempo in cui stanno infittendosi le tenebre in spessori di disumanizzazioni sempre più pesanti, la Teologia della Pace, nell'approfondimento e nella precisazione determinata, provocata dalla contingenza storica attuale, possiede con estrema chiarezza, i requisiti di accoglimento di tutta la teologia tradizionale, di decantazione e purificazione delle incrostazioni dei secoli passati e di proponimento di una visione di Fede capace d'incidenza viva e vitale nella sconcertante condizione storica di questo nostro tempo.
S'impone però chiaramente il superamento di ogni e qualsiasi timore, è il tempo in cui la prudenza non è più una virtù e la saggezza non è apprezzabile quando è sinonimo di conservazione e respinta preconcetta, sistematica della novità o anche semplicemente della diversità. Perché è veramente stupido e riprovevole stare ad annaffiare i gerani alla finestra quando la casa sta bruciando.
L'unico timore ragionevole oggi è l'incubo di quattordici miliardi di tonnellate di tritolo, l'equivalente del potenziale nucleare, sospese sul destino dell'umanità. La prudenza è tutta nel raccogliere la sensibilità di umanità, ancora sopravvivente, nella coscienza umana e dei popoli e unificare l'estremo tentativo, la suprema fatica, dai quattro venti del mondo, di strappare dalle mani dell'irresponsabilità imperialista del potere economico, politico, militare, il potenziale bellico capace della distruzione del mondo. Perché ogni problema: la recessione economica, le fonti energetiche, l'equilibrio monetario, le divergenze ideologiche e perfino le contrastanti volontà di supremazia assoluta nel mondo ecc., ogni problema che travaglia l'umanità può essere affrontato e risolto se non altro attraverso i progressi, i chiarimenti, le liberazioni che la storia stessa, nel suo evolversi, matura ed ottiene. Ma il problema della permanenza e in continuo aumento, della capacità d'incenerimento del mondo, va risolto immediatamente e può essere risolto unicamente annullando il potenziale nucleare e liberando quindi l'umanità dalla paura dell' annientamento.

6 - Cultura e teologia
S'impone una saggezza, una sapienza da non ricercarsi nella cultura, nel progresso, nelle civiltà, ma nel semplice e primordiale istinto di conservazione, nelle ragioni profonde della vita, nei valori essenziali, decisivi della sopravvivenza. È in questa saggezza che l'era del nucleare comanda ed impone, pena la distruzione, la morte universale, il ritrovare e progettare la nuova cultura, cioè il nuovo umanesimo perché "ormai le cose di prima non sono più". L'accumulo di secolo in secolo di teologie e filosofie, di sistemi economici e politici., di letterature, arte e poesia e più ancora ansia di umanità e angosce, utopie e sogni senza fine spesso affogati di sangue e lavati di lacrime... l'accumulo di tutta una "civiltà" si sta sbriciolando e dissolvendo davanti alla realtà, impietosa e dis-umana, delle armi nucleari.
È da questo concludersi di una storia che se ne deve aprire, iniziare un' altra. Diversamente è la fine. L'uomo vecchio esige il nuovo: è la legge della sopravvivenza. Una glaciazione universale minaccia la terra se non freme e non si sveglia la primavera. Se una teologia della pace non aiuta nel suo scrutare il mistero della creazione rivelando e proclamando la presenza dello Spirito creatore di Dio, il conoscere le vie di Dio nel condurre l'evolversi della storia e indicando le vere obbedienze, le collaborazioni profonde dell'umanità per l'attuazione, il diventare storia dell' Amore e della Pace, la teologia è "cembalo e bronzo squillante".
E la Chiesa e la Cristianità continuano ad essere "occhi che non vedono, orecchi che non odono" e cuore che non pensa e non ama.

7 - Splendore e teologia
Ma più ancora la teologia della pace deve aprire, avviare alla conoscenza di Dio.
E non per ascendere e assidersi "nel terzo cielo". Ma per raccogliere lo splendore delle stelle a sostituire i lampioni al neon lungo le strade della città. Per rapire al sole il suo fulgore e fugare le tenebre, il buio della notte, in un giorno che sia eternamente aurora.
Perché la pioggia scenda a fecondare il campo del buono e del malvagio e produca la terra dove il trenta, il sessanta, il cento per uno, perché é vero, che cinque pani d'orzo e pochi pesci possono sfamare l'umanità intera, se interviene e può essere compiuto il miracolo dell'Amore. L'importante è nascondere sotto terra il buon grano e poi mentre la storia veglia o dorme, cresce da se fino alla mietitura.
Ma per tutto annunciare e proclamare, bisogna non avere di ricambio due tuniche e i calzari, non avere oro e argento nelle cinture e mangiare e bere quello che viene posto davanti. E avere la gioia di riconoscere e la libertà di attestare che "la verità è stata nascosta ai saggi e ai potenti di questo mondo e rivelata, manifestata ai piccoli". Perché "la pietra scartata dagli edificanti è diventata pietra d'angolo".
Guardare oltre e scrutare le profondità dei cieli, può voler dire, come fin troppo è avvenuto, cercare di salire in cielo per strappare dal firmamento le stelle a farne selciato di strade per i potenti e i loro interessi, ma può anche significare il salire fino a intravedere l'immagine, intuire la somiglianza di quel volto che è il vero volto dell'uomo perché è il Volto di Dio. Visione, contemplazione, adorazione, è l'innamorarsi beatificante che non chiude e tanto meno conclude, ma è pienezza che trabocca e si riversa in sorgenti di acqua viva fino ad estinguere ogni sete. Perché la teologia della pace è misteriosa, struggente, adorabile nostalgia di Dio.

8 - Mistero e teologia
Perché Dio è pace. L'inimmaginabile pace eppur tanto conosciuta come conosciuto è ciò che non sappiamo nemmeno sognare pur essendo sostanza vivente del nostro essere e del nostro vivere. Forse è vero che siamo nati su un'altra terra e da altro padre e da altra madre e poi a vivere la vita siamo stati collocati qui su questa terra e coinvolti in una storia che forse realmente non è la nostra storia. E proviamo l'angoscia dell'emigrato, la solitudine amara dello straniero. Questa terra non è la nostra terra e allora camminiamo, ebrei erranti, pellegrini senza soste, non verso una terra promessa che non esiste né può esistere, ma a ricercare la terra dove siamo nati, la nostra terra, perché sappiamo, la nostalgia ne è garanzia, che solo nella nostra terra è la pace cioè la compiutezza, la totalità, l'assoluto.
Affermare che Dio è questa pace non è discorsetto apologetico, devozionale. Può anche essere che sia la chiave per introdurre ad un chiarimento, perché chiarimento vi deve pur essere, del Mistero. Mistero non è là dove è impossibile capire qualcosa, può anche essere dove è dato di conoscere e di capire "tutto".
Così è del Mistero che è Dio. È Mistero, certamente e come potrebbe non esserlo? Ma è l'inconoscibile che offre le uniche, esclusive possibilità di capire tutto, dall'imponderabile al cosmico, dall'esperimentabile a tutto ciò che è "oltre".
Dio è conoscenza esaustiva. Senza di lui è preferire di fermarsi sull'orlo e è ad ogni passo. Come è per la pace. Nella pace è sicuramente l'umano, nella guerra è unicamente il disumano.
Le verità essenziali, consustanziali alla vita, sono sempre un crocevia, pongono inevitabilmente davanti ad una scelta.
In questo nostro tempo, oggi stesso (non possiamo essere sicuri se potrà essere anche domani) la storia dell'umanità è davanti all'ultimo crocevia, all'ultimo bivio: la sopravvivenza o l'annientamento, l'umanità o la disumanità. La pace, finalmente pace o la guerra ormai veramente guerra. La teologia, la Chiesa, la Cristianità, pare che ancora debbano decidere la scelta, al bivio della storia, fra Dio o la morte di Dio, perché la disintegrazione del mondo è veramente la scalata al cielo a tirare giù dal trono chi vi sta seduto.
È sconcertante come la profezia possa essere così spenta, svanita fra i carismi della Chiesa.

9 - Contemplazione e teologia
E profezia è l'annuncio della verità di Dio, della verità dell'uomo.
Estremamente significativa ed eloquente del Mistero di Pace che è l'Essere di Dio, è la verità fondamentale, costitutiva, della Fede: Unità e Trinità di Dio. Semplice affermazione di molteplicità inconfondibile e di unità perfetta, assoluta. Un esprimersi esistenziale di unità sostanziale. Un essere di più ed essere uno. L'unità che si divide e si raccoglie, si esprime e si ritrova, di più e cioè pluralità e di più ancora l'unità. Perché la pienezza, la totalità dell'unità si ritrova e è veramente unità perché è molteplicità. È la divergenza e la convergenza che realizzano l'unità. È il movimento che dà significazione all'immobilità. È la diversità che stabilisce l'uguaglianza. La dissomiglianza che comporta l'identità.
Perché Dio è Amore e è Amore perché Trinità. E quindi conoscenza e conosciuto. Amato e amante. Illuminante e luminoso. In una circolazione perfetta dove tutto, assolutamente tutto, è donato e tutto, perfettamente tutto è ricevuto. Non di più e non di meno. Vincolazione per libertà assoluta personale. Dipendenza è indipendenza, libertà è appartenenza. Se stesso è altro.
Perché Dio è la pace. La pace è Dio.
Forse una teologia della pace è possibile sognarla soltanto in una liberazione di Dio da tutto il suo coinvolgimento operato dagli uomini e dalle religioni, nella storia. Una ricerca teologica che sia come lasciarsi illuminare dalla luce del sole. Quella "luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo".
Perché l'Essere di Dio, unità e molteplicità, molteplicità e unità e cioè Amore, Pace, non è rimasto chiuso in cielo, come "tesoro geloso" in uno scrigno attentamente custodito, ma si è aperto e il tesoro prezioso si è donato in una effusione la cui misura è quella di Dio e cioè senza misura.
La creazione (è possibile questa visione e adorazione del mondo materiale?) è forse più che manifestazione, trasposizione dell'Essere di Dio per dare di Sé realtà e immagine. Segno di concretezza e invito alla trascendenza. Come scala o ali per scendere e incontrarsi, conoscersi, amarsi. Perché la terra è per fiorire occhi che vedono, aprire orecchio che ascolta, anima che trepida, cuore che palpita, quando l'Invisibile si rivela, la Parola parla, lo Spirito si effonde, l'Amore si dona...
È una limpidissima trasparenza di Fede che intuisce che l'umanità è uscita dall'Unità e Molteplicità, quasi a riprova dell'infinita perfezione e compiutezza e sicurezza di molteplicità indefinita e di unità assoluta.
Perché il donare di Dio è simultaneamente accoglienza. L'uscire da lui è rimanere perfettamente in lui: il concetto e la realtà di spazio è unicamente quello di Dio.

10 - Cristianesimo e teologia
Tutto questo Mistero (ma è una semplice evidenza) si è per così dire rivelato, precisato, storicizzato in Gesù Cristo.
L'Unità e la Molteplicità si è aperta a effondersi in realtà totalmente diversa ma ad ugualmente ottenere molteplicità unificata e cioè Amore e Pace. La teologia non ha spiegato e forse nemmeno la mistica contemplativa, quanto il riversarsi della divinità nell'umanità, nella Persona di Gesù Cristo e della umanità nella divinità sia perfetto, infinito, adorabile Mistero di Pace.
Gesù Cristo è la pace.
Vero Dio, vero Uomo. Divinità e umanità nell'unica Persona. Storia di Dio e storia di uomo in una confluenza di unificazione, realtà di pace assoluta. Di nuovo e ancora, ma è incessantemente, Unità e Molteplicità, dono e accoglienza, Amore, Pace. Non è un caso, o dottrina moraleggiante, a edifica edificazione dei devoti, per una spiritualità di Chiesa, per un temporalismo sacrale e nemmeno per la salvezza eterna di anime elette, che una Croce in un giorno del tempo storico, sopra una roccia di tutta la terra, è stata issata fra cielo e terra, il creatore e la creazione, Dio e l'Uomo.
È per riavvicinare le distanze scavate, richiamare la dispersione, radunare e forzare la molteplicità a ritrovare e ottenere l'unità e cioè l'Amore, la Pace.
Il compimento di questa Unità è avvenuto nel Mistero di Dio e nel suo Essere, la multiforme presenza è perfettamente unitaria, Amore e Pace. Non altrettanto è avvenuto nella storia, nel cuore dell'umanità, nella Fede della cristianità, nella missione della Chiesa. La molteplicità è sempre più divergenza, divisione, separazione quindi lotta, scontro, guerra.
La fissione o scissione dell'atomo per l'energia nucleare, esplosività capace di frantumare la terra, ne è il segno e la realtà suprema.
La Fede in Dio, in Gesù Cristo, nell'Amore è sapere che esiste l'Unità in attesa di tradursi nella storia: è compimento che aspetta. E i tempi di attesa della pace totale si restringono paurosa-mente.
"Io sto alla porta e busso. Se uno mi sente e mi apre, io entrerò e ceneremo insieme, io con lui e lui con me" (Ap. 3,20).


don Sirio Politi


in Lotta come Amore: LcA giugno 1984, Giugno 1984

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