A memoria (e memoria non è ricordo ma presenza viva, vivente) di P. Giovanni Vannucci, riscrivo qui per me e per gli amici quest'omelia che in una di queste domeniche autunnali, nel 1979, offrì alla comunità della messa al tramontar del sole, nella dolcezza ariosa e fiorita delle Stinche, in quella chiesetta di pietre romaniche, raccoglimento profondo e misterioso di anime e cuori ad ascoltare la Parola che sgorgava dolcissima e suadente dal Mistero di Cristo e fioriva dalle sue labbra sempre sorridenti e dal suo cuore sempre straordinariamente fiducioso e sereno.
In sua memoria non aggiungo parole mie perché sarebbero lacrime di commozione e di sgomento. Perché la solitudine spesso si amplia a misure tali che diventa soffocazione. E a me è successo (come per chi sa quanti, ugualmente) da povero pellegrino che cammina e cammina per deserti o da navigante su un guscio di noce a solcare gli oceani, come quando si oscura il cielo e scompare la stella polare.
P. Giovanni era un punto di orientamento sicuro, il tronco di un albero robusto al quale appoggiarsi per un riposo, riposante anche se soltanto di un minuto. Una sorsata d'acqua fresca, una boccata d'aria buona. E cioè un motivo di fiducia, un riprendere speranza, un incontrare un sorriso di consolazione.
Ora è tutto più vuoto, anche se è vero, me ne rendo conto, che sempre più è il tempo nel quale il vuoto è destinato a dilatarsi e la solitudine a scavare desolazione e a rischiare stanchezze.
Per questo e per tutta la stima e l'affetto, la sua morte, il suo volarsene via così repentino, è stata e è lacrime e sgomento.
Accanto a lui, di pochi anni più anziano di me, mi sentivo come un bambino: adesso il bambino cerca la mano, non la trova ma cammina fiducioso perché vuole obbedire alla sua voce.
Questa pagina è uno dei suoi dolcissimi inviti all'unità, nell'Amore.
Sirio
Un'omelia di P. Giovanni Vannucci
L'aspirazione all' unità
Domenica XXVII Mc. 16
"Nel principio Dio li creò maschio e femmina... Sicchè non sono più due ma una sola realtà vivente. L'uomo non separi quello che Dio ha congiunto". Queste parole sono state, vengono e verranno lette da punti di vista del tutto differenti, a seconda del grado di spiritualità raggiunto da chi le legge e le ascolta.
Tenendo presente che Colui che le ha pronunciate appartiene alla suprema dimensione divina, esse hanno un significato che sarà sempre più evidente a quelle coscienze che costantemente si avvicinano e ascendono all'ultimo vertice dell'esperienza spirituale. Le parole della Bibbia, come ci insegna tutta la Tradizione, sono ricoperte da volumi che vanno gradualmente tolti da chiunque voglia raggiungerne l'ultimo significato.
"Sciagura all'uomo che nei libri sacri non vede altro che eventi storici e parole del linguaggio ordinario. Ogni parola della S. Scrittura racchiude un significato elevato, un sublime mistero. Le narrazioni storiche sono le vesti esteriori.
Sciagura all'uomo che scambia la veste esterna per la stessa S. Scrittura! Gli insensati vedendo un uomo ricoperto di splendida veste non sanno andare oltre l'abbigliamento, dimenticando che è il corpo a dare il significato alle vesti. La Bibbia ha un suo corpo: le narrazioni. Le menti ordinarie si fermano alle vesti e non vedono il corpo; quelle più penetranti vanno verso il corpo; i saggi, i servi del Re supremo, che abitano sulle altezze del Sinai, si fermano a considerare l'anima, fondamento delle espressioni della Bibbia. Nel tempo futuro saranno preparati a contemplare l'anima di quest' anima che respira nelle parole dalla Bibbia". (Zohar).
Per l'ascolto delle parole della Bibbia ci è più necessaria l'intensità di un' attenzione silenziosa che non la lettura di commenti esegetici: essa ci permette la disarticolazione della mente da tutte le interpretazioni che si è costruita e l'avvento della Rivelazione nell'anima
Nel principio Dio li creò maschio e femmina. Nel principio, non all'inizio della creazione, ma nell'istante eterno della creazione, nell' atto della creazione che non ha ancora raggiunto il suo compimento, Dio crea la bi-unità umana, la cui vocazione è quella di ricostituire una sola realtà vivente. L'uomo non può impedire questo cammino verso l'unità senza alterare il corso della creazione.
È scritto: "Li creò maschio e femmina", ogni immagine che non sia maschio e femmina non assomiglia all'immagine celeste.
Il Santo, benedetto sia sempre, non dimora ove il maschio e la femmina non sono uniti, colma di benedizione il luogo ove sono una cosa sola.
La Scrittura non dice: "Lo benedì e lo chiamò Adamo", ma "li benedisse e lo chiamò Adamo". Dio benedice soltanto quando il maschio e la femmina sono uniti. Il maschio solitario non merita il nome di uomo. Lo merita quando è unito alla femmina; la Scrittura dice: "Diede loro il nome di uomo" (Zohar).
Il richiamo di Cristo alle parole dell'"in principio", può essere inteso e interpretato sul piano dell'istituzione della indissolubilità matrimoniale, e tale è la prima interpretazione letterale. Possiamo domandarci se essa è l'unica, oppure se costituisca il primo passo verso un' altra lettura che ci aiuti a comprendere l'anima vivente di questa parola. In un altro testo Cristo dice: "Chi lascia la sua famiglia, la moglie, i fratelli, i figli, i genitori per amore del regno di Dio, riceverà il centuplo e la vita eterna". (Le. 18,29).
I due, l'uomo e la donna, nel primo testo sano chiamati a costituire una sola realtà vivente, nel secondo è incoraggiata la separazione per amore del regno di Dio.
Sono in contraddizione, oppure il loro contrasto ci permette di comprendere la verità profonda contenuta in ambedue e che è oltre l'immediato senso letterale? Questa seconda ipotesi tenterò di dimostrare.
In ogni essere umano, uomo o donna che sia, esiste l'aspirazione verso l'unità e l'integrità del proprio essere che, risolvendo ogni conflitto in una sfera oltre il mondo fenomenico, dia alla mente quella pace suprema che è il regno della maturità della coscienza. Non è questa coscienza dell'unità che hanno cercato le grandi anime religiose dell'umanità e che è contenuta nella preghiera di Cristo "Siano una sola realtà come lo e T li, Padre, siamo una cosa sola?" (Gv. 17,21)
La reintegrazione del proprio essere personale percorre tutte le zone della realtà umana: il corpo, le emozioni, la mente, lo spirito, essa li percorre come energia unificatrice e redentrice. Essa rivela l'intenzione del Creatore sulle sue creature, la forza vitale realmente divina che dona un senso alla ascesa dell'uomo nella sua verità: raggiungere l'unità delle origini.
È la fiamma che purifica dalle scorie ogni coscienza e distrugge le barriere di divisione che separano l'uomo dalla donna, la creatura umana dalla parte più vera del suo essere. Ritrovare l'unità del proprio essere in Dio, è la consegna che viene rivolta a tutte le creature umane, qualunque sia la loro vocazione personale. È rivolta a quelle coscienze che scelgono la via matrimoniale come la più consona per ritrovare la loro unità, ed è ugualmente indirizzata a quelle che, nella nostra tradizione, si sentono chiamate alla via della solitudine. Ad ambedue è richiesto di dischiudersi alla piena rivelazione cristiana, ad accogliere la presenza di Dio che si annuncia come Padre e Madre, due in uno e che manifesta il suo vero volto, maschile e femminile insieme, e che quando è così ricevuto, si accende in una passione ardente per tutta la razza dell'uomo e della donna terrena che non potrà ormai né essere fermata, né respinta, né ignorata.
Gesù disse: "Quando farete dei due una cosa sola, l'interno come l'esterno, l'esterno come l'interno, la mascolinità e la femminilità farete una cosa sola, perché la mascolinità non sia solamente maschile, e la femminilità non sia solamente femminile, allora entrerete nel Regno. (Vang. di Tommaso, 221)
Giovanni Vannucci
settembre 1979
Cantico delle creature
Ogni uomo è una zolla di terra, di terra atta a dare la vita ai tuoi germi divini, o Dio.
In quest'ora del tramonto, mentre il tuo angelo passa tra la luce e luce, ricolma, o Signore, di pace il cuore che attende, la mano verso di te protesa.
In quest'ora presaga del buio, la terra raccoglie in sé tutte le vite che fervono: su tutte il tuo angelo segni la pace!
Benediciamo, fratelli, la terra: la terra dove siamo vivi come alberi forti, dove riposeremo, liberati dal male.
Benediciamo la terra per il pane che dona, per i frutti delle dure fatiche, per i balsami pietosi al patire, per la dolcezza dei lunghi riposi.
Benediciamo, fratelli, la terra, mentre passa l'Angelo di Dio e annunzia giorni di luce nuova e redenta.
Un giorno l'Angelo di Dio dirà al tramonto della nostra vita terrena: più non tramonta né sorge il sole per voi, la vostra vita è chiamata a contemplarsi in Dio!
Benediciamo, o uomini, la terra, quando passa l'angelo della vita e della morte, e annunzia che Cristo è la vita e la luce senza tramonto.
Ogni uomo è una zolla di terra, di terra atta a dare la vita ai tuoi germi divini, o Dio.
P. Giovanni
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1984, Ottobre 1984
Luigi Sonnenfeld
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