Ci sono momenti in cui è difficile esprimere in parole quello che passa nel profondo dell'anima. Forse è per il "vuoto" che uno si ritrova dentro, là dove la vita ha scavato piano piano, giorno dopo giorno, come l'onda del mare batte sullo scoglio e lo lavora incessantemente da ogni parte.
Come il vento sulle pietre delle montagne, insieme alla neve, al gelo e al calore del sole. Se mi guardo "dentro" mi ritrovo pieno di cicatrici, di ferite, di "segni" che lo scorrere degli anni vissuti nella quotidiana, faticosa, umile ma appassionata ricerca di Dio hanno inevitabilmente lasciato.
Così è cresciuto il pudore a parlare troppo di Lui. Vorrei riuscire sempre di più a rendergli testimonianza nella concretezza dell' esistenza, nella condivisione della storia umana, nell'accoglienza fraterna verso i piccoli e i poveri. Forse più col "silenzio" che con la parola, anche se so benissimo che pesa sul mio destino il "dovere di evangelizzare".
Ma è diversa la comprensione di questo dovere, anche se l'impegno è rimasto chiaro e preciso. Così non mi ritrovo per niente nella mia Chiesa (una parte) che continua a parlare di Dio salendo sul piedistallo della Storia, cercando le grandi piazze e le folle, ostentando sicurezze, premurosa dei poveri e degli affamati ma anche gelosa custode delle sue "azioni bancarie", pellegrina di pace ma sempre legata al carro dei potenti. Questa mia Chiesa che legge molto attentamente, nel segreto dei palazzi vaticani, libri sospetti e pericolosi per la fede e chiama a renderne conto i suoi sospettati autori, ma non sa leggere con almeno pari zelo il libro aperto della violenza organizzata, del razzismo, dell'imperialismo economico e militare, dello schiacciamento dei poveri. Questa mia Chiesa che - mi pare - non ha ancora scelto fra i "due padroni" quale voglia realmente servire.
Mi sento invece vicino alla mia Chiesa (l'altra parte) che ormai ha scosso la polvere dei propri sandali per uscire definitivamente dalla città dei ricchi, dei forti, dei grandi, dei sapienti, dei furbi, per entrare a confondersi col popolo dei poveri, dei deboli, dei piccoli, degli ignoranti, dei pacifici. Una Chiesa ormai fatta di tanta gente (vescovi, preti, uomini e donne) e che ha obbedito alla parola di Dio e alla parola della storia ed ha saputo mettere in serena, anche se faticosa e mai finita comunione l'Amore venuto dal cielo con il bisogno d'amore che sale incessantemente dal profondo della terra. Il cuore di Dio e il cuore dell'umanità.
Questa mia Chiesa che ha scelto di vivere nelle foreste con gli indios, nelle baracche delle periferie, nei campi e nelle fabbriche, che ha lasciato i "sacri palazzi" e tutte le buone sicurezze che essi garantivano. Questa mia Chiesa che ha detto "no" alla guerra, che ha obiettato al servizio militare, alla potenza nucleare, alla legge del denaro e quindi del più forte.
Le frontiere di questa mia Chiesa hanno gli stessi spazi del cuore di chi ha accettato di mettersi in cammino dietro i passi dell'unico Maestro e Signore. Pur sapendo che spesso su questa strada può profilarsi l'ombra di una croce. Ma anche l'alba di una incessante resurrezione.
È in questa Chiesa che ritrovo anche la sorgente della mia umilissima ma chiara "teologia", perché essa ha il potere unico e straordinario di parlarmi del regno di Dio, della vita eterna, del Padre che è nei cieli, della speranza, del perdono dei peccati, della grazia e del dono dello Spirito. Perché in essa io sento vivo e presente il passo del Povero, del Figlio di Dio e del Figlio dell'uomo, del Debole e dell'Oppresso, del Pacificatore e del Liberatore.
Il passo fraterno di Gesù di Nazareth.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1984, Ottobre 1984
Luigi Sonnenfeld
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