Botta e risposta

Ci è apparso interessante pubblicare una lettera indirizzata a don Beppe riguardo al suo ultimo articolo "La mia teologia" e la successiva risposta. Può essere un modo per chiarire ancora meglio il senso di ciò che scriviamo sul nostro giornalino che appunto altro non è che una "Lettera aperta" a tutti gli amici.

Caro don Beppe,
sono un assiduo lettore di Lotta come Amore. Per questo ti scrivo due parole su "La mia teologia". È quel "mia" che indica sempre più la tipica malattia dell'uomo di oggi malato di opinionalismo e di narcisismo, varco inevitabile di ogni protestantesimo. Occorre rituffarsi nella oggettività della Parola letta e vissuta dal popolo e nel popolo di Dio garantita e condotta dalla Comunione Papa-vescovi-popolo (ed è la tradizione!).
Ciò che manca dunque è una coscienza personale (non individuale: quella non ti manca!) e di conseguenza una coscienza storico-sociale prodromo per una coscienza ecclesiale (il mio io è in noi!). Ciò che manca è il riflettere su quel "factus oboediens usque ad mortem": e penso che la strada da battere sia proprio l'obbedienza e... a chi (non certamente a se stessi o a un Dio ridotto alla propria opinione e soggettività).
Grazie e Buon natale!
don Silvano Lucioni
Bisuschio (Va)


La lettera di don Silvano Lucioni (che non conosco, ma a cui sono grato per avermi letto) mi ha provocato ad una doverosa risposta. Il senso di essa non è per niente autodifensivo: non sono un "maestro" e quindi non mi sento il dovere di non sbagliare. Certo è però che le cose che ho scritto nel mio semplice articolo "teologico" sono radicate profondamente nel mio cuore e nella mia vita e mi appassionano fortemente.
"La mia teologia" voleva semplicemente comunicare le speranze che nutrono da anni il mio cammino di cristiano e di prete: come dire "la mia fede" o "il mio credo". Non nel senso di una proprietà privata, di un possesso strappato a forza, contro qualcuno; ma il dono che penso di aver ricevuto (e magari tanto poco corrisposto): dalla Bontà di Dio e dall' Amore di Cristo. È senza dubbio per questo dono straordinario ed inspiegabile che sono convinto di essere stato spinto a cercare di vivere l'impegno sacerdotale nella condivisione della vita operaia (ora artigianale), nella fatica quotidiana, nella comunione concreta con la gente umile e senza particolari poteri. Questa scelta l'ho sempre voluta collocare e vivere come parte dell'intera comunità della Chiesa, del Popolo di Dio, anche se non sono mancate le contraddizioni e le difficoltà. Ho sempre avvertito ed avverto chiaramente che ci sono "due anime" nella Chiesa storica: una è quella che la sospinge sulla strada della povertà e della condivisione a partire dagli ultimi; l'altra che la sollecita a sedere in alto, sul trono, amica e alleata dei potenti. Per me, "l'oggettività della Parola" la trovo chiara e trasparente nella storia e nella vita di Gesù di Nazareth, così come i Vangeli ce ne danno limpida testimonianza. La fonte della "mia teologia" è tutta lì: è stato il mio sogno segreto fin dai tempi del seminario e mi ha sempre accompagnato con meravigliosa e instancabile presenza; e me lo ritrovo dentro ancora intatto nonostante la fatica e il peso di ogni giorno. Può darsi benissimo che mi manchi "una coscienza storico-sociale" e quindi (se così dev'essere) "una coscienza ecclesiale": sono però felice che non mi sia mancata, fino ad oggi, la Fede e l'Amore per Gesù Cristo e attraverso di Lui per i poveri, gli umili, i disprezzati, i piccoli, i nonviolenti... Mi hanno sempre guidato nel mio cammino di speranza e di fede le Parole del Signore Gesù ai suoi apostoli: "Non chiamate nessuno "padre" sulla terra, perché uno solo è il padre vostro, quello che sta nei cieli. E non chiamate nessuno "maestro" sulla terra, perché uno solo è il vostro maestro, il Cristo". Sarò "malato di protestantesimo, di opinionalismo e di narcisismo" (che parolone!)? Non mi sento molto preoccupato per questo; lascio il giudizio a chi mi può giudicare (e fin nel midollo delle ossa). Ostinato, però, lo sono certamente: non cambierei questa "teologia" che ritrovo così fresca e chiara nella misteriosa e appassionata vicenda storica di Gesù di Nazareth, con le mille illuminate e sapienti teologie offerte a più riprese come "sicure" sul piatto della storia. Mentre in queste avverto spesso odor di muffa, di compromesso e a volte di complicità, nella teologia che è Gesù Cristo sento il profumo di qualcosa di sempre nuovo, di vero, di genuino come il profumo del pane appena sfornato o del vino appena spillato.
Sarà "poesia", invece di buona, solida, sicura e incrollabile "teologia"? Ostinato come sono, anche di questo non mi preoccupo troppo: preferisco l'incerto sentiero di Betlemme, di Nazareth, delle strade di Samaria, perfino di Gerico (e vorrei poter dire anche quelle del Golgota, ma non lo so!), alle strade sicure e diritte come quelle di via della Conciliazione, ai colonnati maestosi del Bernini, alle stanze di Raffaello o di Michelangelo, fino alle "autostrade" della Banca Vaticana... Sto nella Chiesa con sofferenza, ma anche con tranquilla serenità: perché penso che non ci può essere un'altra Chiesa, anche se credo che la Chiesa dovrebbe essere "altra" (diversa, cambiata, ripulita, rinfrescata, ringiovanita).
Neppure mi preoccupo di essere un "buon teologo"; vorrei tanto, e so che non lo sono, essere semplicemente un "buon cristiano", nel senso del Vangelo. Sono sicuro che la Chiesa, il Popolo di Dio, la Comunità dei credenti (Papa-vescovi-popolo) non serve a niente se non rende testimonianza storica, visibile all' Amore, alla Fraternità, alla Verità, alla Giustizia, alla Pace, alla Bontà di Dio. E l'unica università teologica di cui tutti abbiamo sempre bisogno credo sia stata aperta parecchi secoli fa, in un piccolo pezzo di Terra che allora si chiamava Palestina. Mi piacerebbe molto (al termine dei miei studi) ottenere la laurea!
Con affetto


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1985, Febbraio 1985

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