Questi trent'anni di preteoperaio

È impegno già particolarmente difficile scrivere (e quindi anche parlare e tanto più essere nella vita) come preti. Sto accorgendomi sempre di più, e ormai sono passati i trent'anni, di una specie di stranezza, mi vien quasi da dire, di assurdità a ritrovarmi prete nella situazione storica attuale. A volte non riesco a percepire bene i termini precisi, le valenze umane, le motivazioni giustificanti. Non è perché sono in crisi di Fede o di sacerdozio. Anzi è esattamente vero il contrario: ho chiarezze interiori e profondità di convinzioni religiose e cristiane, limpide, trasparenti. Quasi mi ritrovo a condizioni infantili (ho fiducia che la parola sia ben compresa in tutta la sua pienezza e maturità) nella percezione di Dio, nell'intuizione di Gesù Cristo e provo spesso ancora, nei momenti di particolare interiorità, il dilatarsi nel mio spirito della dolcezza di un'innocenza di Fede, assolutamente non contaminata dalla mia già lunga avventura esistenziale - religiosa evidentemente vissuta in periodi tremendi quali quelli del fascismo, della guerra, della resistenza e di questo trentennio, responsabile, fra le tante cose di un implacabile e impietoso appiattimento di troppi valori, compresa, a parte alcune ma brevissime accensioni di speranza, la banalizzazione così sconcertante, dei valori religiosi, da parte di una Chiesa istituzionalizzata e conservatrice, assai più propensa e pronta a spengere che ad accedere ravvivamenti e rinnovamenti di Fede. A volte ho perfino la sensazione di miracolo quando mi avvedo di tutta una luce rimasta accesa e forse chiarita ancora di più, nel segreto del mio cuore.
È la fedeltà di un raggio di sole che un giorno (è ormai così lontano) mi ha investito con la sua luce, abbacinandomi violentemente. E non so, non credo che sia possibile dimostrarlo, anche se in una visione di Fede è assai facile l'intuirlo, non so se poi questo raggio di luce che mi ha investito mi ha seguito con ostinata fedeltà nel mio avventurarmi dentro l'intrico della vita, perché il mio pellegrinare rimanesse sempre nella luce, oppure se è stato questo raggio di luce a muoversi incessantemente e a propormi (forse a costringermi) ad un cammino, imprevedibile per me, ma già tutto pensato e tracciato.
Penso che sia vera l'una e l'altra ipotesi, perché credo profondamente che la nostra vita è il risultato di una costruzione in cui ha posto mano veramente "e cielo e terra".
Siamo, in tutto quello che siamo, il risultato d'infinite combinazioni per questo gioco bellissimo e adorabile che è la vita.
È fruttificazione il nostro essere e specialmente nelle nostre interiorità che sono le motivazioni, le ragioni più qualificanti del nostro esistere. Fruttificazione che viene su risucchiando ogni valore diffuso, ogni forza dispersa, ogni realtà anche la più imprevista a dichiarazione scoperta e vivente che la novità, nell'esistenza del mondo, nel divenire della storia e nella realtà di ciascun essere umano, è non soltanto possibile, ma essenziale, decisiva per la pienezza e la verità della vita.
È questa novità, che a volte può sembrare anche voglia o bisogno del diverso, ma che invece è semplicemente impulso vitale, accoglienza di una spinta universale e obbedienza alla legge della vita, è questa novità che é ricerca e attualizzazione di "cieli nuovi e di terre nuove" che costringe ad un uscire incessante e pressante da se stessi e a fare quindi della ricerca la condizione fondamentale e determinante della vita.
Perché la propria verità non è mai quello che si è ma soltanto in quello che si cerca di essere. E quindi in un muoversi, in un camminare, in un pellegrinare instancabile.
Potrei trovare e indicare motivazioni di Fede religiosa e cristiana a giustificazione e a sostegno di questo prospettarmi di fronte alla vita e alla storia. Penso però che ve ne siano necessità: è estremamente ovvio che la motivazione causante e costruente della mia vita è, all'origine, unicamente religiosa, come pure fedelmente nella sua continuità, anche se arricchita e potenziata per una sempre crescente realtà di convincimento e di consenso, dall' apporto - e chi può misurarne la portata? - dei valori umani, culturali sociali, politici ecc. incontrati e accolti, a cuore aperto, cammin facendo. D'altra parte sono anche convinto dell'impossibilità di distinzioni intese come separazioni, fra valori considerati seriamente religiosi e valori sentiti e vissuti profondamente umani.
Gesù Cristo è risoluzione chiara e inequivocabile dell'assurdità di queste separazioni e di queste contrapposizioni dialettiche: se e quando il Cristianesimo viene considerato e cercato con sguardo "di fanciullo" in Gesù Cristo e non soltanto attraverso criteri di cultura teologica più o meno condizionata ai tempi o peggio ancora attraverso i filtri d'interessi culturali, economici e politici di una Chiesa istituzionalizzata sempre tesa a cercare nella Fede appoggi e giustificazioni, si direbbe, santificazioni, per la sua temporalità.
Con Gesù Cristo - Dio che si fa Uomo, Dio che viene a rizzare la sua tenda fra le tende degli uomini - ha inizio e chiede continuità fedelissima e presenza storica incessante in ogni momento della storia e in ogni angolo del mondo - ha inizio un Mistero (penso che sia comprensibile questo termine di estrema chiarezza e forse anche l'unico capace di indicazione esatta di tutta una complessità di valori, di realtà) un Mistero di collaborazione, d'integrazione profonda, di completamento vicendevole fra tutto quello che è Dio e tutto quello che è Uomo, nel costruirsi di una storia di umanità da viversi nello splendido scenario che è questa nostra terra con tutti i suoi valori,meravigliosi e adorabili, fino all'infinità dello spazio e di tutto l'universo.
Sono cristiano perché mi ha affascinato e conquistato questa visione, quest'estasi contemplativa della vita.
Mi rendo conto che questa scelta di visione cristiana dell'esistenza porta in se anche affermazioni di bisogni fondamentali e di ricerche irrimediabili: come la possibilità di una soluzione del problema della trascendenza di Dio e quindi della lontananza e cioè della paura di Dio. Il trovarlo e il sentirlo Dio a coesistere con me, con te, con ogni essere umano è idea esaltante di Dio e di estrema valutazione per l'uomo. È vero che nel frattempo succede anche il pericolo di una possibilità di alienazione, di costruzione, dell'uomo non a risorsa interiore all'essere umano ma a componenza dall'esterno e nientemeno di valore che si chiama Dio e quindi di una presenza enorme misurabile dalla chiarezza del convincimento di chi è Dio è e non può non essere nell'ipotesi del suo esistere e di un suo rapporto con resistenza umana.
È chiaro che non sto tracciando elementi catechetici per indurre una riflessione o anche semplicemente accennarla, teologica. Sto semplicemente raccontando appena qualcosa di tutta quell'immensità che è la problematica religiosa, inizialmente intravista ma però sempre con estrema coscienza fino alla provocazione d'incontri-scontri, di avvicinamenti-respinte, di Amore-odio, e poi calatasi e accettata consapevolmente e responsabilmente nella mia vita.
Poiché poi è a seguito di questa accoglienza e quindi di questa disponibilità alla collaborazione (o forse sarebbe meglio che definissi questo rapporto fra me e Dio, non tanto collaborazione quanto piuttosto assunzione di Dio nella mia vita e assunzione della mia vita da parte di Dio, precisando bene i ruoli d'importanza nella costruzione di me e del mio rapporto con la vita, facilmente intuibili tenendo presente la portata della valenza-Dio nei confronti della mia) è a seguito di questa imposizione religiosa e cristiana della mia vita che diventa spiegabile e comprensibile il concretizzarsi e lo svolgersi della mia avventura di uomo, di cristiano, di prete. E queste tre indicazioni non significano affatto distinzioni, né tappe successive o conquiste progressive perché in questo caso potrebbero anche essere disinvoltamente rovesciate e nulla cambierebbe nell' autenticità della storia, se di autenticità si può trattare. Non credo che sia possibile diventare veri a tappe successive, ma tutto è un avvicendarsi, tutto nella vita ribolle insieme, anche se possono risaltare emergenze particolari, destinate poi sempre ad essere riassorbite e nuovamente coinvolte: è da questo rivoluzionarsi incessante e implacabile che può nascere l'uomo e l'umanità. Anche il cristiano .E tanto più il prete, ammesso e non concesso che il prete in quanto tale, corrie è ritrovabile per esempio nel nostro tempo, abbia diritto all'esistenza storica. La scelta per me d'essere prete nella vita cristiana e nella realtà del vivere umano e della sua storia, ha avuto semplicemente il significato di un modo di rapporto ma specialmente di misura, fra me e Dio, fra me e l'uomo, l'umanità dal momento in cui ho capito e accettato che il mio destino non era nei valori che nascevano e si concludevano in me (del resto estremamente chiari e terribilmente voluti e pretesi) ma era in una realtà di rapporti: l'altro e cioè Dio e l'uomo erano la ragion d'essere del mio esistere. E qui era assolutamente doveroso (per capire è necessario aver avuto l'esperienza del "dovere" diventato l'unico ed esclusivo "diritto" nella vita e nella convivenza umana) assolutamente doveroso trovare gli spazi e i termini più rispondenti alla propria risposta a quel destino di rapporto.
Non credo che sia stato per un gioco fortuito di occasioni o di circostanze, sicuramente non per rispondere, anzi tutt'altro, a tendenze personali, ma forse perché la scelta aveva dello strano, dell'assurdo, del pazzesco. Come gettarsi a capofitto dove uno sa che vi è soltanto l'abisso. Una vera e propria perdizione.
Dove avverrà sicuramente di essere mangiato come un pezzo di pane e bevuto come un bicchiere di vino. Perché è vero che il rischio ha la sua potenza di convincimento che, dove la sua misura è più totale , lì può essere di più verità, giustizia, libertà, cioè la possibilità di essere sinceri, cioè semplicemente se stessi.
E poi credo che è Dio che mi ha guidato su questa strada. Forse per vincere di più nella mia vita, sicuramente per essere Lui l'unico, l'assoluto nella costruzione della mia storia. E, può anche darsi, per agitare delle acque stagnanti, realizzare motivi di scontro, tirar su un segno di contraddizione, una realtà di lotta combattuta unicamente a forza di Amore.
Da questo rapporto fra Dio e me non è nata e tanto meno si è sviluppata una religione, una religiosità. Cioè un insieme di culti, di ritualità rivolti all'accentuazione della trascendenza di Dio e al polarizzarsi dei valori umani in una mitizzazione destinata a verificare, mistificandole, responsabilità d'impegno umano, storico.
Dio mi è diventato, dopo alcuni anni di comprensibile decantazione, una terribile provocazione nell'interiorità della mia Fede in richiesta incessante e spietata di un dovere di rischio, senza prudenze e . saggezze e anche senza una logica. È certo che si sono precisate prospettive in cui anche semplicemente l'ombra di una possibilità di ritorno o anche semplicemente di affermazione di me, dei miei valori e delle mie scelte, non potevano che rimanerne assolutamente escluse. Non era più possibile mettere in conto nemmeno problemi di salvezza né mia, né di Dio e tanto meno di Dio in me.
È il momento in cui la perdizione di cui parla il Vangelo diventa programma unicamente capace di assolutizzare una vita in scelte inequivocabili che non perdonano e non lasciano spazio e possibilità a ripensamenti. Si para davanti un'unica strada sulla quale camminare. Un gioco ormai a carte scoperte sul quale puntare a occhi chiusi l'intera posta della vita.
È allora che stranamente, in questo diventar prigionieri, carcerati di una scelta, maturano le più adorabili condizioni di libertà. Quanto più si rafforzano le convinzioni fino a diventare ed essere vere e proprie fissazioni, tanto più la liberazione interiore costruisce capacità formidabili d'impegno e forti possibilità di attualizzazione.
Perché la libertà non è il vuoto a distanza, perdita d'occhio di orizzonti, nel quale vagare dietro la spinta dell'istintività, razionale o fisica o sentimentale che sia: la libertà è essere presi e portati via, immersi nel divenire della storia (e quindi inevitabilmente coinvolti) e giocati senza riguardo e senza risparmio, nel gran gioco dell'uomo diverso, nel realizzarsi dell'umanità nuova.
Per l'ottenersi di questa libertà - la libertà significante uomo - ognuno deve incontrare il suo rapitore e la realtà, il progetto, o se si vuole il sogno, che lo strappi dalla propria individualità e lo butti là allo sbaraglio, succeda quel che vuoi succedere. Ognuno deve trovare il suo abisso nel quale gettarsi a capofitto e nel quale perdersi. Cioè la provocazione che strappi via l'ostrica dallo scoglio e lo spazio nel quale vivere quella libertà imprigionata, che perché proprio imprigionata, ha bisogno del senza limiti o, con un'intuizione di Fede, dell'infinito. Infinito, ovviamente, che esiste soltanto quando e in proporzione in cui la libertà ci ha liberati.
La fede mi ha maturato nell'anima, nella mia interiorità, questa libertà o forse è molto più onesto dire, qualcosa di questa libertà, perché non ho lasciato mai, disgraziatamente, che questa Fede cristiana mi facesse impazzire del tutto.
E mi ha strappato via, a violenze che non perdonano, dalla quiete, pacifismo assurdo e sacrilegio, di tutta una religiosità, che compra e vende una cosiddetta pace, a prezzo di alienazione e disincarnazioni. Costringendomi a uscire fuori, all' aperto e a mescolarmi fra la folla, specialmente quella senza volto e senza nome, perché anch'io diventassi anonimo, non più me stesso, ma l'altro, gli altri, tutti.
Lo spazio e è spaziosità vasta quanto il mondo e si dilata a tutta l'ampiezza sterminata della storia dell'umanità, ho trovato questo spazio nella condizione dell'uomo che lavora col sudore della fronte e con la fatica delle braccia: cioè complesso muscolare valido soltanto in proporzione e finche produce. L'uomo ridotto a calcolo economico. Guardato nella dentatura per misurare l'età, tastato con gli occhi e con la mano per costatarne l'efficienza, la promessa. Come sul mercato.
Ricordo bene quando mi sono messo in giro a cercare lavoro. E poi sempre finché è durato questo sacro tempo della mia verità perché uomo schiavo e libero.
Perché la condizione operaia, in questo nostro tempo che raccoglie le fruttificazioni del farsi di una coscienza operaia e di un maturarsi a seguito e a forza di lotte sempre duramente pagate con prezzi di sangue, di fame, di disperazione, questa condizione operaia vuol dire classe operaia. E la parola bisogna che abbia tutta l'ampiezza della sua significa zio ne storica, per raccogliere la gloria di un passato, la sua forza attuale, le possibilità di essere l'unico soggetto storico per la trasformazione dell'attuale sistemazione della nostra società umana.
Qui lo spazio di presenza è senza confini, ovviamente. E una libertà che ha annullato e vanificato qualsiasi confine, è libertà.
La lotta di classe vuol dire questo cercare incessantemente, a costo di tutto, lo sconfinare, l'andare al di là, un superare e un superarsi appassionato per realizzare un livellamento cioè un'uguaglianza, una fraternità questo essere tutti "compagni", il mangiare cioè tutti lo stesso pane, che conduca e forzi gli uomini all'unità, cioè ogni uomo ad essere uomo, ogni uomo ad essere umanità.
C'è quindi la rivelazione, in una profondità di visione, d'intuizione anche attraverso un'analisi, seriamente e rigorosamente, religiosa e cristiana, di uno spazio, di una latitudine di valori, nella classe operaia, misurabile unicamente con l'unità di misura che è l'uomo. E l'uomo nella sua totalità individuale, collettiva, sociale, politica, in tutti i suoi valori storici, culturali, spirituali, religiosi. L'uomo alla ricerca della propria verità e identità più totalizzante e diventato autenticamente soggetto storico di una rivoluzione universale perché tutta l'umanità sia umanità.
Condizione e classe operaia mi hanno offerto lo spazio per la concretizzazione della scelta di Dio. Cioè, per raccontare secondo le immagini del Vangelo, mi si è aperta, davanti al progetto cristiano della mia vita, una terra sulla quale gettare a piene mani, senza nemmeno guardare dove, il sacco di grano della mia vita, con l'unica prospettiva di un disperdermi inutile o di fruttificare qualcosa, trovando terra che mi accoglie, a condizione di un morirvi sotterrato, come succede per il chicco di grano per realizzare promesse di mietitura.
E qui è la profondità di tutta una lotta, cioè l'animazione dal di dentro di una vera e propria forza rivoluzionaria. E ne ho sempre avuto e ne ho ancora, nonostante tutto, una coscienza estremamente chiara.
Mi sono assunto nella mia vita e non è stata iniziativa mia ma uscita, almeno così credo, dalla misteriosa volontà di Dio e da lui imposta prepotentemente al destino della mia vita, di portare dentro la storia umana e quindi, nel mio tempo, nella classe operaia che sento vero ed unico soggetto della totalità della liberazione umana, la potenza rivoluzionaria dell'idea di Dio dentro la fatica e la lotta dell'uomo e dell'umanità in ricerca di attualizzare, a costo di tutto, una umanità nuova. Perché porto in me la convinzione che sarà Dio e l'uomo l'umanità. Ed è questa convinzione che mi dà di essere e di sentirmi profondamente cristiano ancora. Anche se so molto bene, proprio per una limpida chiarezza di Fede, che anche Dio, come l'uomo, dev'essere ancora liberato perché possa essere nella condizione di esplodere nella storia dell'umanità la sua potenza rivoluzionaria.
E qui la lotta vuol dire liberare Dio da millenni e millenni di religione. Ritrovare e anche qui l'opera di liberazione è impresa terribile, ritrovare la libertà di Dio apparsa chiarissima e vissuta e offerta alla storia da Gesù Cristo, e offrire un Cristianesimo che non sia una religione, ma un costruire umanità, opera di Dio e dell'uomo.
So bene e ormai ne ho lunga esperienza e dolorosissima ma anche esaltante, che assumersi motivi di lotta (hanno in se tutta una Fede e tutto un Amore e proprio per questi tremendi valori questa lotta acquista dimensioni a volte paurose, richiede capacità di strategie attentissime e specialmente di un implacabilità pazzesca e di una dedizione - mi verrebbe da dire "consacrazione" - appassionata) assumersi motivi di lotta scoperti nella chiarezza della Fede in Dio e nell'Amore all'uomo, vuol dire rischiare tutto ma specialmente andare incontro a contrasti, respinte, incomprensioni, tentativi di oppressione...
Vi sono roghi che stanno ancora bruciando anche se non alimentati da cataste di legna secca e spettacolarmente, in mezzo alle piazze.
Mi riferisco alla mia Chiesa e non credo che occorra raccontare episodi di grosse, pesanti, angosciose difficoltà. Perché non è semplice ottenere spazi alla propria Fede, non vengono assolutamente concessi se non quelli ben delimitati e stabiliti, dove è assai difficile il potersi muovere, certamente impossibile realizzare una piena e totale libertà di Fede, pur nell'accoglienza di tutta la Verità rivelata e dal Magistero fedelmente trasmessa.
L'unica condizione che può essere avanzata per questa accoglienza è che sia veramente tutta la Verità, non sezionata, selezionata e tanto meno temporalizzata,
Perché ancora non sono arrivati i tempi per la Chiesa, ma arriveranno, in cui si accetti e si consenta che la Fede in Dio, in Gesù Cristo ecc. può nascere e splendere e impegnarsi in tutta la sua potenzialità a costruire, insieme a tutti gli altri valori umani, umanità, unicamente e soltanto nelle condizioni di libertà totale.
Ho chiesto sempre e soltanto e non solo per me, questa libertà accettando nel frattempo di essere continuamente giudicato sulla Fede e sulle mie scelte concrete. Non mi sorprende però e tanto meno mi induce alla resa, che questa libertà debba essere conquistata. In fondo è la legge della libertà. E quindi i rapporti con la mia Chiesa che non possono che essere rapporti di Amore diventano irrimediabilmente di Lotta.
Diversamente, nella condizione operaia ho sempre trovato larghi spazi alla mia Fede. Ho scoperto immense possibilità d'incontro, di partecipazione, di condivisione. E è bellissimo ritrovarci insieme a camminare sull'identica strada anche se da provenienze diverse. Dev'essere pur possibile una costruzione di umanità anche attraverso una pluralità di motivazioni, anzi questa diversità può costruire un arricchimento indispensabile e insostituibile. L'assolutizzazione, dovunque avvenga e per qualsiasi motivo intenda e cerchi d'imporsi, sarà sempre una disumanizzazione di valori e un cedimento a ipotesi destinate all'oppressione, non alla liberazione dell'uomo e alla costruzione di umanità nuova. Ecco e mi sto avviando alla conclusione di questi accenni alla mia interiorità di prete operaio assai più impegnata e importante della mia esperienza concreta. La mia storia vissuta può anche avere tutta una validità anche se estremamente limitata perché non più che episodica. ma preferisco continuare a raccontarla a me stesso più che agli altri per verificarvi continuamente quella fedeltà, quella linearità alle mie scelte interiori, alle motivazioni che stanno alla radice della mia vita e del mio destino di uomo, di cristiano e di prete.
Possono essere utopie, vaneggiamenti o se si vuole poesia o addirittura sogni. Non ha importanza: spesso penso che si è veri, cioè se stessi, soltanto quando si sogna e non potrà mai succedere, se l'umanità è destinata a sopravvivere, che la realtà vinca o impedisca la poesia. Quello che è vero è che si tratta di onestà di vita perché, in definitiva, io sono un assumermi, senza misurare ampiezza di un compromettermi, di un giocare totalmente me stesso e in questo me stesso vi è anche la mia Fede cristiana con tutto quello che significa e comporta per me credente, in una condizione di lotta nella quale non può che essere richiesta totalità d'impegno, fino a rischiarvi perfino la speranza.
Mi è stato dato di non poter restare a guardare lo scorrere del fiume seduto comodamente fra i fiori e l'erba dell' argine. Sono stato preso e gettato nel turbinio della corrente e ne sono stato travolto. Non voglio essere tratto in salvo. Ma semplicemente fare qualcosa per logorare gli argini e sfondarli nella fiducia che la fiumana abbia a straripare a inondare e dilagare deserti assetati. Se questo sogno - ma dai quattro venti del mondo stanno già arrivando indicazioni di tempi nuovi - non dovesse farsi realtà nella storia del mio tempo, allora preferisco rimanere travolto dai flutti e perdermi insieme a tutti, perché vorrebbe dire che l'umanità ha ancora bisogno di morte per la sua risurrezione, per il tempo nuovo della sua storia.


Sirio Politi


in Lotta come Amore: LcA aprile 1985, Aprile 1985

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