Quando le mani pensano e il cuore sogna

1 - ESSENZIALITÀ DEL LAVORO
Il lavoro è realtà di sintesi di tutta l'esistenza, valore così fondamentale, connaturato con il vivere e convivere umano da determinare tutto lo snodarsi della storia da che mondo è mondo: è la strada obbligata lungo la quale cammina il faticoso, drammatico camminare dell'umanità.
Il lavoro è il rapporto vitale fra l'essere umano e l'esistenza.
E esistenza è nascere, è vivere, è morire. Il lavoro è il contenente, il determinante di questo ciclo vitale, perché stabilisce ed ottiene il rapporto di dipendenza e di convergenza fra il vivere umano e la terra: la terra intesa come sorgente inesauribile della vita.
E' dalla terra che il lavoro trae ogni e qualsiasi elemento indispensabile per la vita e cioè assolutamente tutto.
Un corpo che vive è una realtà di lavoro: l'aria che si respira, il respirare, il nutrimento che si fa sangue, l'assimilare, l'unirsi di uomo e di donna per la vita, il concepire e il nascere... e l'esemplificazione è senza fine perché realmente il lavoro è sinonimo di vita, è il segno dell'essere vivi, è identità con l'esistenza.
In fondo il lavoro come produttività, trasformazione e quindi attività esterna a se stessi e quindi sforzo, fatica nel campo, nella miniera, nella fabbrica ecc. è applicazione del lavoro del vivere per ottenere il necessario per vivere.
Tutto questo, ma è appena un accenno, per chiarire questo legame profondo, quest'unità essenziale fra il vivere e il lavoro, fra il lavoro e la terra sulla quale si vive.
Diversamente, perché con più precisione e più profondamente da quello che diceva S. Paolo: "chi non lavora neppure deve mangiare" si può affermare che "chi non lavora nemmeno vive, non è un vivente" certamente non ha dignità di uomo e di donna. Vivere passivamente e unicamente prendere, cioè sfruttare, non è il giusto rapporto fra la vita e l'esistenza, è respinta di vivere "insieme" con tutta la realtà materiale in una sana e onesta integrazione fra se stessi e la terra sulla quale si vive, non è guadagnarsi onestamente il pane che si mangia, godere dell'acqua che si beve, vivere dell'aria che si respira...

2 - UMANITÀ E DISUMANITÀ DEL LAVORO
Il lavoro è realtà così alla base del vivere umano da essere determinante dei valori fondamentali della vita umana.
E i valori essenziali, decisivi, costitutivi dell'umano e di tutta la sua storia, sono l'amore e l'odio, l'onestà e lo sfruttamento, la pace e la guerra.
Il lavoro è lo spartiacque di questi due versanti che decidono la scelta della storia fra umanità e disumanità.
E' il bivio il lavoro di fronte al quale sta la violenza o la fraternità, la guerra o la pace. Bisogna onestamente riconoscere che le scelte storiche con una prevalenza sconcertante sono state per la violenza e la guerra.
In ordine a queste scelte che hanno affogato di ingiustizia, sopraffazione, di lacrime e di sangue, la storia dell'umanità, la non valorizzazione del lavoro come valore assoluto, la non supremazia del lavoro come unicamente significanza di umanità e invece la disumanizzazione, la svalutazione del lavoro fino ai livelli più depressi come la schiavizzazione, la servitù della gleba, la forza economica, valore produttivo di ricchezza, di potere economico, politico, militare... insomma l'asservimento del lavoro disonorandolo della sua dignità costitutiva, del vero, autentico valore di umanità, riducendolo ai livelli di un attrezzo o di una macchina produttiva di sopravvivenza per le masse o di ricchezza e di potere per i "Padroni del potere", ha comportato da sempre e comporta attualmente, la disumanizzazione del lavoro.
Disumanizzazione del lavoro, valore creativo di umanità, fino al punto da essere storicamente il lavoro realtà di lotta, di scontro, causa di violenza, provocazione alla guerra.
Sgomenta e angoscia spaventosamente la costatazione che ciò che è per la dignità si trasformi in degradazione, ciò che è segno e realtà di solidarietà, di convivenza, diventi campo di scontro, strumento di guerra, ciò che è e deve donare vita, pace, felicità, pienezza di vita umana, sia condannato ad essere giustificazione alla morte, guerra, schiavitù, maledizione.
Un sogno adorabile, un progetto meraviglioso, una proposta di dignità e di grandezza, di vera e propria regalità dell'uomo nello stupendo regno dell'universo, degradato, avvilito, condannato ad una eterna conflittualità, ad una guerra spietata e disumana fino al punto da giustificare gli orrori più spaventosi, le crudeltà più raffinate, le stragi più orrende.
Perché questa è la storia. Storia nella quale il lavoro, l'opera dell'intelligenza e delle mani, della creatività e della trasformazione, ha un ruolo di causalità primaria. E siamo al tempo ormai in cui la desacralizzazione e disumanizzazione del lavoro ha condotto l'umanità e la sua storia sull'orlo estremo dell'annientamento totale dell'esistenza. Il "lavoro" di due pollici a premere due pulsanti può far esplodere questo cuore stanco e deluso dell'umanità: un impazzimento progressivo sul filo dei secoli e dei millenni arrivato alla follia finale.
Le responsabilità di questa degenerazione progressiva dell'umanità del lavoro in questa disumanizzazione identificabile nel suicidio dell'umanità intera?
L'incubo che sta aggravandosi sulla sorte degli uomini, ad ogni giorno che passa, è pazzia e assurdità tale che impedisce perfino le possibilità di analisi.
Sgomenta, disorienta, paralizza ciò che sta avvenendo nella storia, fino al punto che è praticamente impossibile puntare il dito e indicare il colpevole, il responsabile.
E' forse il caso di ricordare la parola di Gesù: "chi è senza peccato scagli la pietra". Eppure può essere importante e giusto e onesto tentare l'identificazione di responsabilità, almeno quelle legate alla particolare condizione di rapporto con la realtà umana e la sua storia. Se non altro per la speranza di cambiamento e per la fiducia d'incidenza storica per un cammino nuovo dell'umanità.
Può essere utopia, d'accordo, ma ormai siamo al punto storico nel quale soltanto l'utopia può significare ed essere salvezza.

3 - RELIGIONE E LAVORO
Nell'analisi storica delle causali che hanno provocato l'affossamento dell'umanità in abissi di perdizione, dalla quale sembra impossibile salvarsi, certamente le religioni hanno pesi e misure di responsabilità letteralmente incalcolabili.
E non tanto, se vogliamo, per responsabilità dirette in questo processo degenerativo nei confronti dei valori umani e in particolare del valore che è il lavoro, quanto per non avere illuminato, facendo brillare la luce sul candeliere, quanto per non aver fermentato con buon lievito la massa di farina e dato sapore con il sale di umanità, allo scorrere della storia.
Perché fra le realtà e i valori umani non raccolti e vivificati, illuminati e impreziositi dalla Fede e dalla Verità religiosa, particolarmente trascurato, emarginato, deprezzato, è il lavoro. E nonostante che il lavoro, l'operosità umana, riassuma, sintetizzi e attui pienamente, fino a significarle profondamente, le verità fondamentali, essenziali, costitutive di ogni realtà religiosa, di ogni affermazione di Fede. Questa realtà di rapporto tra Fede e lavoro è così legata inscindibilmente, fino al punto che maturandosi crisi, condizioni storiche d'incompatibilità o di contrasto, di lotta ecc. ne consegue sempre una depressione, una svalutazione dei valori umani del lavoro e ugualmente un disincarnarsi, un estraniarsi dalla condizione popolare storica per una spiritualizzazione, una finalità soprannaturale e di salvezza nell'eternità, del lavoro, della fatica umana, del rapporto cioè fra l'uomo e la realtà materiale nella quale l'uomo deve lavorare e operare per la propria sopravvivenza e il proprio sviluppo, personale e sociale.
E' chiaro che questa terra pietrosa e aspra non può che fruttificare uno svisamento, un distorcimento della religione e della Fede fino ad essere giustamente giudicata "oppio dei popoli" e nello stesso tempo un impoverimento, un immiserimento dei valori umani del lavoro, fino alla svalutazione e avvilimento del lavoro "come condanna" conseguenza del peccato, schiavizzazione, maledizione...
E' dovere urgente, pressante a voler fermare la corsa del cammino umano verso l'abisso dell'autodistruzione, prima di tutto, ritrovare una visione di Fede, chiara ed esatta, della sacralità del lavoro. E nello stesso tempo ripensare i valori di dignità umana propri del lavoro manuale: perché è dalla valutazione, dalla realtà e dalla gloria del lavoro manuale che può essere ipotizzata una rivalutazione totale di ogni valore umano. È dalle fondamenta che si giudica e si opera la stabilità della casa. Occorre semplicemente il coraggio di una purificazione, un disinquinamento nell'acqua del fiume della storia. E la chiarezza cristallina di idee nuove, di nuova sensibilità umana e il coraggio di un cammino lungo strade diverse.
Come la nonviolenza anche il lavoro (sono due realtà dell'identico uomo) ha bisogno di Amore e di Fantasia.

4 - UMANITÀ DEL LAVORO ARTIGIANALE
La Darsena di Viareggio è certamente l'angolo più caratteristico, vivo della città. Il canale Burlamacca che scende dalle cave di sabbia e dalle paludi del retroterra, è il confine fra la città balneare e il porto. E dire "il porto", la Darsena, è raccontare di centinaia di barche da pesca, attracco di navi mercantili, panfili, yachts e un'infinità di motoscafi a cullarsi sugli specchi d'acqua come branchi di gabbiani pronti a spiccare il volo. Poi i grossi cantieri navali e intorno officine, aziende artigianali, laboratori di ogni genere a provvedere attrezzature, impianti, arredamenti perché ogni barca che scende in mare dev'essere, come una sposa nel giorno nuziale, agghindata e bellissima, perfetta. All'inizio di una strada, a pochi metri da un grosso cantiere (la strada non per nulla è dedicata ad un poeta, Virgilio e i poeti, si sa, non separano mai sogni e realtà) c'è un grande portone di lamiera ondulata, scorrevole. È quasi sempre aperto, spesso anche d'inverno quando nel grande capannone, 500 mq, coperto di eternit, si gela letteralmente: altrettanto come ora che è estate si ribolle. All'ingresso, quando è possibile scorgerlo di tra le macchine e i furgoni vari che disinvoltamente parcheggiano lì davanti, è un cartello, tenuto in piedi da un supporto, con sopra le indicazioni dei diversi lavori artigianali che si fanno all'interno. Ferro, rame, impagliatura sedie, ceramica, legatoria libri, cuoio, falegnameria... è chiaro che l'elenco è piuttosto presuntuoso, ma a giustificazione, dipinta sul cartello c'è un'arca di Noè con diversi animali che si affacciano dalle finestre. Di fatti la denominazione dell'azienda è A.R.C.A. (Associazione Ricerca Cultura Artigiana).
Si entra liberamente e difatti chi non sa cosa fare e anche chi non trova dove scambiare una parola o un saluto, viene a gironzolare lì dentro. Si entra e forse la prima impressione è di un enorme confusione che, meno che lungo il centro, non si sa nemmeno dove mettere i piedi. Si accatastano cose di ogni genere, non proprio come i magazzini di robivecchi, ma quasi. È perché spesso chi vuol disfarsi di qualche cosa che gli è di troppo e che non usa più, la offre a noi, anche ovviamente per fare un'opera buona.
Ma è poi vero che l'artigiano ricicla sempre tutto. Niente diventa inutile all'occhio esperto perché, guarda caso, capita quel lavoretto in cui un pezzo di ferro di quella ferraglia ammucchiata è indispensabile per risolvere il problema. Anzi spesso da cose che potevano essere gettate, vengono perfino delle idee. Chi lavora con le mani ha sempre l'immaginazione, la fantasia pronta e attenta. Dunque da una grande confusione si tirano fuori, come dice il Vangelo, cose vecchie e cose nuove. E questo è verissimo non soltanto per tutta la produzione che può essere realizzata, ma specialmente per chi lavora, vi vive le proprie giornate di fatica e di passione, ottenendovi motivi di sincerità personale, valori di rapporto umano, il necessario per vivere e l'indispensabile per una coscienza di dignità umana.
Sono entrati in quest'arca di Noè, a cercare salvezza dalle acque del diluvio consumistico, dall'affogamento industriale e più ancora dalla pianificazione disumanizzazione della ragione economica, tipi certamente strani. Anche perché a pensare in maniera non uniformizzata, a tentare di vivere non allineati, livellati ecc. si è sempre ormai giudicati come degli strani, degli assurdi, sognatori. Ormai gli spazi per una identità personale si vanno terribilmente restringendo e sempre meno è concessa e perdonata una diversità, una originalità.
In tempi come i nostri di tanto decantata libertà democratica vivere fuori dagli steccati o dalle inferriate delle prigioni della cultura dominante, dell'ordine stabilito, della "normalità" imposta, della morale e anche della religione, della politica utilitaristica ecc. il vivere diventa alquanto difficile. A meno che non si abbiano chiarissime le idee, i convincimenti, a tutta prova di resistenza, le scelte, ma specialmente risorse inesauribili di serenità, di profondissima pace. Tanto più che nel progetto è chiarissima, essenziale la volontà di non vivere chiusi nel proprio guscio ovattandolo meglio che sia possibile, ma sulla strada, allo scoperto, a gomito a gomito con tutta la realtà storica, compresa quella più sconcertante, propria di questo nostro tempo. S'impone quindi un confronto che sia pure spiacevolmente spesso diventa uno scontro. È chiaro, nonviolento, ma forse proprio per questo, continuo, tenace, implacabile, come è, non può essere diversamente, l'Amore.

5 - SOGNARE LAVORANDO
Più o meno mimetizzati, tra le attrezzature e l'affastellamento delle cose, lavorano quattro preti. Una scelta chiara, inequivocabile.
La Fede, ma una Fede religiosa che raccoglie il Mistero di Dio, di Gesù Cristo come una strada lungo la quale camminare nella storia, nella condizione umana. Come accogliere nelle mani una lampada per farsene illuminare ed essere luce, perché c'è tanto buio intorno e spesso le tenebre sono fitte nonostante le luci al neon. Può essere che il lavoro non sia un ministero sacerdotale, un'opera pastorale, rimane però che anche Dio ha "lavorato" alla creazione dell'universo. E Gesù Cristo, fino a trent'anni, risultava figlio di un fabbro-falegname di Nazareth.
In ogni modo guadagnarsi il pane, il necessario per vivere con il lavoro delle proprie mani, la fatica e la fantasia della propria anima, è semplice onestà, donazione vicendevole, scambio vitale, complemento unitario di valori umani. È chiaro che in questa visione può ottenersi nell'umile, povero, amoroso lavoro artigiano, realtà di profondità sacramentali, dove la materia si trasforma in elevatezza di valore umano, per una creatività non soltanto formale, artistico, ma anche religioso, dove il confine fra terra e cielo si confonde e si perde.
Forse è anche qui un ministero sacerdotale, certamente non precisabile a norma del Diritto Canonico, ma per questo non meno santificante del vivere e convivere umano. Quattro preti e insieme a loro obiettori di coscienza (tre attualmente) in servizio civile. A maneggiare attrezzi di lavoro invece del fucile, a imparare un lavoro artigiano piuttosto che a fare la guerra, a lavorare per opere di pace, di fraternità al posto di servire l'assurdità del mondo militare.
Alcuni altri amici impegnati nei diversi lavori e insieme gli handicappati.
L'handicap è più o meno un ritardo mentale, ma più ancora una segregazione fino all'emarginazione ne ha fatto poveri esseri ( sono ragazzi e ragazze da 20 a 25 anni) destinati ad essere una disgrazia per le loro famiglie, un peso cioè una zavorra per la società.
Il lavoro manuale visibilmente li ha ravvivati, come usciti da un tunnel buio e ora all'aperto della vita dove gli spazi sono alla luce, all'aria aperta. Le mani che lavorano producono ma non soltanto cose visibili, concrete, da ammirare, da vendere e commerciare, producono serenità, espansività, rapporti umani e particolarmente senso di utilità, coscienza di valore personale, di contare realmente qualcosa. Poco, certamente, ma a pensarci bene, cos'è che conta molto nella vita? Forse soltanto quelli e certamente sono tanti, che si credono di realizzare cose importanti ma spesso è a seguito di una gonfiatura fatta dagli interessati o dalla società capitalistica perché vi lega i suoi interessi economici.
Loro no, sono felici soltanto di essere insieme a tutti, di essere come tutti. E lo sono nel lavoro, alla mensa operaia, nei rapporti con noi, con la gente che viene nel capannone, per le strade nelle manifestazioni sindacali e politiche, al ristorante dove ogni tanto riusciamo a ritrovarci.
Non è facile spesso tirare avanti ore e ore di lavoro, trovare motivi d'interesse personale, educare ad una coscienza operaia, intuire i momenti difficili, sostenere le depressioni e le stanchezze. Ma non è così anche con le persone cosiddette normali?
Sì, è vero quando suona la sirena, spesso è un grosso sollievo: ma sollevarsi dalla fatica del lavoro è la gioia di chi lavora. E nella nostra azienda, appena le sirene dei cantieri accennano il loro grido, uno dei ragazzi, ormai specializzato nella sirena, sale in cima alla scaletta dove è sistemata la legatoria dei libri, e dopo aver preso nei polmoni una lunga fiatata, suona anche lui, imitando la sirena, alla perfezione, a meno che qualcuno gli dica: clik e allora tronca l'onda del grido e protesta: ma perché mi hai levato la corrente?

6 - L'INEVITABILE BUROCRATICO
La nostra azienda artigiana è una società di fatto, iscrizione alla Camera di Commercio e all'Artigianato. Amministrazione regolata dalle norme vigenti con tutti gli effetti assicurativi, pensionistici, assistenziali propri di ogni azienda artigianale. Chi lavora con noi deve iscriversi all'artigianato, deve provvedere al pagamento dei contributi, regolare una sua amministrazione, passare all'azienda, per le spese di gestione, il dieci per cento del suo fatturato.
Per gli handicappati (attualmente sono dodici dei quali otto a lavoro protetto e gli altri per una preparazione ad un inserimento nel lavoro) è stata stipulata una convenzione con l'U.S.L. della città.
L'U.S.L. provvede all'assicurazione, alla retta della mensa operaia, allo stipendio di una dipendente dell'U.S.L. per l'assistenza, tre ore al mattino per una ragazza specializzata in ceramica, un contributo per le spese generali dell'azienda (c'è un forno elettrico per le ceramica).
Il capannone dove lavoriamo è in concessione demaniale all'azienda e viene pagato un affitto allo stato. La produzione e la commercializzazione del lavoro prodotto dagli handicappati viene amministrata con amministrazione propria a totale ritorno del gruppo handicappati.
Eccoci qui. Da alcuni giorni i ragazzi sono al mare, a prendersi il sole e sguazzare nell'acqua, fra le onde che frangono sulla battima. Anche noi, artigiani che si rispettano, alla fine di luglio chiudiamo la baracca e andiamo in ferie.
C'è piuttosto bisogno di allargare l'anima in una distensione libera e riposante: perché a settembre si arriva molto presto e l'A.R.CA riprenderà, a Dio piacendo, a navigare, vele al vento, sulle acque di un diluvio che non accenna ad offrire ancoraggi tranquilli e sicuri di pace, di fraternità, di umanità.


Sirio


in Lotta come Amore: LcA giugno 1985, Giugno 1985

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