La posta di fratel Arturo

Cari Amici d'Italia,
L'avvenimento più importante di questi ultimi tempi, è la conversione da una vita nomade a una vita sedentaria (per modo di dire). Questa conversione nella storia dei popoli rappresentò una vera rivoluzione, e nella mia storia personale è pure un cambio importante. Gli avvenimenti mi hanno condotto alla decisione di rompere con la mia vita di predicatore ambulante per dedicarmi a una comunità con maggiore continuità di tempo. Questo passaggio non può essere brusco come desidere-rei, perché non posso trascurare gl'impegni presi precedentemente.
Ora faccio una esperienza di come il nostro cuore non va al ritmo del tempo perché sento che in me è avvenuto qualcosa di veramente nuovo e questo avvenimento mi riempie di gioia. Nello stesso tempo ho la coscienza che non posso abbandonare il vecchio di punto in bianco, per il rispetto che devo ad altri e agl'impegni presi.
Quando sono rientrato in Brasile il padre Oreste Stragliotto, il parroco che ha fatto finora da impresario dei miei impegni di lavoro ricevendo più critiche che lodi perché doveva rispondere un numero maggiore di "no" che di "si", mi aveva preparato una casetta di legno ai limiti della sua parrocchia in un quartiere operaio che si chiama vila campestre. Il quartiere è conosciuto anche perché contiene una zona di prostituzione. La casetta doveva essere secondo un piano primitivo, un eremitaggio per i nostri ritiri, ma, da quando vi sono entrato, ho sentito che doveva essere il mio domicilio. Oreste con una preoccupazione di me da vero amico, ha cercato di fornire la casa di certe comodità come per esempio un bagno e una doccia che costituiscono il pezzo più bello ed elegante della casa, e ora pensa di costruire due stanze annesse per gli ospiti che vorranno passare con me un po' di tempo. Le stanze saranno molto semplici e mi offre una garanzia quello che Oreste aveva già costruito a Caxia nella casa dove abbiamo collaborato per anni in ritiri, incontri, corsi per gruppi religiosi e laici dedicati alla pastorale popolare. Queste stanze non risultano superflue perché attualmente due giovani abitano con me, e siamo davvero allo stretto. Guardo per consolarmi i tuguri ai piedi di questa collina dove so che vivono sette otto o più persone molto più allo stretto. Ma non sono così fanaticamente letterale nell'assumere la vita dei poveri, e più che a una imitazione formale, penso alla mia identità che devo rispettare fondamentalmente, per restare in mezzo a loro con una certa efficacia contento della mia vita.
Non so perché mi risuona sempre alle orecchie un verso di Dante che a proposito di san Pier Damiani lo definisce "contento né pensier contemplativi" perché dobbiamo essere contenti della nostra vita, ma non dobbiamo per decreto o per uno sforzo di volontà, ma perché veramente la vita che facciamo ci piace davvero. Io non saprei pensare una vita diversa per me. Abbiamo battezzato questo luogo "morro do Precursor" monte del precursore perché la casetta é situata su un monticello che solo con un po' di fantasia si può chiamare montagna, un po' come la montagna delle beatitudini; e la comunità ha scelto democraticamente san Giovanni Battista come Patrono. Il luogo è molto bello, circondato da boschi finché resteranno boschi, perché le case avanzano a un ritmo impressionante; di qua vedo san Leopoldo e nei giorni limpidi, Porto Alegre che è a una trentina di chilometri. La comunità è composta di operai che hanno lasciato il campo dove non potevano più vivere; in basso si estende una fila di tuguri abitati da "biscateiros" gente che vive di lavori precari. Mi sono sentito accolto dal primo momento e, nonostante abbia passato un mese solo, non mi sono mai sentito in solitudine. Non posso dire a voce alta che questo mese è stato forse il migliore dell'anno perché ho sempre paura di offendere quelli che partecipano alla mia vita con i quali mi trovo sempre bene; insomma ho scoperto una volta di più che sto bene in compagnia e meglio solo, perché solo sono più in compagnia. Mi chiedo sempre perché quando si parla ai religiosi di scelta dei poveri è come parlare di andare all'inferno. Vi fanno quella faccia di martiri volontari che darebbe voglia di dire - statevene a casa vostra - perché non vedono altro che la sporcizia, le cose che mancano delle quali moltissime sono assolutamente inutili. Non si vede quell'onda di amore, di simpatia che si avvolge quando si mette piede in una comunità di poveri. Non so se sono un marziano, ma ho sempre pensato che la sola vera felicità dell'uomo è l'amore e l'amicizia. Quando ci si sente accolti ed amati tutto è bello, l'amore trasfigura le cose. Senza l'amore tutto diventa brutto e ostile. Nella mia lunga esperienza di vita in fraternità potrei raccontare sofferenze, lotte, spazi di vita non facile, ma mai, mai un solo momento mi sono sentito estraneo in un comunità; posso dire col fratello Carlo che la mia massima sofferenza sono sempre state le separazioni, le partenze.
Per l'anno prossimo 1986 penso, secondo un piano che abbiamo fatto coscienziosamente con Oreste, che il mio soggiorno qui sarà interrotto solo da due viaggi, uno in Italia e un altro in Amazonia dove m'interessa soprattutto incontrarmi con un vescovo domenicano che stimo moltissimo. Oreste pensa a un centro di spiritualità un po' come Spello; io spero che sia meno frequentato di Spello, ma mi lascio portare da Colui che ha diritto sulla mia vita e ha trasformato questo diritto in una amicizia davvero felice. Ripensando alla mia vita vedo tante tantissime infedeltà da parte mia, ma vedo che tutte le scelte i cambi di rotta, violenti o soavi, tutti sono risultati buonissimi. Questo mi fa aperto sempre al nuovo, senza paura, anche se vedo chiaro fino in fondo, ed è giusto non vedere chiaro perché direbbe Paolo, "la speranza che si vede non è più speranza".
Vi abbraccio uno ad uno.


Arturo


in Lotta come Amore: LcA giugno 1985, Giugno 1985

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