Domenica 14 aprile
Al mattino mentre Tarcisio Silvano e Umberto sono andati da una comunità "Ipitassito sul monte" per trattare il luogo e il modo della costruzione di un acquedotto mi sono fermato a Gutierrez, in meditazione. Ricordavo il pensiero di un missionario salesiano della Terra del fuoco: "gli atti di sevizie e di crudeltà che si compirono dacché gli uomini bianchi penetrarono nella Patagonia contribuendo così grandemente alla rapida estinzione di una razza innocua e vigorosa, passeranno ai posteri come una macchia vergognosa della civiltà. Esploratori, estancieros, militari non ebbero scrupolo di scaricare i loro fucili sui poveri indios, come se si trattasse di selvaggina, e di strappare dal fianco dei loro mariti e dei loro padri donne e ragazzi, di allontanarli dai loro focolari domestici per portarli in terre straniere ed esibirli al pubblico come gli esseri più degradati del genere umano". Simile copione - con variante di schiavitù in Africa - è avvenuto nell'America del Nord, Canadà compreso in tutta l'America Centrale e del Sud e in Australia. Alla fine del 1700 gli aborigeni erano 300.000, un secolo dopo lo sbarco di Cook gli aborigeni erano ridotti a meno di 60.000. Cacciati dalla loro terra tradizionale e spinti verso le terre inospitali dell'interno, fatti oggetto di massacri e decimati dalle malattie importate dai nuovi arrivati "i civilizzatori e gli evangelizzatori", furono considerati più o meno come animali: spedizioni e battute di caccia all'aborigeno conti-nuarono infatti per tutto il periodo della colonizzazione fino alle soglie del nostro secolo. Attual-mente sono 25.000, esercito di emarginati distrutti dalla miseria e dall'alcool: manodopera a buon mercato frutto dell'assimilazione forzata alla società bianca.
Presso la chiesa e la casa dell'amico francescano vi è una locanda (ora in disarmo) dove alcuni anni prima dell'inizio della guerriglia 1966 vi ha soggiornato sotto il nome di un mercante il Che Quevara: questa zona fu teatro dei suoi nascondimenti, delle battaglie, del tradimento e della morte. La Bolivia ha poco più di sei milioni di abitanti che vivono su un territorio di un milione di Kmq, la Bolivia esportatrice di materie prime soprattutto di metalli, è stata travolta dalla crisi economica internazionale. L'inflazione ha superato il 2.500%, il potere di acquisto dei salari è diminuito della metà negli ultimi cinque anni, la produzione interna è crollata. Le ripercussioni sono drammatiche: è aumentata la mortalità infantile, 213%, la più alta dell'America Latina. Il 70% dei bambini soffre la denutrizione, il 50% dei nati muore prima di aver compiuto i dieci anni. La media nazionale (di vita) è di 48 anni, ma nelle regioni minerarie di Potosì e Oruro arriva appena a 36 anni: (agli inizi del secolo le mamme preferivano uccidere i maschi appena nati piuttosto che vederli morire poi adolescenti nelle miniere). I ricchi della Bolivia sono tre volte più ricchi dei loro pari dei paesi più industrializzati del mondo.
Qui a Gutierrez presta la sua opera nell'ospedale un infermiera professionale tedesca Elisabet, fa parte del servizio volontario internazionale: una ragazza molto dolce, sicura di sé, attenta.
Ha viaggiato molto, è stata tre volte in Italia in bicicletta e la conosce benissimo particolarmente la Toscana, si difende discretamente con il castigliano e l'italiano. Nicolosa è la capo infermiera, con Vincenta e Salomè a nome di tutta la comunità hanno preparato un'amichevole accoglienza per noi: anche l'orto è ben rasato per evitare qualche non simpatico incontro con i serpenti a sonagli. Mentre attraversavo la piazza del paese ho guardato di nuovo la locanda e ricordavo le parole di quel vecchio frate (aveva dato la benedizione alla salma del Che) nativo di Camaiore p.Carlos Orsetti "quell'uomo era un santo" riferendosi al medico argentino.
Alle dieci abbiamo celebrato la Messa parrocchiale: molta gente semplice povera e attenta, un battesimo di un bambino meraviglioso come tutti i bambini, l'hanno chiamato Orlando "quando nasce un bambino vuoi dire che Dio si è stancato di noi" il mio cuore ha sobbalzato di gioia! La chiesa poverissima richiama l'austerità delle nostre pievi romaniche e ti obbliga a pregare o ad inchinarti ad una presenza di un mistero e di un disegno che sempre ha accompagnato la tua vita. Peccato che la parte di sinistra, per chi entra, è lesa da una crepa profonda: ferita grave che forse la sta destinando purtroppo alla demolizione. L'altare laterale di sinistra è tutto un programma ed illumina su di un certo tipo di evangelizzazione antica. È dedicato a S. Diego di Compostella, il san Diego matamoros della lotta spagnola contro i mussulmani.
Diego con una vistosa aureola è vestito come un cavaliere spagnolo, casacca, cappello a larghe tese con pennacchio, calzoni a bande larghe, spada sguainata e lui saldo su di un cavallo bianco e sotto le zampe a mordere la polvere un povero indio, un povero diavolo... nella casa del Padre di tutti, nell'ascolto della parola di Dio, nel ricevere i sacramenti l'indio deve sapere, deve credere... che l'indio non è gente.
Lunedì 15 aprile
Alle sei del mattino abbiamo salutato il vescovo di Camiri padre Pellegrini: era venuto gentil-mente a trovarci in Viareggio dalla sua Pescia (convento di Colleviti) durante il periodo di riposo in Italia. Era di passaggio da Gutierrez per S. Cruz dove l'attende la conferenza episcopale di Bolivia. Nel pomeriggio un viaggio fra le boscaglie ai pozzi di petrolio - attualmente in via di esaurimento - furono causa di tre anni di lotta spaventosa fra la Bolivia e il Paraguay (spinte dalle compagnie multinazionali del petrolio) una guerra che dissanguò in modo particolare la Bolivia sia in creature umane sia nella sua economia nel suo territorio (la Bolivia nelle sue guerra ha perduto la metà del suo territorio e il suo sbocco al mare).
In questi boschi quasi inaccessibili di un verde intenso costellati da piccole lagune e da minacciosi torrenti vi domina il quebracho, la pianta che fa rimbalzare l'accetta, ha operato il Che coi suoi compagni nel tentativo d'insurrezione armata di questa parte orientale della Bolivia: si presentarono come guerriglieri e sbalordisce il fatto che abbiano agito per un anno in località impervie, infestate dalla malaria con scarsità di mezzi e di nutrimento, circondati dall'esercito boliviano e dai rangers argentini, paraguaiani e americani sorretti unicamente da un amore incondizionato all'ideale della libertà. Qui il Che fu venduto per un pugno di denari e dopo un'imboscata e l'uccisione di undici suoi compagni fu catturato ed ucciso vigliaccamente. Un boliviano sopravvissuto Inti Peredo racconta che dopo la sua morte gli furono tagliate le mani e man-date in un vaso di formalina al dipartimento di stato USA come prova della morte del Che: ma le mani non provavano nulla, una prova più convincente: il cadavere!
La Higuera 9 ottobre 1967. Vicino alla scuola atterrò un aereo boliviano con il cadavere del comandante legato ad una barella, teneva gli occhi aperti e la mandibola inferiore cadente sul mento. Dei bambini boliviani di quella scuola elementare coprirono quegli occhi spalancati con un fazzoletto e dei soldati con un cinturone chiusero quella bocca. Poco lontano atterrò un aereo americano, scesero degli ufficiali statunitensi, ridendo fecero un giro intorno al cadavere: da quell'aereo il Che sparì nelle fauci del dipartimento di stato. Chi raccoglierà quello sguardo e quel grido soffocati dalla violenza?
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1985, Dicembre 1985
Luigi Sonnenfeld
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