Queste semplici righe scritte come sempre in maniera quasi improvvisata, ma profondamente sincera, e offerte alla lettura degli amici sparsi un po' dovunque, sono come il risultato di una lunga permanenza nel fondo della mia anima di una storia che mi è penetrata dentro e non ha più voluto abbandonarmi. Ogni tanto essa si riaffaccia alla mente, come nascosta dietro il sipario della memoria e pare quasi che esprima il bisogno di non essere cancellata dalla normale dimenticanza con cui tutti noi riusciamo ad allontanare i brutti ricordi, le ferite e le lacerazioni passate. La pagina di giornale sulla quale mi è capitato di leggerla è ormai carta da buttare (anche se l'ho conservata gelosamente), la storia è fresca dentro di me e la sua ferita rimane tranquillamente aperta. Così ho pensato che era giusto parlarne con gli amici, a distanza, come a continuarne ad allargarne la memoria: una memoria che sia motivo di una "lotta come Amore" che in qualche modo ci impegni seriamente nella nostra vita.
È la storia di Randa Amar, una bambina libanese di 10 anni, che il 17 Agosto di quest' anno ha tentato per due volte di togliersi la vita perché stanca della guerra. È stata ricoverata nell'ospedale di Tiro dopo che aveva ingoiato parecchie pasticche di barbiturici. Quando si è svegliata, dopo la lavanda gastrica, ha tentato per una seconda volta di uccidersi buttandosi da una finestra: dopo un volo di 8 metri, è finita per caso sul tetto di un'ambulanza. Così si è rotta le ossa in varie parti del corpo, ma è rimasta viva. Al giornalista del "Corriere" che ha parlato con lei, questa bambina libanese ha detto parole che sembrano inconcepibili per una ragazzina della sua età: "L'ho fatto perché ho capito che la guerra non permette ad un bambino di vivere. L'ho fatto perché ero stanca: perché non ho visto mai nient'altro che fucili e carri armati."
Queste parole sono certamente una delle condanne più chiare e terribili che siano mai state pronunciate contro la guerra e contro tutti coloro che la preparano, la sostengono, la guidano, la realizzano. E al di là delle parole, il fatto angoscioso che questa bambina abbia cercato nella morte quella pace che la vita non le ha mai saputo offrire nella sua tormentata vicenda in un quartiere islamico di Beirut Ovest, esprime un giudizio indiscutibile su una delle realtà più disumane della nostra storia.
Letta e accolta alla luce del Vangelo, la storia di Randa è una amara e lucidissima "parabola" che mette a nudo tutta una serie di concezioni, idee, modi di vivere e risolvere i rapporti umani che stanno dietro - come alla radice - di ogni guerra, di ogni modo violento e sanguinario per affrontare i problemi. Essa è come uno specchio della verità dove ognuno di noi può guardare la propria immagine e trarne le necessarie conclusioni. Personalmente sono molto riconoscente al giornalista che ha voluto raccogliere questa storia, perché essa fa parte di quel Vangelo vivente del nostro tempo, attraverso il quale passa di sicuro il messaggio di amore che Dio - senza stancarsi -continua a farci arrivare. Se è vero, come scriveva il poeta indiano Tagore, che "ogni volta che nasce un bambino, è segno che Dio non si è ancora stancato degli uomini", è altrettanto tragicamente vero che ogni volta che un bambino tenta di morire, è segno che Dio si sta stancando di tutti noi.
Certamente la storia di Randa Amar è solo un piccolissimo punto della fiumana di dolore e di sofferenza che tutte le guerre hanno generato: essa però racchiude un misterioso messaggio, un appello urgente e pressante per chi ha orecchi per intendere, anima e cuore per accogliere e comprendere. Per i mercanti di cannoni, i grandi generali, i capi degli stati, gli scaltri diplomatici, i tecnici e gli scienziati militari, fino agli operai delle fabbriche di armi, ai militari di leva delle caserme, ai cappellani militari... quello di Randa non può essere altro che un "incidente" di infinitesima importanza, un granello di polvere nell'immenso turbinio delle vicende umane, una goccia quasi invisibile nell'oceano dei problemi. Un niente. Per comprendere tutta la portata di questa piccola e terribile storia, penso bisognerebbe prendere sul serio le parole di Gesù: "Guai a chi dà scandalo ad uno di questi piccoli." L'eco di questo scandalo la possiamo trovare molto chiara nelle parole di questa misteriosa bambina libanese: "Mi sono ricordata due cose prima di tentare di farla finita: l'esplosione di un'autobotte a Beirut, circa 4 mesi fa; poi il fidanzato di un'amica più grande ucciso in strada con un colpo di fucile". Nelle sue parole, ma molto più nel suo gesto, c'è come il riassunto di tutta la tragedia del Libano, del popolo palestinese, dello scontro durissimo fra cristiani, musulmani, drusi, sciiti; della folle strategia che ha sostenuto tutta l'operazione passata alla storia come "operazione pace in Galilea" di parte israeliana; di tutto il commercio d'armi che fa i suoi grossi profitti nella terra bruciata del Medio Oriente. Questo intreccio di cose, alla cui base sta indubbiamente l'assurda e cieca volontà di dominio, di sopraffazione, di sfruttamento economico, di supremazia politica, di rivalsa razziale, è diventato come un cappio mortale stretto intorno al cuore e all'anima di questa bambina fino a farle desiderare intensamente la pace della morte. E Randa non è la sola ad aver subito questo atroce richiamo. Il dottore che l'ha curata nell'ospedale Jaral Amel di Tiro, dichiara: "Ci sono stati molti suicidi, soprattutto fra i giovani. Qui la gente ha conosciuto soltanto una realtà, quella della guerra. I ragazzi che in Libano hanno vent'anni non sanno che c'è un mondo dove non si spara tutti i giorni".
Non so quello che ognuno di noi può e deve fare perché la storia non cammini più sul filo della guerra, della distruzione e della morte; ma una cosa è certa: almeno possiamo non perdere la "memoria" di questi fatti, conservarli come un fuoco acceso nel fondo dell'anima perché ci costringano ogni giorno a forzare le porte della pace.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1985, Dicembre 1985
Luigi Sonnenfeld
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