Sogni antichi e sempre nuovi

Il seminario famiglia del Vescovo

Frugando in un cassetto, mi è capitato fra mano un ciclostilato un po' sgualcito: ho visto la data 8 settembre 1969. Mi ha incuriosito e ho cominciato a leggere. Ora ricordavo tutto perfettamente e leggendo mi batteva il cuore di emozione e trepidazione, come allora, quasi diciassette anni fa, quando scrissi questa lunga lettera che inviai poi a tutti i Vescovi italiani.
È chiaro che palpitava ancora nell'anima la speranza di un'alba nuova accesa dal Concilio e di rimbalzo si sognavano anche nelle Chiesa le "novità" del '68.
Ricordo che mi risposero su 250 (non ricordo bene quanti sono i vescovi in Italia) sei o sette, alcuni rallegrandosi ma non oltre il "sarebbe bello, ma...".
Non è certamente criterio di giudizio un sogno, un'utopia specialmente poi trattandosi di un povero prete operaio, sta il fatto però che nel ventennio del dopo concilio sono nate organizzazioni, sinodi, assemblee, convegni e conferenze, dichiarazioni e discorsi e parole anche nuove, mai ascoltate prima d'ora... ma l'istituzionalità della chiesa gerarchica e no, è sempre la stessa, ferma, stabile, immutabile, dogmaticamente "Pietra".
Mi è venuta la voglia di raccontare agli amici quest'ingenuità di tanti anni fa. È stata una lettera un po' troppo lunga, è vero, per i Vescovi, spero che non lo sia per tanti amici, anche per la loro affettuosa comprensione e gradimento generoso della mia infantilità di sessantaseienne...
Grazie.

Il seminario famiglia del vescovo

1 - Il mistero dell'ordinazione sacerdotale
Non so cosa penserà un Vescovo durante la liturgia di una ordinazione sacerdotale: non mi è mai capitato di parlarne e di domandare qualcosa di quello che sicuramente passa nel suo cuore e attraversa la sua anima quando sta comunicando vita sacerdotale ai giovani ordinandi, trepidanti ai suoi piedi.
Ma penso che il Vescovo in quel momento deve sentirsi passaggio misterioso di tutta la realtà di Dio, infinitamente ansiosa di comunicarsi agli uomini. Continuità inesauribile dell'unico Sacerdozio di Gesù Cristo che allarga il suo Mistero sacerdotale a uomini, quasi nella ricerca che il suo unico Sacerdozio di mediazione perfetta e totale fra l'umanità e Dio sia ancora di più fatto di carne e sangue, allargato e moltiplicato d'esistenza in ogni momento e in ogni angolo.
Perché l'andare al sacerdozio è qualcosa di questa terra, di questa realtà umana che accoglie e ridona.
Si offre, umile e buona. Ansiosa di essere terra abitata da Dio. Percorsa dallo Spirito Santo. Resa viva della vita di Dio.
È come quando la terra era informe e vuota e la tenebra ricopriva l'abisso. E alla Parola di Dio il cielo si aprì e la luce inondò l'universo di splendore.
È ancora Dio che chiama Abramo dalla sua terra e dalla sua gente e lo mette su una strada senza riposo, segnato da un destino di elezione, sul filo d'incontro, di comunione o di contrasto, fra il Cielo e la Terra.
È questa terra umana, capacità infinita di bene, che fatta corpo di donna e grembo aperto e pronto di madre, accoglie Dio e acconsente alla comunione, finalmente, di Creatore e di Creatura, nell'unità di nuova esistenza, Gesù.
Ora mi perdo a pensare a Gesù. Vedo la chiarezza del suo essere e colgo l'unità delle sue componenti.
Avverto limpidamente Dio e sento profondamente l'Uomo. E la comunione che compie l'unico essere. Confluenza perfetta, punto d'incontro, il nuovo principio di creazione del Cielo e della Terra. Sacerdozio completo e unico di tutto il Mistero. Lui ne è il segno e la realtà perfetta. La mediazione fra Dio egli uomini, nell'essere Lui l'Uomo, che è e realizza se stesso, come compimento assoluto del Pensiero di Dio che si esprime e si offre nell'Amore che crea.
Dopo e dalla Pentecoste in poi, quando lo Spirito di Dio s'impossessa di uomini per riprendere in modo scoperto e libero lo svolgersi e l'attuarsi del Regno di Dio nel mondo, qualcosa di misterioso -cos'è la vocazione? - porta corpi e anime sotto le mani di un vescovo, protese a convergere su quella povera vita tutta una storia di Dio che continua ad aver voglia di uomini, perduti dietro a Lui, portati via dalla violenza del Suo Spirito, mangiati come il pane e bevuti come il vino, Corpo e Sangue del Suo Cristo.
Mi pare che quell'uomo, il Vescovo, abbia qualcosa della luce al principio quando la terra fu chiamata ad essere realtà del Mistero di Dio. E che porti e significhi il Mistero del cercare uomini da caricare e colmare fino all'impossibile del peso indicibile di un Amore infinito sempre più impaziente di offrirsi, lungo secoli e millenni. E abbia qualcosa che richiama il pensiero della Vergine dal cui seno nasce ancora il Figlio di Dio. E è sicuramente globo di fuoco a spargersi in lingue di fiamma perché le parole diventino Parola di Dio, e uomini fatti fiamme vive accendano l'arsione del mondo in incendio di Spirito Santo.
È vero, tutto è realmente così. L'ho creduto seriamente quando sono stato generato sacerdote da questa paternità che riflette e rivive la Paternità di Dio, dalla quale tutto ha origine e nascita perché unico e assoluto principio Lui è.
E lo credo e lo sento vivamente anche dopo che gli anni mi hanno dato la crescita, fin quasi a ottenermi un vivere e un sognare da solo, indipendentemente da chi mi ha dato la vita sacerdotale.
Perché si cresce o ci si matura anche sacerdotalmente. Non si può essere sempre lattanti o portati fra le braccia. Difesi dall'autorità e protetti e custoditi dall'Amore paterno.
A un certo punto bisogna camminare da soli. Guadagnarsi il pane che si mangia col sudore della fronte, è necessario e bellissimo. Come anche il pagare duramente la Parola che si annuncia, l'offrire carne e sangue e anima insieme al Corpo e al Sangue di Cristo, e verificare continuamente e spietatamente la rispondenza, l'allineamento perfetto del proprio sacerdozio a quello di Cristo, perché realmente unico, come dev'essere, sia il Sacerdozio.
Il figlio nasce dalla paternità del cuore, e forse assai più che dalle viscere del genitore. Poi il concepimento, inizio di trasfusione di Amore. La nascita, realtà di vita da crescere nella continuità di quella trasfusione di Amore. Il portare alla pienezza della vita. Darne il mandato. Consegnarne la responsabilità. Conferirne la gloria...
E ha inizio la propria strada. Comincia a svolgersi il destino personale. A farsi sentire il peso della vita, specialmente quando sulla terra sovrasta tutto il Cielo, in attesa di scendere sulla terra, e la terra si tormenta per la terribile voglia di unirsi al Cielo.
Così è la maternità. Questa accoglienza misteriosa e infinita di cui è fatto l'universo. Che riempie di sé la terra sotto il sole e sotto la pioggia. Scava di abissi incolmabili di attesa, aperta e insaziabile, il cuore dell'umanità sotto l'infinita fecondità di Dio. E ogni fiore lo dice a primavera. Un passerotto lo canta sul tetto. Gli occhi ne parlano silenziosamente e ardentemente. Ogni donna ne è il segno potente, di questa accoglienza, e il suo grembo è in attesa - l'unico sulla terra - di carne e di anima e cioè di tutto il creato.
Così è della Chiesa: questa maternità che raccoglie la maternità di tutto l'universo davanti all'infinita, onnipotente Paternità di Dio, perché dal suo grembo - l'unico grembo sulla terra che aspetta carne, anima e Spirito Santo, dopo quello di Maria - nascano Figli di Dio e fra loro partecipazioni vive, continuità storiche senza soste, al Sacerdozio unico e sommo di Gesù Cristo.

2 - Paternità e maternità della chiesa
Sogno la Chiesa come ricchezza di paternità e di maternità. Ne porto la potenza generante nella mia carne e nella mia anima fino a provarne, quasi in modo fisico, sicuramente come una realtà costitutiva di me stesso, una partecipazione di autentica paternità e maternità.
Eppure - e son passati ormai tanti anni e sono cresciuto e ho vissuto la mia avventura sacerdotale quasi unicamente (specialmente nelle realtà più vere e responsabili) a seguito d'iniziativa personale eppure mi sento tanto figlio della Chiesa. Quasi come se fossi ancora un bambino.
È sofferenza d'angoscia indicibile ogni volta che la scopro e la sento matrigna. Burocrazia fredda.
Giuridicismo arido e spietato. Ufficialità e convenzionalità distaccata. Disincarnata dal tempo e dalla vita. Amministrazione delle cose di Dio e di quelle degli uomini con disinvoltura furbesca e saputa. E specialmente lontana dai suoi preti.
La Sacra Gerarchia. Autorità e responsabilità assolute. Tutto chiuso come il palazzo episcopale. E tanto più il Palazzo Apostolico. Rapporti di preti e Vescovi fatti di sistemazione parrocchiale, di convenienze servili, di speranze e intrallazzi carrieristici. Tutto a cuore arido per una strana e vicendevole diffidenza, quasi a difendersi uno dall' altro, coperto dalla sdolcinatura di riguardi e di falsità ossequienti.
E a cercare e sognare qualcosa che, chissà, forse lo Spirito Santo, ha smosso nel cuore, o la grazia dell'inquietudine agita dentro, non tanto sono le difficoltà pratiche che si parano davanti, che sgomentano e stancano, e tanto meno il prezzo - e a volte è altissimo - che deve essere pagato perché il sogno diventi realtà, quanto la immensa fatica di chiarire il problema col Vescovo, di avere la Chiesa con noi a rischiare qualcosa sulla nostra pelle, ad ottenere i dovuti, indispensabili consensi perché non ci si senta soli, individualità sterile e perduta a cercare un po' di Regno di Dio, ma ci si senta Chiesa.
Sono i momenti più duri, e ogni prete, a torto o a ragione non ha importanza, ha storie di lacrime da raccontare, parlando di sua Madre la Chiesa, o storie di vuoti, di solitudini paurose, di disperazioni cocenti.
Perché il padre non ci è padre, e la madre non ci è madre?
Perché questa nostra Santa Madre Chiesa lascia che i suoi figli si sentano orfani, dei senza famiglia?

3 - Come un orfano
Sono uscito di casa ed ero ancora un ragazzo. Quell'uscire di casa è voluto dire, lo ricordo bene, uscire dalla mia famiglia naturale. Con tutto l'affetto infinito che mi ha seguito, accompagnato, di mio padre e specialmente di mia madre, entrando in seminario io sono diventato come un orfano. E ragazzo solo, abbandonato ad estranei con mentalità così assurde, con regolamenti così aridi, in una enorme casa così anonima, sono cresciuto orfano. La Chiesa è stata un collegio spietato per demolirmi e poi ricostruirmi in meccanismi prestabiliti non so perché e non so da chi. Certo non da una Madre.
E l'orfanello è cresciuto, su su, piano piano. Si è lasciato fare docilmente tutto quello che i dirigenti del collegio hanno voluto. Dio solo sa perché sono rimasto all'orfanotrofio, nonostante quella voglia infinita nella carne e nell'anima di padre e di madre e di famiglia: una casa, una donna, dei figli, un semplice lavoro e tutta una primavera di poesia a cuore caldo di Amore. Dio solo lo sa: perché io so che è stato semplicemente una violenza della Sua onnipotenza.
Da anni il sogno del Sacerdozio. Profondamente sognato per una misteriosa voglia di Dio e per un inspiegabile Amore a Cristo, ma anche sentito, il diventare sacerdote, l'entrare nella grande famiglia che è la Chiesa. Un' altra esistenza fatta di rapporti nuovi e di partecipazioni intense e appassionate. Ma non sapevo nulla della Chiesa che stava per generarmi. Conoscevo il Vescovo per il terrore di quando veniva a scuola a interrogare sull' aoristo dei verbi greci e sulla metrica di quell'antipatico sciocco che era Orazio. Qualche conversazione se il mangiare era passabile, se avevo qualcosa di cui lamentarmi, E quelle cerimonie ufficiali e quei pontificali aridi e brulli come le prove generali, sul palcoscenico, a teatro vuoto. Tutto qui.
Ecco. Stendo le mani e chiama lo Spirito Santo perché dal seno della Chiesa germini e nasca un nuovo sacerdote. Mi chiede se gli prometto obbedienza e riverenza e io dico: sì, Ora tutta la liturgia è finita. E mi vedo camminare per la strada, solo, perché chi mi è vicino, fosse pure mio padre e mia madre, non possono più colmare la mia solitudine.
Uno solo sulla terra mi è padre e madre. Ma lui è chiuso nel suo palazzo. Legato dal codice di diritto canonico. Lontano in una astrazione di vigilanza, in una aridità amministrativa. Per anni e anni non mi dirà una parola materna. E bisognerà piangere per ottenere un po' di fiducia e non sentirsi soli nel rischio pauroso dell'avventura.
So bene di raccontare la storia del prete, non la mia soltanto. È la storia di quella solitudine in cui la Santa Madre Chiesa lascia inaridire i suoi figli prediletti, quelli che lo Spirito Santo, con infinito Amore e dolcissima cura, ha generato dal suo grembo materno.

4 - La chiesa matrigna?
Ma se raccontassi del mio sacerdozio in tutto quello che dalla Chiesa è dipeso, racconterei ancora la storia di un povero orfano, rimasto implacabilmente solo. Senza una casa anche se con una casa. Senza una famiglia anche se con la tavola apparecchiata. Senza Amore di Famiglia anche se di tanto Amore tutti mi hanno amato.
Ho camminato sempre da solo, notte e giorno. Mi sono logorato gli anni uno ad uno e rotto le mani dal lavoro, spezzata l'anima di dolore. E affiochita la voce a forza di chiamare. Ma un bicchier d'acqua non l'ho ricevuto. Una mano nella mia mano non l'ho sentita. E un po' di calore materno intorno al cuore e una parola di coraggio a spingere avanti, non mi ha consolato.
È così difficile che la Chiesa possa essere Madre non solo che mette al mondo e lascia poi degli orfani al proprio destino, ma Madre che custodisce a consola, che ci dà di vivere insieme e sentirci sotto lo stesso tetto e cullarci, poveri figli spesso tanto stanchi e oppressi, al battito del suo cuore?

5 - Il palazzo episcopale
Ho sognato - ma ancora ho gli occhi chiusi e continuo a sognare e vorrei che niente mi svegliasse, perché il sogno è troppo bello - ho sognato un palazzo accanto ad una cattedrale. È un vecchio palazzo con un ingresso fastoso. Uno scalone solenne che quando ne sali i gradini, ti svanisce la gioia dell'incontro e ti prende invece uno strano e stupidissimo timore. Vi è un grande salone in questo palazzo. Così immenso da dare l'impressione del vuoto, e difatti è quasi sempre vuoto, soffuso di penombra, pare una piazza deserta di notte. E tante altre sale tappezzate e con scaffali pieni di grossi libri vecchi che a sfogliarli c'è da starnutire. Qualche stanza è appena abitata dalla famiglia del Vescovo e pare che siano gente che vivono in un cimitero. Tutto è silenzio. Porte che si aprono e si chiudono sommesse. Passi silenziosi. Suona il campanello. Apre e pare che sia un'anima purgante che socchiude guardinga la porta.
Chi entra domanda la cortesia di essere ricevuto. Si siede accanto a chi aspetta, in coda ordinata e con un occhio leggiucchia senza interesse, come dal parrucchiere, una rivista ecclesiastica e con l'altro occhio sta attento alla porta, di là dalla quale, se la bontà di chi è avanti non è sfacciata, prima o poi si entrerà.
Così da secoli. Sempre meno, per la verità, dati i tempi moderni, ma la solitudine misteriosa del palazzo vescovile, con tutte quelle stanze vuote, è sempre la stessa. Perché è, oltre a tutto, un museo, un'opera d'arte. Solo il Vescovo vi può abitare, speriamo non perché è anche lui qualcosa del museo e tanto meno una preziosa e veneranda opera d'arte.

6 - La casa del vescovo
Ma un giorno le cose del palazzo sono cambiate. Il sogno si è fatto chiarissimo, fino nei particolari.
Ho visto anche le cose più minute, le novità anche più azzardate. Come se fosse meravigliosa realtà.
Non starò a raccontare come mi è apparso nuovo, estremamente diverso, il Vescovo stesso. Come uomo lo vedevo, fatto di pensieri precisi, di cose concrete, realmente vissute. Con un carico di responsabilità pesanti, ma visibili come pietre sulle spalle. Come un uomo che ha una famiglia da mantenere, da tirar su, fatta di figli vivi, che mangiano alla sua tavola e dormono sotto il suo tetto e sono tutti e ciascuno un problema terribile. Sorride franco ed aperto ed accoglie, ora, in una casa abitata, di là c'è una cucina enorme e gente che traffica. Parliamo ad una tavola, larga e forte, dove si vede che fra poco si apparecchierà per il pranzo. E saranno sicuramente non pochi a mangiare: le sedie sono molte intorno alla tavola.
Ha l'aria dolce e buona, forte e sicura, di buon padre di famiglia, il mio vescovo. E guarda le cose e gli si legge un'attenzione vigile negli occhi, come di una madre attenta a tutto, premurosa di tutto.
Nel sogno capisco bene che tutta la novità meravigliosa che intuisco successa nel vecchio palazzo museo-opera d'arte, è tutta in conseguenza che il Vescovo è diverso. È il Vescovo, successore degli apostoli, responsabile della Chiesa locale e autorità che nasce da Dio, è ancora e pienamente il Vescovo, ma è altro uomo. Uomo dove confluisce la Paternità di Dio e la maternità della Chiesa e quindi uomo vero, concreto, colmato di umanità, fino al punto che forse di più è proprio impossibile.

7 - Una semplice scelta personale
La sua decisione è stata chiara e coraggiosa. Non c'è stato bisogno del consiglio presbiterale, né di quello pastorale. E tanto meno della approvazione del Capitolo della cattedrale e dell'appoggio degli uomini di Curia.
Ha ascoltato il suo cuore e specialmente il cuore di Dio. E ha scoperto che la Chiesa è dolcissima Madre.
E il seminario è diventato la famiglia del Vescovo. Il suo palazzo la casa di chi vuole essere sacerdote e di chi lo è già, da pochi o da tanti anni.

8 - La dolcezza di un sogno
I sogni si sa come sono: accennano, a volte, la visione e poi lasciano intuire: difficilmente raccontano i particolari, all'infuori di quelli sui quali - per aprir l'intuizione - si soffermano.
Ho visto le sale abitate da letti (da qualche scaffale i vecchi libri erano stati tolti, e vi erano quelli nuovi dei ragazzi e le scarpe e i vestiti, tirati un po' là alla rinfusa). E poi tavole e sedie come per scuole.
Perché ogni mattina vi è scuola di tutti i corsi teologici e vi partecipano, oltre i chierici, anche giovani e ragazze della città. Ho notato che il campanello non sonava più, ma ho capito tutto quando ho visto il portone aperto e il via vai libero e spontaneo lungo il solenne scalone.
Vengono ad abitare dal Vescovo tutti quei giovani che intravedono per loro il sacerdozio. Hanno già fatto un corso di studi, oppure hanno le mani indurite dal lavoro: ciò che conta è essersi accorti che la propria vita è segnata e non si può non risponderGli.
Il Vescovo se li cova tutti con gli occhi. Non vi è un rettore in questo seminario: è assurdo questo incarico di supplenza artificiosa, questa nutrice che allatta figli non suoi, questa incubatrice che sforna a calore artificiale, questa caserma che prepara soldati per il giorno del giuramento e per la guerra.
E il Vescovo che tiene la casa e guida la sua famiglia. E il padre e la madre da cui nascono i figli e da lui devono essere allevati, cresciuti, preparati, e resi pronti perché attraverso le sue mani stese sul loro capo, passando per lui, dal primo giorno che gli sono nati nella sua casa fino a quel momento, lo Spirito Santo li tragga dal grembo della Chiesa, figli di Dio, Sacerdozio di Cristo.
Sono la sua famiglia e sua famiglia devono rimanere. E la sua casa, non come il palazzo del governo, è la casa di tutti i figli nati dal suo episcopato perché è la casa del padre e della madre. La casa dove si è nati e cresciuti segna indelebilmente tutta la vita di una tenerezza che non ci abbandona più.
I sacerdoti, ormai, è tempo che non vogliono più essere degli orfani, senza padre e madre e raminghi senza una casa che sia la loro casa.
I preti non accettano più di essere dei militari perennemente ai comandi e sbattuti qua e là, come quelli della polizia o i carabinieri, per coprire posti logistici o intervenire dove più c'è bisogno.
E Dio voglia che cresca il disagio di un imborghesimento vergognoso e miserabile fatto di sistemazione, di casa bella e comoda, di macchina alla porta, di privilegi sconcertanti, di solitudine rimediata lasciando incartapecorire il cuore e inaridire lo spirito. Perché ogni prete ricerchi la sua casa vera, suo padre e sua madre che lo ha generato, allevato fino a farne qualcosa di Dio e una realtà di Cristo.

9 - Padre vuol dire "padre"
E ogni Vescovo - sto sognando e i sogni sono sempre innocenti e ci rendono come bambini sinceri e aperti - ogni Vescovo, più che di ogni altro valore, ha bisogno di ritrovare la paternità-maternità che è il suo più vero e chiaro essere Chiesa. Sorgente della Chiesa, grembo fecondo della Chiesa, Amore, quindi, vivo e vivente, della Chiesa. Perché grazia di Spirito Santo è questa Chiesa nelle sue scaturigini misteriose che provengono dall'unica sorgente che è Cristo e si allargano a dilagare il mondo perché la terra non sia deserto riarso, come terra percorsa da febbre, ma terra buona, capace del sessanta, ottanta, cento per uno.
È assurda, innaturale aridità, una paternità-maternità puramente nominale, spiritualistica, sentimentale, devozionalistica. Vera soltanto sui libri e nelle meditazioni e nelle pie esortazioni. Padre è realtà e valore concreto. Madre vuol dire figli di carne e d'ossa. Che mangiano ad una tavola e dormono vegliati dall'Amore. Vuol dire figli che nascono non una volta sola, ma continuamente dalle proprie viscere e portano il proprio sangue nelle loro vene. E sono un allargare la propria vita, un moltiplicarla, un vivere perennemente, anche al di là della morte.
Paternità-maternità vuol dire caricarsi della responsabilità dell'esistenza, prendere e portare il peso di altre vite. Addossarsi altri destini. Personalmente, giocando se stessi, non attraverso altri, per seconde e terze persone. Perché certo valore che nasce dalla carne e dal sangue e dalla volontà di Dio, aderisce alle nostre ossa e è sostanza della nostra anima.
Tutto questo, e chissà quanto altro ancora, nella Chiesa del celibato non si sa o non si vuol sapere e è terribile, impressionante responsabilità, perché la verginità per il Regno di Dio vuol dire unicamente che i figli non sono dieci ma cento, che la sposa non è una donna ma la Chiesa, e quindi il caricarsi di esistenza è senza limiti, l'addossarsi altri destini è a cuore aperto. E il giocare se stessi è fino alle misure della croce.
Tutto questo va realizzato in forme concrete, reali, visibili, alla luce del sole.
È finito il tempo in cui i valori cristiani e di Regno di Dio erano santità personale fatta di preghiere, di ascetismi, di solennità austere, d'integrità insospettabili. E di autorità carismatiche fatte di Spirito Santo o a seguito di intrattabilità di carattere e di fissità prestabilite o di paure assurde.
Le cose, ora e sempre più, vengono chiamate col loro nome e bisogna che abbiano immediatamente la loro rispondenza concreta. Diversamente sono un'illusione pericolosa o peggio ancora, un tentativo, più o meno consapevole, di imbroglio.
Padre vuol dire padre e madre vuol dire madre. Non storielle sentimentaloidi e sospiri pietistici di spiritualità monacali.
E il Vescovo non è padre e madre se non ha la sua famiglia. E la famiglia vissuta personalmente.
Pagata duramente. Concepita e partorita dal suo seno che è la Chiesa, e allevata e nutrita, preparata alla vita giorno per giorno, fino alla maturità, al momento in cui, le mani tese sul capo di ognuno dei figli, l'investitura della missione sacerdotale, consegnerà a ciascuno il Regno di Dio come suo destino e i confini della terra come termine del loro cammino.
Il seminario famiglia del Vescovo.

10 - Il padre e i figli
Ora - e il sogno si faceva sempre più stupendo - ascoltavo il Vescovo parlare a tavola, durante la cena, coi suoi ragazzi di problemi di Chiesa, di Regno di Dio, e la conversazione era accesa, intensa. Appariva chiarissimo che il Vescovo non parlava per accondiscendenza coi suoi giovani, ma viveva con loro i problemi in discussione, in una ricerca autentica, come di uno che discute con altri per chiarire anche i propri pensieri. E i ragazzi, era evidente, parlavano responsabilmente, come di cose loro, che rientravano ed erano la loro vita e assorbivano ogni loro interesse. E poi i problemi dell'andamento della casa. La vita comunitaria. I problemi della diocesi...
Questo Regno di Dio. Questo misterioso e meraviglioso Regno di Dio. Nell'umanità di oggi. Nella realtà quotidiana. Nella concretezza delle cose.
Finita la cena, in fretta tutti si danno da fare per sparecchiare la tavola e sistemare la grande cucina.
Perché ogni sera la famiglia del Vescovo si apre all'ospitalità.
Finalmente l'immenso salone, vuoto e deserto come una piazza di notte, ha trovato come poter avere una qualche utilità. Tanti piccoli tavoli circondati di sedie. Scaffali di libri e di riviste addossati alle pareti. Tutto sistemato per un'accoglienza sbriciolata e semplice, aperta a tutti, fatta di conversazione, d'incontro spontaneo, di discussione serena.
Tutta la città è invitata a passare un'ora, la sera, con la famiglia del Vescovo. E la gente - sono quasi tutti giovani e ragazze - salgono il solenne scalone e senza suonare il campanello, eccolo là, il Vescovo a chiacchierare con tutti. Qualcuno lo invita in un angolo perché qualcosa di riservato ha da chiedere, un gruppo gli si fa intorno e pone problemi da chiarire. E i suoi ragazzi fanno gli onori di casa, semplici e schietti come tutti, disponibili e sereni.
Qualcuno mi diceva che sono stati diversi i giovani che dopo serate del genere hanno chiesto al Vescovo se li accoglieva nella sua famiglia, perché, sì, veramente, avevano visto e capito che il Sacerdozio è veramente una gran cosa e la Chiesa una meravigliosa famiglia.

11 - Perché si deve soltanto sognare?
E il sogno spostava ingenuamente e disinvoltamente luoghi e tempi. Si sa come succede nei sogni: avvengono accostamenti i più strani e impensati. Anche se è vero che i sogni sono raffigurazioni fantasiose di ciò che sta in fondo all' anima, o nel subcosciente, come dicono.
E nella impossibilità che ciò che laggiù in fondo all'anima giace, possa venire alla luce, almeno prende forma e immagine viva, e concretezza di visione, se non altro, nel sogno.
È una gran gioia sognare nella vita, nonostante che dopo il risveglio - è proprio impossibile ogni tanto non risvegliarsi, disgraziatamente - la realtà sia più pesante, più grigia, quasi più impossibile.
Ma a volte i sogni sono lunghi e durano da anni e non riescono al risveglio nemmeno gli scossoni più bruschi e violenti, nemmeno lo sbattere contro un muro o il cadere in uno stagno d'acqua gelata. Sono i sogni che sono una vita, hanno determinato scelte essenziali, decisive, hanno inciso qualcosa che ormai non si cancella più
Specialmente da quando è successo che il sogno è apparso come l'unica realtà e concretezza possibile.
Oltre il filo che separa sogno e realtà, la realtà sembra un sogno e il sogno è viva, meravigliosa realtà.
Potrebbe anche essere un mondo di sogni bellissimi, ma è avvenuto che gli occhi hanno realmente visto e le mani toccato, il cuore ha avvertito la serietà dei valori e dolcemente ha scelto che tutto è vero, le cose stanno veramente così. Non è un sogno, è la realtà. O meglio ancora è la Verità e quindi l'Amore.
Da allora si può e si deve liberamente sognare.

12 - Gesù e gli apostoli: il primo seminario
Sul lago, al far della sera, passava camminando lungo la riva e li chiamava: lasciavano tutto e andavano con lui. Ogni giorno il numero cresceva, una piccola folla ormai, raccolta di dovunque: dal rassettar le reti anche da dietro un tavolo di pubblicano o di sotto l'ombra fitta di un fico.
Un mattino - dopo una nottata di preghiera: era preghiera per la scelta e la chiamata di uomini dal destino segnato, per tutti i tempi - li chiama per nome, quelli che diventano la sua famiglia: la famiglia di Dio sulla terra.
Questi entrano nella sua vita e la sua vita è tutta per loro, quasi esclusivamente per loro.
Lungo le strade assolate, nei riposi della sera, accucciati insieme sotto le stelle. A tavola con lui quando è invitato, a frangere fra le mani le spighe durante il cammino per rimediar la fame.
Fra le folle, intorno a lui, raccolti a cuore a cuore, per dire loro tutto, spiegare ogni cosa, condividere i problemi di ogni giorno.
Li protegge sotto le ali di un Amore tenerissimo. li aiuta a risolvere le loro divergenze, a superare la loro rozzezza e ad ammorbidire la loro durezza di cuore.
Ogni giorno, ogni notte. Ogni strada. Ogni montagna. Al lago sulla barca. In città nelle sinagoghe.
Nella solitudine e fra le folle.
I suoi miracoli sotto i loro occhi. La sua stanchezza e tristezza a cercare la tenerezza del loro Amore.
Da dopo l'annuncio di Giovanni Battista e la prima notte passata con i primi due discepoli, Gesù non è più solo. Altro che in qualche nottata di preghiera, da solo, sulla montagna, dopo averli lasciati raggruppati a dormire, in attesa che lui ritornasse.
E solo sarà soltanto la notte del!' agonia, dell' arresto, dei tribunali, della condanna, della Croce. Perché quella era la sua ora - la loro ora sarebbe venuta più tardi.
E la Risurrezione è il ritrovarli, il riunirli, il rivivere insieme. E fra le ultime parole vi è la promessa di rimanere sempre insieme a loro: "ecco, io sono con voi ogni giorno, fino alla consumazione dei secoli".
"Mentre egli parlava alle folle, ecco che sua madre e i suoi fratelli stavano fuori, cercando di parlargli.
Qualcuno gli disse: "Ecco, tua madre e i tuoi fratelli stanno di fuori e cercano di parlarti", Ma egli rispose I a chi lo informava: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?" E stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chiunque fa la Volontà del Padre mio che è nei cieli, quello è mio fratello o sorella e madre". (Mt, 12, 46-49)
"Pietro prese a dirgli: "ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito". Gesù rispose: "In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia abbandonato casa, fratelli, sorelle, madre, padre, figli e campi per me e per il Vangelo, che non riceva il centuplo fin d'ora, nel tempo presente in case, fratelli, sorelle, madri, figli e campi, insieme con persecuzione e la vita eterna nel futuro." (Mc. 10, 28-31)
È la storia meravigliosa, di una dolcezza e grandiosità infinita, del primo seminario, famiglia del vescovo.

13 - È soltanto un problema di amore
Questo dolce sognare per il troppo Amore che grida nel cuore. Amore di Chiesa viva, fatta di uomini veri impegnati nel nome di Dio e a seguito di Gesù Cristo, nei veri valori della vita fino a farne testimonianza non soltanto, ma realtà concreta, vissuta, del Mistero di Dio e continuità autentica del Mistero di Cristo.
Chiesa segno e realtà di Dio fra gli uomini. Argomento di autenticazione che i valori cristiani non sono a contrasto della vita, demolizione d'esistenza, spengimento del cuore. Ma potenziamento, valorizzazione, misure estreme di vita che di più non è possibile sulla terra. Accoglienza dell'uomo e suo sviluppo e crescita fino alla misura di Dio alla statura di Cristo. Cuore che si allarga al di là di ogni orizzonte e non si lega qui e là unicamente perchè l'infinito gli appartiene.
Questo sogno stupendo del seminario famiglia del Vescovo. la casa de Vescovo casa viva, calda, la casa paterna-materna di ogni sacerdote. Questa meravigliosa, adorabile Unità del Sacerdozio fatta carne e che abita visibilmente fra gli uomini.
Lo voglio poter dire a tutti, e con infinita gioia e gloria, chi è mio padre e chi è mia madre. Dov' è la casa dove sono nato e cresciuto e dove posso, ad ogni ora del giorno e della notte, ritornare: c'è sempre chi sulla porta mi aspetta e mi dice - e è parola vera - vieni, figlio mio.
Un po' di Amore vero, Santa Madre Chiesa, un po' di Amore vero, come quello di Gesù per i suoi apostoli. Anche se fra noi può darsi che vi sia nostro fratello Giuda.
Un po' di Amore vero.


don Sirio


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1986, Febbraio 1986

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