18 Aprile 1985 Santa Rosa di Cuevo
Il "Corregidor" della comunità, una vecchia quercia india, ci sta parlando davanti alla tomba di Padre Marcos Orsetti da Camaiore, ultimo prete di Santa Rosa, delle "Missiones Francescane" nel Chaco e particolarmente a Santa Rosa sull'esempio di quelle fondate nel Paraguay dai Gesuiti.
I Guaranj (gente della selva) abitano la regione centrale del continente sudamericano: di cultura evoluta e fieri, una fierezza che ostacolava però le mire espansionistiche del colonialismo spagnolo. I Guaranj avevano civilmente accolto i bianchi ed i bianchi li ricambiarono organizzando "le encomiendas" i feudi che utilizzavano indiani schiavi, strappati alla libertà dei boschi, per un lavoro sotto la sferza degli aguzzini.
I gesuiti nel 1610 fondarono "le reduciones", singolari collettività agricole che ammettevano indigeni soltanto e tenevano lontani gli europei: in queste comunità il lavoro, gli attrezzi per la terra, il cibo appartenevano a tutti e la "proprietà di Dio" serviva a mantenere gli orfani ed i vecchi. Nel 1767 - dopo un secolo e mezzo di lavoro animato da una fede senza fanatismo e da spirito umanitario - colla soppressione dei gesuiti (e delle Missiones Francescane poi) queste comunità del cattolicesimo latino-americano che avevano sfamato un popolo ed avviato un cammino di cultura indigena con un promettente sviluppo di artigianato furono abbandonate alla brutalità dei bianchi i quali, come in tutte le altre parti dell'America Latina, saccheggiarono le fattorie, uccisero i Guaranj, distrussero perfino le biblioteche dei missionari. Il "Corregidor" sta parlando, il toscano stranamente silenzioso, Padre Franco, ascolta pensieroso, ha le braccia conserte, segue il suo sogno: restituire oggi nel 1985 agli indios Guaranj la loro terra, aiutarli nel ricostruire la loro dignità e fierezza barbara-mente distrutte, dare impulso ai valori comunitari potenziando le radici della loro civiltà tenacemente difesa conservata amata nella schiavitù. La terra è un dono di Dio ed è di tutti. È un bene naturale che appartiene a tutti e non un prodotto del lavoro. Ma è soprattutto il lavoro che legittima l'uso della terra: "deve essere fonte di libertà per tutti, mai di dominazione e di privilegi. È un dovere grave e urgente farla tornare alla sua finalità primigenia" (PUEBLA).
Padre Franco venne nel Luglio 1985 in Italia per comunicarci il suo progetto da tempo sognato e calibrato nella realtà boliviana e per sollecitare una nostra fraterna collaborazione: "pensare all'acqua che viene qui (in Bolivia) e torna poi alle vostre sponde è l'immagine più adeguata per una risposta a queste condizioni. Quell'acqua la incontrerete ben diversa da come l'avete vista la prima volta, e questa sarà tanto più utile, umile preziosa e casta quanto più sarà acqua di corrente. Ci noterete differenti da come ci avete conosciuto, cambiati sicuramente dai grandi avvenimenti della chiesa latino-americana e dalle nostre comunità, sofferenti e sperdute nell'impari lotta internazionale ma grandi nella speranza. I poveri ci hanno indicato cammini nuovi di umanità... la vita per noi è stata meravigliosa!". Viaggiava per questo progetto di evangelizzazione e. promozione umana nel Chaco boliviano, portato via dalle acque del fiume Nachauzu, è stato ritrovato solo dieci giorni dopo, il Venerdì Santo: aveva solo 37 anni!
Questa nel 1966-67 era zona di guerriglia condotta dal "Che".
19 Aprile 1985 Camiri
Stiamo cercando i biglietti per l'aereo, prossima meta Sucre: mi inoltro tra i banchi del mercato della città. Europei, meticci, legati ad un miraggio che si va spegnendo, il petrolio. I vantaggi dell'oro nero sono per i conquistatori di sempre, all'indio, a parte qualche briciola, la povertà e la pazienza. Mi ha commosso la pazienza dei poveri, di tutti quelli che non sono gente "l'indio non è gente". Mentre in Patagonia vedevi solo gli Europei dominatori e sterminatori di una civiltà e di una presenza; qui una civiltà e una presenza non sono state sopraffatte. Non siamo assolutamente nelle condizioni dell'Etiopia - vita reale della donna, denutrizione, tisi lebbra e malaria - però in Etiopia il popolo indigeno ha una sua dignità mentre qui l'indigeno non conta assolutamente nulla, discendenti degli Inca, sono emarginati in casupole di fango negli altipiani di La Paz, Sacre, Potosì e Cochabamba e i discendenti dei Guaranj nei boschi del Chaco Boreal: tutto è dominato dai "criollos" e dai meticci; innumerevoli spuntano da ogni parte come campi di margheritine i bambini e bambine, bellissimi con quegli occhi tagliati e pieni di garbo, sui loro volti di bronzo, sofferenza ed una immensa pazienza.
Qui in Bolivia si pazienta e si attende!
Siamo all'aereo porto di Camiri, sono le sette e trenta: un vasto campo, la pista del decollo e dell'atterraggio è segnata da due bidoni dipinti in calce, è incerta la venuta dell'aereo, Padre Ignazio spiega: "È importante sapere dove abita la fidanzata o sposa del pilota" dopo diverse comunicazioni di un addetto che scruta il cielo per vedere tra gli squarci delle nubi da dove verrà l'aereo, si assiste all'atterraggio perfetto di un Fokker giallo: fortuna sono dei piloti abilissimi! Alle 12.30 si decolla per Sucre, altitudine 2800 metri; si sorvolano per un'ora le Ande. Questo è il regno dei Chechua, dei lama, del vento, delle patate, il regno della solitudine e dell'antico sogno nuovo, la libertà. Sucre, capitale ufficiale e reale per bellezza, della Bolivia è "muy linda", sembra intarsiata d'argento. Siamo accolti alla Recolleta di San Antonio, convento del 1600, vi si domina la città. Sorridendo il "padrecito" sottolinea che questo è il vespaio da cui partirono i frati per tutta la Bolivia, e attualmente è, sotto, un museo di uomini aggiaccati e, sopra, un museo di uomini ritti.
20 Aprile 1985 Sucre
Alle nove accompagniamo Silvano ed Umberto nella piazza della "flota" per il viaggio in autobus, meta Potosi, la città mineraria per eccellenza, e la Paz, la capitale. Ci ritroveremo all'aereoporto di Cochamba. Il convento della Recolleta, coi suoi tre chiostri, è molto bello, ha un piazzale in pietra, vasto e austero, coi portici per i pellegrini, ma insiste nel ricordarmi una piazza d'armi. Antico l'interno coi suoi chiostri francescani che non comunicano la pace e la dolcezza ma angosce e tristezza: ti verrebbe la voglia di fuggire. Si respira aria di restaurazione e di inquisizione. Alle 14.30 ce ne andiamo via; durante il viaggio il taxista, aveva con sé una bambina di quattro anni, (il padrecito sceglie sempre i taxisti più scalcinati... sono quelli che più hanno bisogno... ) ci diceva: "per noi poveri è sempre più duro vivere in Bolivia". Alle 16.30, dopo una lunga attesa, "mettiamo le vele" per Cochabamba, un'ora di volo e di trepidazione su quegli altipiani meravigliosi e come adagiata dolcemente in una culla di luce, ci attende Cochabamba. Con affetto fraterno ci accolgono i francescani trentini Padre Angelo e Padre Silvano e Padre Lorenzo, un toscano che insegna alla Università sociologia: l'importante lavoro giuridico in appoggio alla rivendicazione per la terra degli Indios (applicazione della riforma agraria 1952-54).
21 Aprile 1985 Cochabamba
Alle 8.30 Santa Messa in un "barrio" con Padre Angelo e Tarcisio.
Tutti i presenti seguono con attenzione e partecipazione comunitaria: tema dell'omelia "segni di morte e di resurrezione nella vita personale - comunitaria - boliviana". Si svolge un dialogo simpatico e serio tra il sacerdote, i fedeli e la parola di Dio.
In tutta la Bolivia le chiese sono molto affollate con un tipo di religiosità simile alla nostra in Italia. Una signora dolcissima, Donna Rachele, mi ha detto: "Benvenuto padrecito dall'Italia". Abbiamo visitato quattro nuovi "barrios" con un centro sociale di una comunità di base: lavoro silenzioso e costante dei padri insieme ai fratelli e sorelle boliviani per una liberazione che nasce dal basso, non dalle cattedre (le cattedre raccolgono, rispettano e aiutano).
22 e 23 Aprile 1985 Cochabamba
Padre Silvano, da quaranta anni in Bolivia, nella solitudine degli altipiani, con una vita semplice ed umile, è felice di aver ritrovato per il dono di Dio - Concilio Vaticano II - la freschezza del Vangelo. Appena sacerdote si trovò nel dramma della guerra, era cappellano militare in Jugoslavia: ne fu segnato dall'angoscia con marchio di fuoco. In Bolivia ha ritrovato dei valori di umanità perduti nella disumanità della guerra.
Qui a Cochabamba siamo nella capitale della produzione della "coca" di cui la Bolivia ha il monopolio mondiale. Per la "coca" si intrecciano negli ultimi anni tutta una serie di questioni politiche e sociali (alleanze fra capi di governo militari e grossi produttori, rapporti con gli U.S.A.). Basta riflettere: 1979 - 7.000 tonnellate di "coca" / 1981 - 80.000 tonnellate di "coca". Nel 1974 furono uccisi qui a Cochabamba, 100 campesinos perché si erano ribellati al raddoppio dei commestibili: da questo momento i vescovi cominciano a criticare apertamente il governo. All'areoporto ci accompagnano Padre Silvano e Padre Dario, un "marcantonio" dal cuore d'oro, è un giovane frate, parroco fra i Chechua, di cui ci hanno detto un gran bene.
Sull'aereo per Santa Cruz delle 17.40 ci aspettano Silvano ed Umberto, reduci stanchi da La Paz. Alle 19 siamo a Santa Cruz, gentilmente Fra Diego ci ospita.
A cena ritroviamo i padri polacchi di Sucre: Tarcisio ci invita ad andarcene nei nostri appar-tamenti "non è aria per noi!"
24 e 25 Aprile 1985 Santa Cruz
Con Fratel Diego, il simpatico ed accogliente francescano bavarese, alle prime luci dell'alba, fra le strade deserte ancora di Santa Cruz della Sierra ho accompagnato Padre Tarcisio all'areoporto di "Viru Viru": commossi ci siamo abbracciati, ci rivedremo "ishalla"; nelle rughe della fronte dell'amico brillava ancora di più la speranza per un'umanità diversa, un'umanità di uguali, di fratelli e sorelle secondo il sogno del "Fabbro di Nazareth", dai boschi e dalle praterie del Chaco boliviano un fraticello contribuiva come una goccia in un mare immenso per la forza di Dio a realizzare la profezia del "Medico argentino, il CHE": "Quando i cristiani oseranno dare una testimonianza rivoluzionaria integrale la rivoluzione latino-americana sarà invincibile".
Oggi è l'anniversario della nostra liberazione e della fondazione dell'O.N.U.
in Lotta come Amore: LcA giugno 1986, Giugno 1986
Luigi Sonnenfeld
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