Le ragioni della speranza

Ci sono fatti ed avvenimenti, a volte del tutto inaspettati e non programmati, che portano nella nostra vita il soffio meraviglioso della Speranza. E parlando di Speranza, intendo proprio il dono di Dio (una delle tre "virtù teologali" dell'antico catechismo) che entra nella storia personale di ciascuno per le vie misteriose degli incontri, dei rapporti, della comunione fra le persone che incrociano sulla medesima strada su cui ci troviamo a camminare.
Questa Speranza, per me, ha il sapore di quella che deve aver traboccato il cuore e l'anima dei due discepoli che, come racconta il vangelo di Luca, se ne andavano tristi e quasi disperati verso il villaggio di Emmaus: tristezza e disperazione per aver visto morire sulla croce colui nel quale essi avevano creduto di aver trovato risposta all' attesa secolare della Salvezza promessa ad Israele. Un sogno straordinario che aveva attraversato velocemente (anche se era durato alcuni anni) la loro vita ed era affiorato nella loro storia (ma era storia dell'umanità) come una sorgente purissima fra le sabbie del deserto.
La scoperta inattesa che Gesù di Nazareth, il Crocifisso dal potere della legge romana e dalla inspiegabile durezza del tribunale di Gerusalemme, era vivo e divideva il pane con loro al tramonto di una giornata colma di amarezza e di angoscia, era la sorgente di questa Speranza.
Il soffio della "Nuova Pasqua" cominciava ad agitare le acque della storia umana.
È molto bello scoprire (e sapere che non è illusione o vuoto sentimentalismo) che c'è ancora Qualcuno che ci cammina a fianco, quasi in incognito, e dolcemente ci offre di bere ancora una volta alla fonte della sua Speranza. È molto bello accorgersi che la strada di Emmaus è realtà di oggi, della propria vita, della piccola storia personale che viviamo: come all'improvviso, dietro una svolta del sentiero su cui si cammina con amarezza e con angoscia, è straordinario sentire riemergere con forza e con prepotenza l'acqua di quella medesima sorgente.
Mi è capitato (è passato quasi un anno) di celebrare un matrimonio in un "carcere speciale": un luogo dove non avrei mai pensato di trovarmi a vivere e ad accogliere il sacramento dell'Amore fra un uomo e una donna. Un luogo certamente dei meno adatti a far nascere il seme della Speranza. Eppure a me è accaduto proprio il contrario. Andare è stata una grossa fatica: e non per il lungo viaggio notturno. La fatica nasceva dal profondo del cuore, dalla radice stessa dell' anima, per l'insormontabile difficoltà a credere che fosse possibile fare festa e raccogliere nel mistero di Dio un amore fiorito attraverso le porte sbarrate, i vetri della sala-colloqui, le alte mura e le cancellate automatiche, gli uomini armati a custodia di altri uomini e donne chiusi nelle celle e nei vari "bracci". Un mondo che mi pareva potesse parlarmi di tutto, meno che di Speranza.
Devo invece riconoscere di essere stato travolto da un miracolo che rimane vivissimo dentro di me (e sono sicuro anche dentro di loro) e che ha rappresentato e rappresenta come la concretizzazione dell'Amore di Dio, della "grazia".
Nella cappella del carcere, ancora da terminare e da arredare, ci siamo ritrovati in una strana "assemblea": gli sposi, pochissimi parenti ed amici, i compagni dello sposo, un buon numero di guardie, alcuni del personale interno. La celebrazione della messa è stata certamente molto particolare: una "liturgia" un po' fuori delle regole ecclesiastiche, ma intensamente ricolma di dolcezza, di amicizia, di tenerezza, di fiducia, di straordinaria ed inaspettata comunione.
Mi sembrava di essere come "fuori" dalla storia, come se d'un tratto non ci fossero più intorno né alte muraglie, né cancelli ferrati, né porte sbarrate. Semplicemente un uomo e una donna che decidevano di essere - per la vita - una cosa sola, una coppia, due vite che si fondevano in una; due storie che si univano insieme per costruire, nella fatica e nella speranza, una storia sola, nuova, diversa. Una pagina nuova che veniva iniziata per una narrazione tutta da creare, da inventare, da far nascere e crescere. E intorno quella strana assemblea che partecipava a questa festa, a questo semplicissimo ed insieme straordinario avvenimento.
Mi è venuta in mente, all' improvviso, la novella di Rodari "Una viola al polo nord": la Parola di Dio non era più soltanto quella delle bellissime pagine della Bibbia, ma anche tutto questo mistero di amore che fioriva dentro uno spazio che sembrava assolutamente incapace di generare l'amore, come una terra da tutti creduta negata alla fioritura, un ventre di donna sterile per ogni nascita.
Nel posto più adatto per la disperazione e la violenza, ho visto quella mattina spuntare timido ma tenace il germoglio di una storia d'amore e di tenerezza, di comunione e di pace, che per lungo tempo era rimasto nascosto nell'attesa di poter uscire alla luce del sole.
E abbiamo fatto festa: durante il "rinfresco" sembravano un normale gruppo di amici che brindavano alla salute degli sposi, come avviene in tutti i matrimoni "all'aria aperta". E sembrava del tutto normale che allo stesso tavolo della festa ci fossero guardie e detenuti, amici di "fuori" e di "dentro", a celebrare insieme un amore che aveva attraversato le sbarre ed era riuscito a nascere e a fiorire fra le pietre.
Mi venivano in mente certi fiori che ho visto sempre con meraviglia in alta montagna: fiori bellissimi, dai colori stupendi, nati nella spaccatura di una pietra, là dove il loro seme portato dal vento ha potuto trovare un piccolissimo pugno di terra nel quale morire e rinascere moltiplicandosi.
Certo, so bene che questo è stato solo l'inizio (ma anche la continuazione) di una storia che ancora deve camminare nella fatica e nella ricerca di una pienezza di vita, di libertà, di amore non più racchiuso in un cerchio di ferro e di pietre. Ma la Speranza di quella mattina sento bene che non può essere stata l'illusione di un momento privilegiato o l'emozione sentimentale di un avvenimento particolare, presto destinata a cancellarsi. Non so quale sarà la sorte di quella "viola" nata non si sa come al polo nord di una vicenda umana sulla quale io non ho alcun potere: sono però assolutamente certo di aver sentito vicinissimo il respiro del Signore risorto, il calore del suo fuoco che mi bruciava dentro l'anima, lo zampillare fresco limpido dell' acqua della sua Speranza.
Ho capito allora che era vero quello che uno dei "compagni" aveva letto, nella commozione più profonda, alla prima lettura, dal Cantico dei Cantici:
"Mettimi un sigillo sopra il tuo cuore, come un sigillo sopra il tuo braccio, perché l'amore è forte come la morte... Le sue fiamme sono fiamme di fuoco, un fuoco di Dio.
Le grandi acque non potranno spegnere l'amore, né i fiumi sommergerlo".


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA giugno 1986, Giugno 1986

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