Siamo molto contenti di comunicare agli amici di Lotta come Amore l'inizio della pubblicazione di un periodico intitolato Pretioperai. L'idea venne fuori l'anno scorso di maggio al Convegno Nazionale di Firenze. Un incontro intenso, programmatico. Fu avvertito il bisogno, forse anche la sensazione di un dovere, di comunicare, di allargare quella problematica che ormai investe e sempre di più, tutta la realtà di questo nostro tempo, e particolarmente quella del mondo operaio, del lavoro, della convivenza, niente escluso. Il tutto nella complessità della presenza del coinvolgimento della Chiesa attuale in una chiara, fedele ma anche spregiudicata visione di Fede. Quella Fede totalizzante che "illumina ogni uomo che viene in questo mondo".
L'esperienza pretioperai è ormai lunga di anni, ma particolarmente d'ideali, di utopie, di sogni. Anche di tanta, inesauribile fedeltà al mondo operaio, dei poveri, degli emarginati. Fedeltà, nonostante ogni impressione impietosa e facilona, alla Chiesa per un chiarissimo e trasparente rapporto di Fede. Non sta a noi, pretioperai, giudicare se questa lunga e tormentata esperienza, fa parte in maniera viva e vivace, della misteriosa ma anche storica, ricerca del regno di Dio nel mondo.
Ci è sembrato con tutta semplicità, che il mantenere la memoria di questa esperienza, attualizzarne la storia e comunicarne a cuore aperto la concretezza attuale e le prospettive future, fosse cosa buona: un raccontare cioè la continuità di quella fedeltà.
È già uscito il primo numero (o come si dice il numero "0").
Contiene gli atti del convegno di Firenze il cui tema fu "Civiltà tecnologica - Sfruttamento -Emarginazione: La Fede interroga i progetti".
Mi sono permesso - ma gli amici me lo perdoneranno data la mia particolare anzianità di preteoperaio - di pubblicare sul giornalino la presentazione della rivista che i miei fratelli e compagni mi hanno chiesto affettuosamente di fare.
Il periodico uscirà ogni tre mesi: due numeri avranno un interesse organizzativo proprio del movimento P. O. e due particolarmente di contenuto di ricerca, approfondimento, chiarimento circa la Fede, la realtà del mondo, la Chiesa.
Chi desidera l'abbonamento (15.000 lire) può utilizzare il c/c n. 10564268 intestato e Gianni Alessandria - Via Verdi, 34 - 26032 OSTIANO (CR).
Sirio
Può anche essere che siano maturati i tempi nei quali dire: pretioperai, sia come invitare a voltarsi indietro a cercare di intravedere nell' annebbiamento che gli anni inevitabilmente addensano sul passato, questi tipi di preti che indiscutibilmente hanno fatto parlare di sé, questi strani operai ritrovati spesso, gomito a gomito, dentro la fabbrica, sulle strade, nel sindacato.
Bisogna riconoscere che il tempo in cui viviamo ha la capacità di un rapidissimo invecchiamento d'ogni cosa. Ma non tanto perché sopravviene il di più, il meglio, quanto per un impellente urgenza di cambiamento, di mutazione. Non è un problema di decadenza di valori, dell'arrugginirsi di esperienze, di logoramento di rapporti con la realtà del vissuto. È piuttosto lo scivolare del tempo che nel suo fluire porta via veri e propri periodi di storia, momenti di particolare cultura, ricerche di radicali cambiamenti, sogni appassionati di novità vitali.
E insieme a quel blocco di storia, spariscono e si perdono uomini, movimenti, progetti, lotte... quasi da sembrare come se nemmeno fossero realtà storica, concretezza di vita, carne, sangue e anima di gente che a quel progetto si è appassionata e in quel sogno, tutto, assolutamente tutto ha giocato.
L' esemplificazione di questo susseguirsi, di questo incalzarsi, come le ondate di mareggiate incessanti, in questi ultimi quarant'anni, è nella memoria di chi in questi ultimi anni, poco alla volta, si è ritrovato ad essere un rottame alla deriva, se non proprio abbandonato sulla spiaggia a intorsarsi di pioggia o inaridire al sole.
La storia è un enorme forza di liberazione per la capacità che il tempo possiede di decantazione, di superamento, di dimenticanza di cancellazione. Può essere ugualmente seppellimento di morti e seppellimento di viventi. Cancellazione di ciò che va, bisogna che sia, dimenticato (anche se la memoria è fondamentalmente cultura) ma anche mantenimento davanti agli occhi, visivamente evidente, perche attualità decisiva di continua verità, di tutto quello che - piccolo, insignificante che sia - può costituire, essere speranza.
E la speranza non è necessariamente legata e dipendente dai particolari momenti, favorevoli o disastrosi, della storia. È una permanenza, fondamentalmente, una vita sempre presente, una provocazione tenace, che sta al di sopra dei fatti, delle vicende, delle persone. Perché è nella radice, è dentro il tessuto connettivo del vivere e convivere umano.
Chi ha avuto il dono di Dio di accogliere e di ascoltare e di obbedire a questa violenza interiore che l'ha costretto e spinto ad uscire di casa, abbandonando tutto, per mettersi sulla strada delle storia e viverne e condividerne l'avventura, sa bene che ciò che gli appartiene è unicamente la fedeltà.
E cioè la continuità di una presenza non determinata; costituita dal momento, ma di una accoglienza determinante una connaturazione, una precisa, inconfondibile identità.
Chi è sceso sulla strada ha scelto e deciso semplicemente di uscire dal cerchio del privato (qualsiasi privato compreso quello della propria salvezza) e di confondersi e perdersi nella folla, qualificata o anonima che sia. Non è pensabile, onestamente, che la permanenza possa essere dipendente da una soggettività o peggio ancora dalla giustificazione di un gradimento o dalla costatazione della sconfitta, dall'avvertenza dell'inutilità o semplicemente dal mutare delle stagioni.
Il voltarsi indietro non ha assolutamente senso. E tanto meno un arrampicamento per ritrovare condizioni di sicurezza o almeno di una passabile ragionevolezza.
Quando si è posto mano alla pazzia la razionalità più consigliabile è cercare di essere pazzi del tutto... Può essere che solo allora possano sopravvivere e maturare le condizioni ottimali per la testimonianza. Perché può avvenire che l'Amore (cioè la vera ragion d'essere della propria vita, l'unica, appassionante spiegazione del proprio destino) sia tutto nel rimanere: si, certamente, nel rimanere aggrappati allo scoglio e resistere alla mareggiate, ai marosi che da ogni parte schiaffeggiano e sbatacchiano, ma anche nel rimanere, lasciati andare,fra lo spumeggiare delle ondate, che inabissano e innalzano violentemente, affogati eppure sempre a galla, come un rottame.
Su questo rottame può esserci scritto un nome e può significare tutta una storia bellissima, così tanto da meritare di essere tutta o quasi raccontata.
Una rivista di più tra le tante che tentano di inculturare questo nostro tempo, quella che il Movimento (parola tanto per amor di sintesi) dei Pretioperai intende immettere sul mercato della cultura? Forse sarebbe assai riduttiva una valutazione del genere. E la pubblicazione potrebbe anche risultare contraddittoria a quel silenzio e a quella solitudine che è parte viva, anche se spesso è condizione significativa di oppressione e di emarginazione dei pretioperai.
E forse sarebbe un tardivo intervento, data la mutazione dei tempi nei quali ormai la parola è assai più del potere, di qualsiasi potere, ma particolarmente quello della Chiesa, dell' assolutizzazione economica, della ragione politica, della potenza militare ecc.
Si tratta invece di "ridarci un linguaggio quotidiano, che ci permetta di riconoscerci, di comunicare tra noi e con gli altri, non per opporci al linguaggio dei critici e della massa, ma per vivere la nostra vita e permettere che altri possa continuare ad incontrare la nostalgia". (Tognoni). Un raccontare quindi, come un diario, la propria vicenda interiore specificando quel niente e quel tutto che sicuramente ciascun preteoperaio vive nei suoi condizionamenti ma anche forse soprattutto in quella spaziosità di visione, di giudizio e di cocciuta presenza e condivisione; nella quale la realtà attuale dell'umanità arrotola e srotola la propria storia.
La giustificazione di tanto osare è tutta nella coscienza di respirare una libertà totalmente liberata. Di essere gente che sulla povertà non ha fatto mai sentimentalismi ma condizione reale di vita. La condivisione fino al coinvolgimento oltre ogni limite di partecipazione fino all'identità operaia. Il vuoto totale di ogni intenzionalismo. L'aver pagato sempre, senza preventivi e consuntivi, i prezzi delle proprie scelte. La serenità e la pace, al di la di ogni rammarico o rivalsa...
La pagina è indiscutibilmente bianca, assolutamente senza intestazione, riferimenti, timbri ecc.
Ciò che conta è essere una voce che grida: se poi questa voce che grida si perdesse nel deserto non ha poi tanta importanza. Anche perché i pretioperai ci sono abituati
È chiaro che questa pagina bianca può e deve essere sul tavolo di tutti, anche se più o meno ingombro d libri, riviste, giornali scartoffie. Perche questa pagina bianca è come la polvere della piazza sulla quale Gesù scriveva con il dito. È come una strada sulla quale il camminare dei piedi descrive, racconta l'avventura del proprio destino. È la scommessa del confronto del passato, del presente, del futuro, in quel rannodo, sia pur significato da parole scritte, ma che è tutto nella viva carne e in quel sangue che non è acqua: tant'è vero che i segni sono visibili, così tanto, da essere leggibili.
Il tavolo, carta e penna, certo non sono la fabbrica. Sono però ugualmente solitudine, Anche lo scrivere come il lavorare è raccogliersi nella propria interiorità e ascoltarsi e ascoltare. È fedeltà, continuità di quel silenzio della parola inghiottita, rientrata forzatamente nell' angoscia dell'ingiustizia, dell'assurdità, a covare attese d'intervento, di lotta, di ribellione. Scrivere è riscavare nel profondo, portare alla luce togliere la pietra sigillata di tanto sepolcro per una risurrezione.
È raccogliere nel segreto di un lungo, faticoso e trepidante sognare, le parole che mai forse hanno potuto essere gridate. Ora è possibile richiamarne almeno l'eco sulla carta. Come sangue che ancora goccia dalla ferita e scopre segni di cicatrice.
Ma carta e penna è anche uno scrivere le parole ascoltate nel terzo cielo che orecchio non ha ma ascoltato e parola ha mai raccontato. Sono parole che possono essere scritte, se scrittura "non" è vocabolario, grammatica, sintassi, cultura, scienza nemmeno teologica, ma scopertamente profezia cioè manifestazione del nascosto, rivelazione del segreto, visione dell'invisibile, racconto di misteri dell'uomo e di Dio.
È stringere tutte le mani. Un abbraccio a misure universali.
È percepire la voce dell'umanità. Quella silenziosa, timida, infinitamente paziente. La voce delle moltitudini, a scroscio di marosi a frangersi sugli scogli. O il rovesciarsi straripante della fiumana della storia a tentare di dilagare una nuova umanità su questa antica e sembrerebbe a volte decrepita crosta terrestre.
Sirio
in Lotta come Amore: LcA maggio 1987, Maggio 1987
Luigi Sonnenfeld
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