"Il regno dei celi è simile ad un mercante che va in cerca di perle preziose. Quando ha trovato una perla di grande valore. va a vendere tutto quello che ha e compra quella perla". (Mt. 13,45)
Questo "ri-scoprire" non è perché nei tempi passati esisteva la semplicità come una condizione normale di vita, di rapporti, quasi che la semplicità fosse l'aria che si respira. Come dire: una volta la gente era semplice, tranquilla, serena, si contentava di niente e tutto era felicità... Non è vero, anche i tempi passati non erano un idillio di semplicità, di schiettezza, di serenità, di pace. Ogni tempo, disgraziatamente, ha le sue "complicazioni": quel qualcosa di strano, d'incomprensibile, di assurdo che inquina maledettamente il clima, fino a stravolgerlo in un' aria irrespirabile, in un'acqua imbevibile, cioè a far si che la vita, il vivere e il convivere, diventino difficile, pesante, opprimente e cioè complicato. La storia insegna che la semplicità è un assurdità. Il facile è impossibile. Perfino il normale, la normalità è inconcepibile.
Vivere "come gli uccelli dell'aria e i fiori dei campi" è un sogno, un utopia che ha palpitato nel cuore di Gesù Cristo perché era Dio e cioè "non di questo mondo". Appartenere a questo mondo è essere oggetto della sua vicenda sempre così terribilmente complessa fino ad esserne inevitabilmente coinvolti e spesso travolti. È essere imprigionati dalla sua civiltà e cioè dominati da quella cultura, attentamente e intenzionalmente, organizzata, perché un individuo, una società, un popolo, una razza, una religione, non possa trovare nemmeno lo spazio - nemmeno il più piccolo spazio - per vivere con semplicità, cioè nella libertà, nella pace, la propria vita.
Pensare cioè liberamente, disporre di se e delle proprie cose indipendentemente, rifacendosi unicamente alla propria coscienza, e cioè agli ideali, alle utopie, ai sogni, costitutivi della propria verità e identità.
Perche fra semplicità e libertà la differenza, la variazione è minima e sta forse tutta nell'antecedenza. Sta il fatto che senza semplicità, cioè una voglia incontenibile, un bisogno irrimandabile di semplificazione, la libertà e quindi la liberazione può avere significati politici, novità di rapporti sociali, lotta con più o meno valenze e importanze storiche ecc. e può non comportare, non ottenere capacità di giudizio oggettivo, di linearità e onestà personale, chiarezza e trasparenza d'ideali e di comportamento pratico, concreto, di libertà, di giustizia ecc.
Difatti è a seguito di un'impostazione semplice delle vita personale che è possibile evitare quello scoglio o fossato che sia, dell'intenzionalismo.
È l'intenzionalismo, cioè il pensare, programmare, organizzare, concretizzare, l'impiego, l'utilizzazione del se stesso e del proprio intorno e contorno, a linee fisse e a finalità accuratamente, prestabilite e fissate, la complicazione più assolutizzata, un intreccio che ammette un unica soluzione, una trama che deve condurre, per amore o per forza, ad un solo, prestabilito scopo.
È di qui che la complicazione esige e comporta la violenza. Non può fare a meno dell'imposizione, della costrizione, della prepotenza. Cioè di interventi manovrati, di scelte e di respinte accurate, di aridità e spietatezze inflessibili.
In fondo la complicazione è solo un modo artificioso di affrontare la vita, l'esistenza, la realtà delle cose. È una volontaria falsificazione, una forzatura a significare ciò che non è vero, una volontà di soggettivizzare anche contro ogni oggettività. E perché questo stravolgimento della realtà sia possibile e giustificabile, il ricorso è alla trama, al rannodo, al rendere tutto difficile, misterioso, incomprensibile, e cioè terribilmente complicato.
E così tanto che soltanto il potere, l'autorità può sciogliere i nodi, soltanto la cultura, l'intellettuale, la legge, l'ecclesiastico, il magistrato ecc. (e cioè tutti quelli e tutto ciò che ha provocato la complicazione) possono risolvere l'intrico dei problemi, schiarire il torbido dei rapporti, offrire qualche spiraglio di luce e un po' di fiato alla speranza: sgombrare cioè o almeno ridurre la complicazione, così che un po' di semplicità possa tornare a sorridere.
Ma sono antichi sogni, fin da quando è l'uomo "sapiens'', continuamente accesi e puntualmente e spietatamente spenti. Tanto più in questi nostri tempi moderni dove la complicazione più intricata domina incontrastata la politica, l'economia, la cultura, la Chiesa, i rapporti sociali, la convivenza delle razze, dei popoli, fin dentro l'intimità famigliare, gli spazi dell'amicizia, l'interiorità e i comportamenti personali. Forse assai più di quanto s'immagina, l'umanità e la sua storia potrebbe realizzare il cambiamento da disumanità ad umanità, anteponendo, con scelta chiara e coraggiosa, la semplicità della comunicazione. Sarebbe forse una scelta come fra pace e guerra, libertà ed oppressione, fraternità e violenza...
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Riscoprire la semplicità vuol dire cercare seriamente la conoscenza dell'uomo. È ottenere una visione in trasparenza dei veri valori. E' creare la capacità immediata di scoprire la profondità del mistero umano cogliendo, nel suo fondo abissale, la più intima essenza della sua ragion d'essere e dalla radice della propria profondità risalire a scoprire, sempre nella trasparenza cristallina della semplicità, la meravigliosità del mondo circostante. È allora che può apparire l'ingenuo e dolcissimo incanto della bellezza, ascoltarne con rapimento la musicalità, avvertire il muoversi segreto del fiorire l'Amore. Perché la semplicità è il silenzio che sussurra la poesia più preziosa quella scritta nelle piccole cose, in ciò che è niente e colma di pienezza, fino al punto di comunicare la gioia di contentarsi di tutto .
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Riscoprire la semplicità è la via giusta da percorrere, con pazienza e dolcezza, per liberarsi dalla prigione del proprio egoismo, dall'intrico inestricabile nel quale ci ha raggomitolato la nostra grettezza, dall'infelicità della fatica, spesso drammatica, dell'assolutizzazione delle nostre idee, dei nostri piani congegnati nel buio fondo della nostra istintività orgogliosa, pretenziosa e spessissimo stupida assurda. Percorrendo la via della semplicità è sfociare dove il more può respirare liberamente, perché ogni senso proibito od obbligato cade, i confini si aprono, perfino gli orizzonti si dilatano... È il vivere allora nella spaziosità, senza timori e angosce, perché nessuna pietra è un inciampo, né uomo o donna un problema e meno ancora un nemico...
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Riscoprire la semplicità è il dono di grazia per ottenere l'incontro cuore a cuore con Dio. È trasferire nella propria interiorità e cioè nel vivo e vivente bisogno di Dio, di conoscenza, di comunione con Lui, fino all'ottenimento della misteriosa identità, la essenzialità dell'essere di Dio, cioè la sua semplicità.
L'unicità di Dio è la riprova della sua semplicità.
Il suo essere unicamente Amore è garanzia del suo essere semplice per una semplificazione incessante alla quale conduce il suo essere Amore.
È l'essere Dio principio e fine, inizio e compimento di tutte le cose che dona alla semplicità di essere l'unicità dell'esistenza: "cielo e terra passeranno, diceva Gesù, ma le mie parole non passeranno". Tutta l'inimmaginabile complicazione della storia passerà ma la semplicità, perché è Dio, non passerà .
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È in questa semplicità che può essere unicamente ottenuta una sincerità di fede. Tutta la complicazione religiosa (questioni teologiche, raffinatezze liturgiche, ritualità, devozioni, ministeri, clericarismi, cavillismo giuridico, moralistico, pastoralistico ecc.) non serve se non a complicare e cioè appesantire, soffocare la fede.
"Tu invece, quando vuoi pregare, entra in camera tua e chiudi la porta. Poi, prega Dio, presente anche nel segreto. E Dio, tuo Padre, che vede anche nel segreto, ti darà la ricompensa".
"Quando pregate non usate tante parole come fanno i pagani: essi pensano che a furia di parlare Dio finirà per ascoltarli... Voi dunque pregate così: Padre Nostro... ".
Forse la semplicità è tutta in quest' ultima parola.
in Lotta come Amore: LcA maggio 1987, Maggio 1987
Luigi Sonnenfeld
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