C'è un fatto di cronaca che mi è parso particolarmente significativo e quindi prezioso da raccogliere e offrire, pensando che poche persone abbiano avuto occasione di conoscerlo. È un fatto successo il 25 Gennaio '86, in un piccolo villaggio palestinese dei "territori occupati" con la forza e il sopruso dall'esercito israeliano: ma il tempo non è la misura di tutto. Ci sono avvenimenti che per la loro carica simbolica attraversano il passare degli anni e restano ad indicare una via di libertà e di lotta per un'umanità sempre più fondata sulla giustizia.
Qattaneh è un piccolo villaggio della Cisgiordania, a circa 15 Km. da Gerusalemme; ai primi di Gennaio '86 l'esercito israeliano ha distrutto tutta una vasta piantagione di viti, mandorli e ulivi per preparare il terreno ad un nuovo insediamento su quello che il governo di Tel Aviv considera "terre israeliane". Ciò che è avvenuto come "risposta" alla provocazione del braccio armato dello Stato di Israele, merita un attenzione ed una considerazione tutta particolare, perché è un gesto che indica vie nuove (vie "profetiche") di lotta per la pace ed il rispetto fondamentale dei diritti dei popoli. Un gesto "povero" che non può essere misurato dai risultati, ma che rappresenta un germe di speranza all'interno di una vicenda segnata dal sangue, dall'odio, dalla vendetta, dal "fucile contro fucile", da massacri senza fine.
Il 25 Gennaio circa 200 militanti palestinesi, israeliani e residenti stranieri si sono uniti agli abitanti di Qattaneh per compiere un opera di resistenza attiva, nonviolenta ma profondamente concreta: armati di zappe e badili hanno voluto piantare sulla loro terra ferita dal potere militare e dal sopruso politico, 600 alberi d'ulivo. I soldati israeliani erano presenti all'appuntamento coi mitra alla mano. Un avvocato palestinese, membro del Centro per lo studio della nonviolenza, ha spiegato il senso dell' azione: "Questi alberi sono preziosi. come la vita. Siamo qui per costruire pace; non getteremo né pietre né useremo metodi violenti per difenderci, qualunque siano le provocazioni dell'esercito".
La vicenda degli "alberi per la pace" è finita male: i soldati, non rispettando un accordo raggiunto dopo una faticosa e paziente trattativa, sono tornati il giorno dopo ed hanno sradicato tutte le piante d'ulivo. Un gruppo di militanti non violenti palestinesi ed israeliani sono stati messi sotto processo per "violazione di terre dello Stato".
Non so come sia finito questo processo che ha avuto luogo il 24 Maggio di quest'anno. Ma in tutta l'amara vicenda dei rapporti fra il popolo palestinese e il popolo israeliano rimane - come un piccolo seme - questo "fatto" veramente significativo: in esso è racchiuso un atteggiamento di vita, di amore, di lotta pacifica, di resistenza nonviolenta all' ingiustizia.
Non so neppure se nella terra tormentata della Palestina-Israele gli ulivi riusciranno a spuntarla sui mitra di uno degli eserciti più agguerriti e meglio equipaggiati del mondo. La storia del popolo ebraico, però farebbe pensare (magari molto alla lunga) ad una possibilità di vittoria per gli alberi della pace, se questa lotta diventasse una tenace ed instancabile lotta di popolo. Una possibilità di vittoria non secondo la ragione politica, ma secondo le ragioni di una Speranza che è possibile raccogliere nel cuore stesso di tutto il messaggio della Bibbia. Il progetto di Dio - proprio del Dio d'Israele - non passa per il filo delle spade ne per i cingolati dei carri armati o i vettori dei modernissimi missili. Certamente è impossibile sapere il prezzo richiesto perché quegli alberi morti rinascano ad una nuova fioritura in una terra abitata dalla giustizia e dalla pace. Il prezzo pagato finora, in una lotta atroce e fratricida, è stato già assurdamente altissimo. Ma la speranza riposa proprio su un altro "fatto" straordinario ed unico accaduto in quella Terra misteriosa e tragica: ciò che era stato ucciso può risorgere. Colui che fu crocifisso su di un albero per la salvezza di tutti custodisce dentro di noi la faticosa Speranza di un "mattino pasquale" per i due popoli che in quella Terra vivono da troppi anni una dolorosa "via crucis".
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1987, Ottobre 1987
Luigi Sonnenfeld
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