Che Guevara e il '68

Quest'anno, ora nell'ottobre, sono vent'anni dalla morte di Che Guevara. La ricorrenza non può non costituire un occasione di memoria qualificata in bene o in male a seconda del rapporto di giudizio con il personaggio. Accogliere o respingere spesso sono soggettivismi di nessun conto e ognuno la pensi come vuole.
Ma Che Guevara è uno di quei fatti storici che non soltanto segnano e specificano un tempo storico, un epoca. Chi "ha vissuto" allora, più che ricordarla questa "presenza storica ", l'ha sofferta con passione, ne è rimasto contagiato, ne ha sognato gli accesi sogni, vi ha ravvivato le speranze. Forse come mai in questi nostri tempi, così duramente segnati dalla maledizione dei "personaggi". E specialmente perché sul suo nome e la sua leggenda, si radunavano liberamente le speranze, uscivano gli ideali dal privato per incontrarsi e confrontarsi nelle piazze "a cantare" il palpitare del cuore, a sognare nuove spaziosità dove finalmente respirare la libertà.
Non era sinistrismo, anche se le bandiere erano rosse, ma straordinariamente di più di quelle di sempre. Non era cristianesimo ma semplicemente altro.
Tanto meno partitismo, aggregazionismo.
Era semplicemente e appassionatamente l'uscita dal privato, dal ghetto personale o di gruppo, dal chiuso dei sotterranei dalle strumentalizzazioni e oppressioni, culturali, sociali, politiche, religiose e uscire coraggiosamente all'aperto. Si, è vero, senza sapere dove andare, al di là di ogni programmazione, sulla fascia dello slancio e la spinta di un inesauribile stupore.
É innegabile che in quegli anni (brevi come una ventata improvvisa) fu scoperta una nuova terra dove abitare in modi assolutamente nuovi. Quasi come toccare con mano l'utopia, ma ancora più avvertire concretamente e in parte già poter vivere, il sogno come realtà.
É ai 18-20 anni di allora e "ai puri di cuore" e agli "innocenti di mani" di quel tempo, che appartiene l'esplosione di quella fioritura della stagione di Che Guevara e del '68.
Il "mondo" è stato a guardare con più o meno preoccupazione e sgomento. Perché l'umanità sa accogliere e subire la violenza, la sopraffazione, lo sfruttamento, la guerra. Ma non sa capire e tantomeno accettare i tempi favorevoli alla giustizia, alla libertà, all'uguaglianza, alla pace.
E quindi tutto è stato più o meno violentemente risucchiato dalla "saggezza", ingurgitato dalla voracità degli interessi economici, tutto è stato maledettamente strumentalizzato per le pazzie ideologiche e le criminalità più assurde dall'autonomia, B.R. partito armato...
É proprio triste ma forse la storia di sempre insegna che gli uomini non sono disposti ad accettare di poter essere uomini.
20 anni fa (si, certo può essere discutibile) fu un occasione, una provocazione, se vogliamo, di nuova umanità,decisamente fatta spengere o addirittura trasformata in pazzia criminale.

* * *
Ecco vent'anni dopo. Il mito di Che Guevara si è spento perfino nella memoria storica. É chiaro che non è una notizia da mantenere viva e che possa significare qualche valore.
É nel bagaglio della memoria individuale, ma forse accuratamente rimossa o relegata alle "pazzie" giovanili, di chi ne aveva incollato il poster famoso sulla parete della propria carnera, magari dove prima era il crocifisso e di chi, a pugno chiuso, levato in alto, ne invocava il nome scandendone le sillabe, nelle agitate moltitudini giovanili.
Chissà perche i "sessantottini" sono così silenziosamente scomparsi. É vero che il tempo tutto cancella e che gli anni tutto seppelliscono. Ma si è trattato innegabilmente di una cultura, di una vera e propria agitazione rivoluzionaria. Come un ribollimento improvviso a scuotere le fondamenta di basamenti culturali e di costume ormai consacrati dalla immobilità. Acque stagnanti per acquitrini dove, con acquisizione e possessi ormai definitivi, si acquattavano da sempre interessi di capitale, di potere, di dominio: e le acque si sono agitate hanno ribollito d'improvvisi entusiasmi nel tentativo appassionato di farne acque correnti, irriganti ogni arsura, ogni deserto.
Una poesia giovanile, certamente, un'utopia da ventenni, senz'altro, una pazzia, un'assurdità, un'appassionamento collettivo, un'epidemia di entusiasmi, il fascino di un nome-simbolo, un sogno imprecisato e imprecisabile di novità... si, certo, ci sta tutto in questa esplosione giovanile non spiegabile allora e non spiegabile oggi, dopo vent' anni, ma è chiaro e incontrovertibile che tutto il fenomeno Che Guevara e '68 è stata una LOTTA.
La parola vien subito da respingerla e non soltanto perché può esser parola-sintesi di ogni male, di ogni orrore e crudeltà, ma anche perché può significare esattamente il contrario: una coscienza chiara, cioè, della propria dignità, una volontà di respingere l'ingiustizia e l'oppressione, la ricerca appassionata della libertà... L'incontro collettivo, la solidarietà, l'unità delle forze.
Il superamento del privato, dell'individualità, il giocare tutto del se stesso per la collettività. L'universalizzazione degli ideali, il senso profondo di essere umanità, il non creare il successo quanto la linearità, la coerenza, l'onestà...
Lotta è sintomo di Fede, è motivata dall'Amore, è realtà di Pace, È speranza di novità.
L'uomo è Uomo in proporzione alla sua lotta: alla quantità e misura della sua lotta. Così un popolo: la sua civiltà o è significativa di un momento di lotta incessante o è acquietamento, passività, egoismo collettivo, immobilità dell'ingiustizia.
La lotta di per se stessa è condizione di costruttività, di creatività. È intervenire sul nulla, sul vuoto, sull'inutile, sul deviato; inquinato, imputridito... a ritrovare, a inventare, a scoprire, a realizzare o se non altro, a sognare, la novità, un cambiamento e cioè una rottura e un inizio, come dire una risurrezione: questa lotta suprema della vita che vince la morte.
Il '68, qualsiasi possa essere il giudizio storico, per chi ha vissuto quegli anni, è stato un momento di lotta, come forse mai nella storia. Senza particolari, raffinate libresche illuminazioni e provocazioni, è fiorita, e non per nulla dalle folle giovanili, una lotta capace di scoprire e selciare vie nuove da percorrere, senz'armi, senza violenza, senza prepotenza, ma cantando e sbandierando bandiere rosse, gridando a pugno alzato, unica indicazione di forza, un nome, quello di Che Guevara, un sogno tradito e falciato a morte ai margini di un villaggio boliviano.

* * *
Ogni volta che una lotta di liberazione si spenge o viene soffocata, muore un po' di umanità. Rimane certamente un fuoco acceso perché a nessuna forza diabolica o no, è permesso di estinguerlo, ma è sotto la coltre di cenere della storia e di spessore sconcertante. Spesso occorrono secoli e forse millenni e avvenimenti e sovvertimenti tali come quelli che hanno scosso e scuotono la crosta terrestre. Perché la "civiltà" cancella, fino alla scomparsa perfino della memoria, tutto ciò (uomini e avvenimenti) che significano e segnano, novità di umanità o ne fa monumenti decorativi di bronzo o di pietra, da collocare sulle piazze, alla pioggia e al vento.
Il '68 è stato cancellato perfino dalla memoria. Che Guevara fortunatamente non è né di bronzo né di pietra, anche se è vero che non è nemmeno un ricordo scolastico.
Il borghesismo è rimasto a guardare insospettito, l'ha sepolto sotto le sue frane. Il partitismo politico che l'ha accuratamente tenuto ai margini, l'ha diffidato come confusionismo politico e popolarismo pericoloso, aspettando pazientemente che l'ossigeno venisse a mancare a questo immenso profondo respiro di libertà e di creatività.
La teorica micidiale del terrorismo e la criminalità politica organizzata, vi ha piantato maledettamente le radici traendone frutti orrendi di pazzia sanguinaria, ottenendo quel crimine d'identità fra il '68 e il terrorismo. Buon gioco per le cosiddette "forze sane" per la soffocazione totale di ogni respiro di lotta, di ogni sogno di novità.
Vent'anni sono pochi per un'epoca. Pare ieri, appena a voltarsi indietro per chi ha e vuole e può avere memoria. E sono mille anni sulla misura di distanza segnata non dal tempo, ma dal cambiamento di realtà di vita individuale, collettiva, politica, sociale, culturale, religiosa... .
Attivismo e passività. Protagonismo e piatteria. Lotta e rassegnazione. Coscienza e incoscienza. Creatività e nullità. Voler contare e svuotamento totale. Sapere e voler pensare, inutilità e stupidità il cercare di pensare. La costruzione di una società nuova, il livellamento pianificato. I giovani, umanità giovane e la realtà attuale di consumo capitalistico e di partito. Le piazze, le strade animate, accese di entusiasmi e deserte di vitalità, di cultura, di politica...
I tempi, d'accordo. Ma i tempi sono costruiti dagli uomini e rispondono, rispecchiano, sempre fedelmente, l'umanità e la non umanità o la disumanità del tempo.
Con il '68 e con il mito di nome Che Guevara si è concluso il tempo nel quale ha palpitato una lotta. Una lotta autenticamente umana e così tanto sorprendente di valori umani, che a ripensarci alla distanza, dopo vent'anni, c'è da riconoscere che non poteva avere continuità.
Non poteva: perché sarebbe successo che degli uomini, che sono pure capaci di tutto, sarebbero stati capaci di umanità. Ma di umanità pare che non ne vogliano sapere.
Per poterlo credere ed averne la speranza occorrerebbe il Cuore e l'Amore di Gesù Cristo. Ma nemmeno la Chiesa, storicamente, ha questo Cuore e questo Amore.


don Sirio


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1987, Ottobre 1987

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