Mi è capitato molte volte di riflettere sui motivi profondi della mia totale avversione per tutto ciò che appartiene alla realtà militare, al mondo della armi e di tutte le organizzazioni di ogni tipo che su di esse fanno affidamento, per ragioni di istituzione e di mestiere. Vorrei cercare di mettere allo scoperto questi motivi nascosti nell'intimo dell' anima, nelle radici dello spirito, dove sicuramente confluiscono i mille rivali di quel fiume straordinario ed irripetibile che è la vita di ciascuna creatura. Così anche per la mia vita ho sempre pensato che ci dovevano essere motivazioni legate alle vicende della mia esistenza, al cammino concreto in cui essa si è svolta fin qui, alle scelte interiori, alle convinzioni di fede, alla volontà di appartenenza alla condizione umana a partire da una precisa scelta di campo. lo scrivere queste cose è occasione e motivo anche per me di tentare una specie di "analisi", di lettura interiore di tutto un desiderio di nonviolenza, di amore alla vita, di appassionata volontà di pace e di fraternità, di sogno di un'umanità dove non ci sia più il rombo del cannone, lo sferragliare dei carri armati, le caverne dei silos che nascondono missili atomici, i sottomarini o gli aerei supersonici continuamente all'erta, per ogni evenienza. E così le caserme, i generali, la truppa, le fabbriche di armi, le parate, i cacciamine e le corazzate in azione sui mari...
C'è una prima ragione ("Prima", per me, per importanza, per significato, per consapevolezza) ed è quella che nasce dalla mia fede in Gesù Cristo, dal modo in cui mi è sempre apparso il suo messaggio e tutta la sua vita, così come mi è stata possibile raccoglierla attraverso le pagine dei Vangeli. La storia di Gesù nella sua limpida trasparenza, è il motivo di fondo, la prima radice da cui piano piano, lungo il filo degli anni, mi sono sentito crescere nel cuore la sicurezza che il Cristianesimo non può essere vissuto se non superando concretamente lo schema amiconemico che è l'asse portante di tutta la logica militaristica.
La giustificazione di tutti gli apparati militari, di qualunque epoca "cristiana", poggia essenzialmente sull'accettazione della validità del principio della lotta contro i nemici, anche a prezzo della loro distruzione violenta. L'accoglienza del' messaggio evangelico come motivo di orientamento e ragion d'essere di tutta l'esistenza, mi ha portato quasi senza accorgermene al di là di tutti i fili spinati che da sempre hanno separato gli uomini, fino a rendere "normali" le terribili stragi di tutte le guerre. Sono giunto alla convinzione chiara che non c'è alcuna possibilità di mettere d'accordo la logica del Cristo morto e risorto con quella in cui affonda le sue secolari radici la "ragione militare".
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C'è anche un altra motivazione che sta prima in ordine di tempo - di quella che ho cercato di esporre nei precedenti pensieri. È motivazione legata al tempo storico, al calendario della mia vita che ha avuto il suo inizio in anticipo di pochissimi mesi dallo scoppio della 20 guerra mondiale.
Le primissime cose che ricordo di avere scoperto nel mondo di cui ero venuto a far parte, sono memorie di guerra. Unitamente ai volti, per me dolcissimi, di mio padre e di mia madre, porto stampate dentro di me figure indefinite di soldati in armi, autoblindo, caccia da bombardamento, fughe nella notte verso "il rifugio", una lunghissima permanenza (quasi un mese) nelle profonde cave di alabastro della zona in cui abitavo... Prima, soldati tedeschi; poi soldati polacchi fuggiti da un campo di prigionia, con tanta fame e neppure un moschetto. Mio padre li tenne nascosti dietro i sacchi del grano, nella soffitta della nostra casa. Un giorno, in un fosso di deflusso delle acque dei campi, ho scoperto - tenuto per mano da mio padre - i primi due americani che ho visto nella mia vita. Erano due paracadutisti, lanciatisi di notte, che tranquillamente facevano colazione con le loro famose scatolette, Ricordo perfettamente il loro sorriso rassicurante e l'invito a mantenere il segreto della nostra involontaria scoperta. Ricordo anche i due grossi fucili mitragliatori appoggiati vicino agli zaini.
Ci sono anche, nel fondo del nastro della mia memoria, immagini perfettamente nitide di sol-dati morti in mezzo alle strade, stesi nella polvere con la faccia rivolta verso terra. E la paura, grande e continua, dei miei genitori e dei vicini di casa, che però non riuscì mai ad entrare nel mio cuore di ragazzino totalmente incapace di percepire il rapporto tra la vita e la morte, così strettamente mescolate. Sono passato in mezzo alla guerra filmando tutto con la sensibilità della pellicola nella mia mente, vivendo con intensità gli avvenimenti quotidiani - sempre imprevedibili - ma non ricordo di avere avuto la sensazione della paura.
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È la prima volta che scrivo queste cose, forse molto banali, simili a quelle che videro in quelli stessi anni milioni di bambini della mia generazione: ma ho avuto voglia di raccontarle perché mi sono persuaso che in esse affondi le sue tenaci radici il mio "istinto non violento", l'avversione quasi viscerale per qualsiasi arma, per tutto ciò che ha un rapporto con il mondo militare, con le insegne e agli strumenti che inevitabilmente mi fanno pensare alla guerra. Non riesco a commuovermi nemmeno ai pacifici raduni dei bersaglieri o degli alpini: dal fondo della memoria subito emergono i lontani ricordi della mia infanzia e li vedo come "uomini di guerra", destinati a fabbricare la morte, per se stessi e per gli altri.
C è uno slogan pacifista che dice: "Ho visto la guerra e non voglio vederla mai più". Forse a me, in quei primissimi anni del mio ingresso nel mondo, è successa una cosa molto particolare: una specie di inconsapevole battesimo nelle acque della non violenza, per una contrapposizione immediata, istintiva, a tutto ciò che di brutto, di spaventoso, di assurdo avevo visto con i miei occhi da bambino. Deve essere nato allora il desiderio insopprimibile di una vita umana non più segnata dalla violenza e dalla pazzia della guerra.
Ho scoperto molto più tardi che la prima bomba atomica fu sganciata quando avevo 6 anni,
Ma per fortuna, ho avuto anche la misteriosa avventura di incontrare - lungo il dipanarsi della strada - il Vangelo di Gesù Cristo. E chissà per quali strane ragioni mi è venuta subito la voglia di lasciarmi portare da Lui sulla strada. Così, fra le tante cose, fra i tanti valori, sogni, proposte, utopie, urgenze, anche la nonviolenza si è riaffacciata, come una cara compagna di viaggio, ai bordi del sentiero.
Mi sono convinto sempre più che non è possibile percorrere la via cristiana senza lasciarsi condurre da lei, senza accogliere le sue radicali proposte di rifiuto chiaro di tutto ciò che in qualsiasi modo racchiuda in se l'amaro sapore della morte imposta, della "morte violenta". E non riesco a rassegnarmi alla cultura del mio tempo (ma che viene da molto lontano) e che cerca in tutte le maniere di trovare giustificazioni, attenuanti politiche o sociali, raffinate e ragionate spiegazioni: una fabbrica di armi non è "un posto di lavoro", ma un cimitero dove si fabbrica la morte. I campi, in qualunque parte del mondo, non li arano i carri armati. E gli eserciti non sono associazioni di volontariato, pie organizzazioni di mutuo soccorso pronte a correre ovunque ci sia un terremoto o un' alluvione... La mia memoria di bambino che ha visto la guerra non mi consente di cadere in simili inganni. Tanto più la mia fede in Gesù Cristo, il suo appassionato messaggio di fraternità e d'amore, la sua incessante proclamazione della paternità di Dio, la sua lotta pagata a caro prezzo per abbattere il muro della divisione e fare una sola umanità. Per questo, non mi arrendo e non voglio smettere di sognare la possibilità di una esistenza illuminata e riscaldata dal fuoco appassionato della non violenza.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA dicembre 1987, Dicembre 1987
Luigi Sonnenfeld
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