La mia malattia

(scritto 5 mesi fa. Testo letto nella veglia)
Mi sembra alquanto strano che mi permetta di raccontare qualcosa di questi due anni particolarmente pesanti per me (e quindi anche per gli amici che mi sono vicini). Ma è anche vero che la malattia è parte integrante dell'avventura della vita. Non può essere vissuta privatamente, anche se come è evidente, è un fatto strettamente personale.
Da mesi ormai i miei spazi si sono andati restringendo ad un letto d'ospedale e poi qui in questo angolo della Darsena. Non credo però che la mia realtà interiore abbia perduto spaziosità. La malattia, l'essere ammalati, divide, separa richiude materialmente e ripiega in una misteriosa sensazione di annullamento. Ma è anche esperienza di dilatazione interiore, quasi, e profondamente, espansione, universalizzazione. Spesso sperimentare la limitatezza dona la conoscenza della totalità.
Una malattia strana, questa che mi è stata riservata. E ancora, dopo estenuanti ricerche, non è chiaramente diagnosticata. Forse una di quelle che arrivano puntualmente al momento del pen-sionamento, probabilmente per una giustificazione a smettere di lavorare, per una esortazione a voltare l'orientamento della vita là dove è il senso giusto e conclusivo.
La dolce bontà di Dio conosce bene i percorsi e è il suo Amore che li assegna: quindi tutto come a Dio piace.
Chiedo scusa agli amici che mi hanno scritto lettere se non hanno avuto risposta e a tanti altri che non hanno saputo niente di me. Vorrei dire con tutta sincerità e Amore che porto tutti fe-delmente nel mio cuore. È insieme che ho cercato di reggere, senza stanchezze interiori, nella serenità e nella pace, questo periodo particolarmente pesante della mia vita. come negli altri momenti di ricerca, d'impegno, di responsabilità, di lotta. Ringrazio Dio per quella misura di fedeltà che mi ha donato nella sua infinita bontà verso di me.
Anche il giornalino, questa lettera agli amici che è Lotta come Amore, ha risentito della mia malattia. Questo è il secondo numero in questo 1987! Non è che siano venuti meno i problemi, o mancate le nostre riflessioni. Da parte mia avrei potuto molto raccontare dell'esperienza ospedaliera, di questo mondo, estremamente misterioso, dominato dalla scienza e da uomini che la rapportano al povero, malato, rapporto praticamente fondato sul potere e conseguentemente sulla paura, ma dove la sensibilità umana è totalmente inaridita nella ricerca scientifica.
Il discorso sarebbe lungo ma anche inutile perché se c'è realtà di problemi umani, sociali, politici e anche religiosi, dove la lotta per un cambiamento, una qualsiasi novità, qui da noi, è impossibile, anche nell'immaginazione, è nel mondo, accuratamente chiuso a doppia mandata, degli ospedali. Per quello che mi riguarda questa esperienza della malattia e quindi ospedaliera, era necessaria per il compimento di quelle scelte che hanno determinato tutta l'avventura della mia vita. Dalla scelta di Gesù a quella della vita operaia alle realtà di lotta lungo tutti questi anni, nella vita sociale ed ecclesiale, fino all' esaurimento delle forze fisiche e del vivere in un letto accanto ad innumerevoli altri letti.
Mi vengono alla memoria e le offro a me e a voi tutti, carissimi fratelli e sorelle, come saluto affettuosissimo le parole del profeta Geremia: "Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre, mi hai fatto forza e hai prevalso" (20,7).
E alla sua fedeltà di Amore possiamo serenamente affidarci.


don Sirio


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1988, Febbraio 1988

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