Nei tempi in cui viviamo determinati dai grandi poteri a livelli mondiali sempre più si va scoprendo la progressiva scomparsa dei valori sul piano personale o di groppo che sia e dei rapporti fra questi valori e la realtà storica.
Gli imperialismi economici, politici, militari, come piovre di misura spaventosa e così tanto come mai nella storia è avvenuto, stanno divorando i popoli e i continenti intesi come individualità. E questa voracità che assolutamente niente perdona, decisamente impietosa e insaziabile, sta arrivando e non poteva non succedere, fino all'inghiottimento, alla masticazione e alla digestione dell'individuo, della povera persona umana e della sua espressione di cultura e di civiltà dei singoli popoli.
Chi non sente i denti, canini e molari (per continuare ormai l'orrenda immagine) masticare ogni giorno di più, la propria carne e tanto più la propria anima, cioè il se stessi nella propria essenzialità personale, nelle componenze anche fondamentali della propria caratterizzazione personale, individuale e collettiva?
Chi non se ne avvede di essere «mangiato» vuoi dire che è tanto «distratto» da non accorgersi nemmeno della frantumazione delle ossa e del vanificarsi del proprio spirito. Ma anche questa «distrazione» rientra nella astutissima scaltrezza, nella micidiale perfidia del «mostro»: il crotalo cioè il serpente a sonagli, prima avvelena narcotizzandola la sua vittima e poi a poco a poco la succhia e la inghiotte.
Le forze politiche a livelli mondiali si stanno una dopo l'altra allineando al sistema e da speranze rivoluzionarie, cioè di resistenza, di opposizione, di alternativa, si organizzano in altrettanti «mostri» disponibili allo scontro ma soltanto per dividersi «la preda» o riservarsela intera alla propria voracità.
L'allineamento delle potenze mondiali è tutto sulla strada maledetta dell'imperialismo, cioè del mostro divoratore.
E' chiaro che non sono un uomo di cultura, ma non vedo e non accetto che a chi è soltanto popolo, uomo della strada, non debba essere concesso di osservare il mondo in cui vive e di non giudicarlo, non abbia il diritto di resistere all'universale «distrazione» e di non rendersi conto di quello che gli sta succedendo. Dopo tutto si tratta della sua pelle e non solo della sua. Molti anni fa con la solita ingenuità del povero popolo, le speranze e le attese si erano aggrappate e disperatamente, alla Russia e al simbolo di alternativa che con la rivoluzione comunista, rappresentava per il povero popolo. Poi le speranze si sono andate spostando verso la rivoluzione, certo anche quella culturale, cinese. Si sono agganciate, anche se terribilmente restringendosi, queste speranze, alla rivoluzione cubana. Tutto si è riacceso a vampata di entusiasmi al tempo della guerra del Vietnam. Anche se attenuandosi e annebbiandosi queste povere speranze, se non altro per impedirsi di sconfortarsi, si sono rifugiate alle possibilità di resistenza del non allineamento. Ma tutto si è andato spengendo come al calar del sole la sera e raffreddando come quando è sul finire la buona stagione e si avvertono i primi brividi invernali. Siamo attualmente, noi gente della strada, ridotti a guardare e quasi con una punta d'invidia, anche se si tratta soltanto di disperazione, ma la storia dei nostri giorni non offre proprio altro, alla violenza della riscossa islamica. Perché, volere o no, la rivoluzione islamica dell'Iran e lì accanto la resistenza armata dell' Afghanistan, sono lotta di popolo contro i due imperialismi che attualmente schiacciano il mondo. Tanto più, oltre a tutto il resto, per il fatto che hanno la potenza militare di volatilizzare ogni forma di esistenza e quindi l'umanità intera, in pochi secondi.
Più viva e appassionante, fino a suscitare lo stupore del miracolo, è l'esperienza liberatrice e costruente del popolo libero, del Nicaragua e dei popoli dell'America Latina. Se non altro per mantenere acceso il barlume di una fiducia che, in fondo, ancora esiste, può esistere la ribellione, questa adorabile virtù dei popoli oppressi.
L'analisi della speranza-disperazione potrebbe continuare raccontando delle grandi ideologie che hanno scosso la storia, aprendo strade nuove di pensiero e di progetto politico. E la loro progressiva degradazione fino allo sciacquarsi, diluite incessantemente e inesorabilmente dal loro diventare cultura: proprietà cioè della speculazione intellettuale degli addetti ai lavori del pensiero e strappate sempre più alla forza rivoluzionaria del popolo e in particolare della classe operaia e contadina, per incasellarle in sistemi (quanti?) d'interpretazione ideologica e quindi, logicamente, partitica.
Ogni rivoluzione trova disgraziatamente i suoi teologi e i suoi esegeti cioè i suoi affossatori. Dove è il corpo, lì, si radunano le aquile, o meglio, secondo altre traduzioni del Vangelo, gli avvoltoi.
Tanto più che in questo nostro tempo che viene indicato, come sua peculiarità e gloria, tempo di liberalizzazione, di democratizzazione, sta crescendo paurosamente il «rifiorire» dell'autorità, e quindi dell'autoritarismo, cioè dell'uomo eccezionale che sa tutto e deve poter tutto. Sarà finito forse il tempo (sembra, ma non è vero) delle dittature vecchio stampo, ma è fenomeno ancora attuale anche se in forme raffinate e quindi insidiosissime, delle mitizzazioni, delle sovranità più o meno dispotiche.
Anche e soprattutto perché «il mostro» incentiva paurosamente nelle masse il sistema eternamente furbastro e assassino, della delega; propinando nel frattempo la tentazione della passività attraverso l'incantesimo del benessere.
Le forze di contrasto, di opposizione, di resistenza.. E quali? E dove?
Qualcosa di diverso. Un semplice tracciato per una via diversa. Un cartello che indichi un'altra strada. Un'alternativa di pensiero e di progetto concreto... E di dove potrebbe venire, chi lo può congegnare e quale lotta per attuarlo?
Impressiona molto, fino allo sgomento, il fatto di non sapere, di non riuscire a immaginare in quali forme e di dove possa venire, questa alternativa e con quali forze e attraverso quale lotta sia ipotizzabile una sua affermazione storica.
Anche il sognare semplicemente e ingenuamente un mondo e un avvio di storia diversa, rischia una pericolosa disincarnazione, un chiudersi nel proprio guscio pascendosi di vuote utopie e lacrimando sulla disgrazia universale.
La stanchezza per un rapporto di forza con la realtà nella quale viviamo, è facilmente spiegabile, ma proprio in proporzione alla sua giustificazione storica, non può e non dev'essere perdonabile.
Fare il gioco del nemico è strategia assurda e condannarsi alla sconfitta. Dare spazio e demolire ogni arginatura è favorire lo straripamento della fiumana. Fuggire a rintanarsi nelle proprie sicurezze è condannarsi alla morte del topo.
Il pericolo più insidioso che la speranza corre nel nostro tempo è la scissione fra il personale e il collettivo, il particolare e l'universale, l'accurata e vigilante separazione tra il mio e il tuo, il se stessi (e qualsiasi cosa di rapporto con il se stessi) e gli altri. L'emarginazione è fatica che non conosce stanchezze, questa strana istintività al rigetto di tutto quello che non è diretto e immediato interesse. La mentalità corrente e la norma di comportamento alla quale è fedeltà assoluta e cieca obbedienza, è questa: via, fuori, tutto quello che non tocca la mia pelle.
Non è problema di crudo e antipatico egoismo, quell'istintività dell'assolutizzazione del se stesso, che rabbrividisce chi si mette sulla via della santità o anche soltanto di un onesto rapporto umano. Si tratta invece di un nuovo tipo di personalità plasmato dalIa corrente cultura consumistica e quindi di una condizione di vita e convivenza umana onestamente e seriamente normalizzata, rispondente perfettamente alla realtà del nostro tempo che logicamente, come ogni civiltà che si rispetti, costruisce l'uomo, il suo vivere e il suo convivere, secondo precisi imperativi d'interesse o meglio, di sfruttamento.
Il risultato è doppio, ma sono due strade che sfociano nell'unica autostrada a senso unico.
L'affermarsi del «mostro» imperialista e il progressivo dominio assolutizzato del capitale.
L'inesorabile demolizione e soppressione della persona e quindi lo spengersi perfino della speranza.
Cosa fare? E' l'interrogativo immediato e inevitabile, più che giustificato, come per chi sta per soffocare e chiede aria da respirare. Tutto il resto semmai è da vedere dopo. Si diceva già prima che questo nostro tempo è già arrivato al punto di rarefazione atmosferica per cui anche una respirata di ossigeno è quasi impossibile: anche lo stesso sognare un «cosa fare» rischia l'assurdità.
Eppure anche in questo deserto d'idee e di progetti, è assolutamente doveroso, perché vitale, camminare. Se non altro il sole di giorno e le stelle di notte potranno pur dare un orientamento. Gli uccelli migratori seguono l'orientamento connaturato alla loro istintività, così i banchi di pesci nelle profondità del mare. La natura imprime negli esseri viventi leggi determinanti il loro vivere. La degenerazione avviene soltanto strappandoli dal «habitat» naturale e imprigionandoli in sistema di vita imposti...
Forse per me, per te (per ogni essere umano) la prima cosa da fare è riconquistare la libertà personale. Bisognerebbe molto riflettere su questa libertà e quindi sulla propria liberazione. Non è semplice e forse non è possibile che s'impari molto a leggere o a sentirne parlare. Sta il fatto che nessuno respira con i polmoni di un altro e anche nel tempo dei trapianti, come sembra che sia il nostro, il principio vitale ognuno ha il suo strettamente personale. L'anima è il se stessi più profondo, inconfondibile e insostituibile.
Liberare la propria anima, riconquistandola a se stessi, è la prima decisiva cosa da fare.
Non so bene quanto tutto quello che sto scrivendo possa essere leggibile e quanto possa interessare. Forse è utile soltanto a me questo mio scrivere: non è cosa di poco conto. Se poi succede che questo scrivere sia come parlare con qualcuno, cammin facendo, ne sono contento e allora a questo mio ipotetico compagno di viaggio vorrei dire: alla prossima occasione, riprenderemo il discorrere...
Sirio
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1980, Ottobre 1980
Luigi Sonnenfeld
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