L'uomo come coppia

Parlavo qualche tempo fa con un Vescovo amico di vari problemi della Chiesa e il discorso cadde sulle canonizzazioni, un tema non certamente di attualità «Come sarebbe bello - mi diceva il Vescovo - che la Chiesa canonizzasse una coppia». L'osservazione che accolsi sul momento quasi come una boutade è restata in me e si ripresenta fra le domande che il nostro tempo mi pone - perché la chiesa non ha canonizzato la coppia? - Gli uomini canonizzati entrano nella classifica dei confessori o martiri, a parte la categoria dei sommi pontefici evidentemente ispirata dall'intenzione di guadagnare fiducia al Vescovo di Roma, e le donne in quella di vergini e vedove; e il senso resta, anche se la nomenclatura si modifica in senso ottimistico. Pare che, per entrare nella fila dei santi, bisogna che il compagno o la compagna scompaiano: o fatto fuori dalla morte, o collocato nella fila parallela; insomma la fila che segue l'Agnello senza macchia, è una fila indiana e pare che uomo e donna per la mano, romperebbero la armoniosa struttura. La tradizione ecclesiastica ha lasciato senza sviluppo la storia della coppia-modello, e ha posto nelle due schiere parallele Giuseppe e Maria, lasciando ai pittori, cercatori inquieti della relazione, di rappresentare la felicità di stare insieme, come i pittori rinascimentali, o la trepida attenzione di Giuseppe consapevole di essere responsabile di una persona caricata di mistero più di qualunque altra donna. Forse Gesù avrebbe ragione di ripetere a molti padri della Chiesa e a molti biografi di Maria «che l'uomo non separi quello che Dio ha unito». Indulgendo nell'astratto, si potrebbe dire che la chiesa ha canonizzato la verginità e la separazione piuttosto che la relazione, ha fatto della santità una perfezione dell'individuo, piuttosto che una perfezione dell'incontro. Perché?
Ormai è luogo comune rifarsi alla influenza della cultura greca nel cristianesimo e addossare a questa tutte le fughe dei cristiani dalla storia concreta; ma nonostante la coscienza critica che abbiamo, il Vangelo resta incrostato in questa cultura. Parve che la chiesa avesse una volontà seria di accettare le conseguenze di una lettura del Vangelo separato dal contesto «greco» e nel Concilio Vaticano II si parlò molto di manicheismo, di astrattismo, però dopo quella primavera di speranze, siamo ricaduti o per paura o per comodità nei vecchi moduli di pensiero teologico di culto, di azione pastorale che ci illudevamo fossero distrutti. Il Concilio difeso a parole, è tradito nella prassi e nello spirito: mi azzarderei a dire ai responsabili della chiesa come a molti adulti che si lagnano della indifferenza dei giovani, che la credibilità può essere solo il risultato del peso che noi stessi diamo alle nostre parole, per la serietà con cui le pronunziamo e la coerenza con cui le traduciamo nella prassi. Una lettura «greca» della vita di Maria, trasmessaci dal Vangelo ha identificato Maria come «vergine» e «madre» definendo per sempre gli orientamenti della donna cristiana e riassorbendo completamente la relazione parallela, direi la santità come relazione, che è l'aspetto più marcato e più originale del Vangelo. Tutti i grandi temi o problemi che la storia ha presentato alla Chiesa nel nostro tempo, sono affrontati con una premessa incompleta. «Vergine Madre, figlia del tuo figlio»; il povero Giuseppe è volatilizzato e anche Dante è salvato dalla selva oscura, dai viluppi carnali da una vergine-madre e forse nemmeno lui, ha saputo scoprire la donna, compagna, aiuto simile all'uomo. E' 'vero che il Vangelo è molto sobrio nel parlare della relazione Maria-Giuseppe, e nel racconto dettagliato del fidanzamento insiste piuttosto sulla sofferenza causata dall'insicurezza che associa Giuseppe a tanti fidanzati, almeno a quelli che pensavano di fare una cosa seria, piuttosto che sulla gioia d'amarsi; ma non sarebbe questo passar oltre la relazione, un altro segno della lettura greca del messaggio di Gesù? Abbiamo in mano due certezze: la prima è che il senso della missione di Gesù è quello di «riconciliare» non solo l'uomo con Dio ma «quello che è in cielo e quello che è in terra». San Paolo ce lo ripete con un lusso di dettagli, forse perché conosce la tendenza spiritualizzatrice e idealista dei greci, che non è possibile non includere in questa riconciliazione tutti i fatti dell'uomo e della storia: la storia politica quella che frammentariamente ci è raccontata sui giornali è storia di riconciliazione, e ce lo ha ricordato eloquentemente il Concilio. Quando i cristiani si distraggono da questa storia tradiscono il Vangelo, anche se tentano di ricoprire il tradimento con una attenzione su-perconcentrata al culto. La seconda certezza è che Maria è la creatura che ha compreso più a fondo il pensiero del Cristo e che lo ha realizzato nella sua storia nel modo più completo. Quindi l'opera di Maria, ciò che veramente ha fatto lei, quello che porta i segni della sua personalità, deve essere questa «riconciliazione» questa amicizia profonda con l'uomo Giuseppe. Vergine l'ha fatta Dio senza di lei, madre è diventata sì certo per il suo consenso, ma una madre sola, una madre che non ha vissuto profondamente l'amore parallelo, quello di amica e di compagna, è una vera madre? La partecipazione di Maria al piano di Gesù non sarebbe questa riconciliazione che è il modello e la base di tutte le riconciliazioni? I santi e le sante che si sono sbrigati di mandare il consorte al cielo o in altro luogo, per avere lo spazio monastico, possono anche non avere all'attivo una relazione bene vissuta e realizzata, come possono avere alle spalle una storia di peccato riscattata da questo periodo di intensa vita «consacrata», ma questo non si può dire di Maria cui la chiesa da la prerogativa di essere entrata pienamente dal primo momento nella grazia che è identificazione col Cristo. Quindi non occorre fantasticare tanto, per pensare a Maria come donna in relazione, come coppia. Maria non ha certamente sopportato un marito per evitare uno stato civile infamante o per farsi dei meriti facendosi esempio di quel rassegnato martirio della donna cristiana, ma ha certamente realizzato la riconciliazione cioè quella comunione Con l'uomo liberata dalla paura, dalla brama di dominio e di possesso, dalla tentazione di costruire il muro protettivo, perché la famiglia non si apra al mondo.
Forse non sarebbe tanto importante per un giovane di oggi quella canonizzazione della coppia che proponeva il mio amico, ma bisognerebbe rileggere il Vangelo partendo da questa ipotesi, direi da questo canone interpretativo: il Vangelo non è un trattato di spiritualità, non è un codice morale, non è un metodo di preghiera, il Vangelo è una proposta, un progetto di riconciliazione. Il modulo del Vangelo è la parabola del figliol prodigo, riletta per quanto è possibile, fuori di un contesto greco: il padre rida al figlio le cose che aveva dissipato, «alienato» si direbbe oggi, la veste, i calzari, l'anello, gli alimenti e certamente una buona moglie dopo le donne allegre che aveva conosciuto, perché come si può immaginare un ebreo senza moglie? La scena non si chiude con l'abbraccio del padre; ma con la creazione di una cordialità con gli altri e con le cose. Il figlio maggiore osserva che il padre non gli ha mai permesso di mangiare un capretto con gli amici, perché scopre che il fratello ha degli amici e che le bestie che sono sulla tavola non sono solo oggetti di scambio ma sono i legami di questa amicizia e sono la stessa festa, è che lui non aveva scoperto gli altri come amici e le cose come beni da spartire, quindi questa riconciliazione che si festeggia oggi nella casa del padre, è la scoperta di relazioni nuove che lui scopre dopo una lunga convivenza in quel giorno di festa, con sorpresa e quasi con rabbia. A quelli che hanno isolato l'incontro col padre come un fatto individuale senza festa, senza amici, il Vangelo presenta una visione totalizzante, che si comprende solo quando si giuoca tutta la vita nella ricerca di relazione. In fondo nel suo piano di partenza il prodigo aveva cercato di aprirsi sugli altri e sulle altre cose: i suoi errori contengono la profonda verità dell'uomo.
Forse il mio amico Vescovo che vorrebbe canonizzare l'uomo in relazione, intuisce che alla generazione di oggi non interessa più la purezza dell'uomo solo. Tutta l'America è stata veramente scossa da un fremito di commozione profonda, mescolata di sdegno, di tristezza e di speranza alla notizia dell'assassinio nella cattedrale di San Salvador, non perché si fosse commesso un sacrilegio, che la vita di un Vescovo vale esattamente quanto la vita di una vecchia, morta sul selciato mentre piangeva intorno alla bara del Pastore ma perché la mano assassina stroncava una relazione di amore, una relazione politica che in questo grigiore, rappresentava un raggio abbagliante, capace di riaccendere la speranza dell'uomo.


Arturo Paoli


in Lotta come Amore: LcA ottobre 1980, Ottobre 1980

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