Il periodo delle ferie è particolarmente importante, assai più di quello che normalmente immaginiamo o addirittura sogniamo, Riposo, distensione, aria buona, montagna, mare ecc.; ma le ferie sono importanti perché significano e offrono una vita diversa. Il fascino del nuovo e dell'imprevedibile.
Perché il bisogno di rompere la stretta delle abitudini, a un certo punto diventa irresistibile. La normalità è soffocazione: va forzata e vinta con un po' di eccezionalità. Anche lo stesso rischio, almeno di un margine di non programmato, acquista grosse importanze. E il rivoletto, sempre quello, del quotidiano, bisogna assolutamente che sfoci nel gran fiume, anche se è quello autostradale e si perda nel gran mare nonostante che sia quello di spiagge affollatissime.
In fondo la preziosità delle ferie più che in tutto, forse è nascosta in una vera e propria liberazione. La casa è una prigione, il lavoro un'oppressione, il quotidiano una schiavitù, le abitudini palle al piede... E forse anche sempre le solite, stessissime persone, diventano un peso, levano il fiato. Si restringono i margini della fantasia, si spengono le spinte all'inventività, svaniscono i motivi d'interesse. E tutto s'intristisce. Il cuore si raggrinza in malinconie senza fine e la stanchezza, strana, inspiegabile e irrimediabile, affligge fin nel profondo dell'anima.
Si esce fuori dal «buco» speranzosi per le ferie e vi si rientra convinti di essere diversi, certamente rinnovati e ravvivati.
Entra in gioco immediatamente, bastano pochi giorni, il problema della continuità della liberazione, la necessità di mantenersi assolutamente diversi.
E' chiaro che la realtà esterna, le condizioni di vita nelle quali ci troviamo, non possono cambiare. Difatti il ritorno dalle ferie si chiama con una brutta parola «il rientro». Il buco è lo stessissimo buco e forse ancora più fondo e chiuso, perché vivere, ad ogni giorno che passa, è più duro e pesante: la storia che viviamo non è avviata all'alleggerimento dei problemi, ma ad un appesantirsi pauroso. E lo stiamo sperimentando in questo inizio d'autunno. Basta pensare alla situazione drammatica della casa con la totale sparizione del rapporto di locazione che era l'affitto. La tragedia immediata e violenta dei licenziamenti, il dilagare della cassa integrazione, la crisi dell'industrializzazione, arrivata a livelli fallimentari. Il terrorismo, i sequestri di persona, l'inflazione, l'irresponsabilità di una politica che si ostina cecamente e assurdamente, a camminare sulle strade a senso unico del clientelismo e della burocrazia, puntando impudicamente, come sempre, al privilegio. Meno male che i giornali costano 400 lire e quindi viene da comprarne di meno, perché meno le cose si sanno e meno ci si pensa e quindi si sta più tranquilli. Più tranquilli anche perché quello che la televisione e la radio, portano nel buco, di quello che succede fuori, è poco più che qualche accenno e debitamente addomesticato a forza di pubblicità sempre più disumanizzante e di programmi fasulli. Verrebbe da pensare che la continuità della liberazione sia proporzionale alla crescita del fregarsene di tutto e di tutti. Che la tranquillità e la «pace» personale sia possibile soltanto se è fondata sulla pietra angolare dell'indifferenza. Che il qualunquismo, anche quello più pacchiano e stupido, sia la via larga sulla quale soltanto può correre indisturbata, a vetri rialzati e ben sigillati, la propria autosufficienza...
Questo convincimento che ormai non è mentalità ristretta a singoli casi, ma cultura generalizzata, stile normale di vita, tipo di convivenza a tutti i livelli, è l'insidia che sta avvelenando spaventosamente il nostro tempo. E' uno dei tanti inquinamenti che dilagano il corrompersi e il deteriorarsi dei valori umani, di cultura e di civiltà fino ai limiti della distruzione del vero valore di umanità.
Si tratta di un autentico impazzimento dell'idea di liberazione.
Perché è venuto il tempo e verrà sempre di più, nel quale la salvezza sarà a misura universale o sarà la perdizione. L'uno non conta più, si impone inevitabilmente la totalità. Perfino la sopravvivenza umana non è più sicurezza di un popolo o di un continente: o è a livelli mondiali o cammina tutta sull'orlo dell'abisso della distruzione.
Tutto quello che avviene in ogni angolo della terra, è avvenimento di quello che avverrà su tutta la terra.
La fame che imperversa su un terzo dell'umanità nessuno pensa che è minaccia per l'umanità intera, perché è dimostrazione e riprova dell'incapacità umana a vincere e dominare questo flagello: quindi tutta l'umanità ne sarà vinta, o prima o poi.
E' dimostrata ormai l'impossibilità di vanificare il potenziale degli armamenti e di quelli nucleari in particolare, anzi sempre più si fa strada il convincimento - autentica, criminale pazzia - che la pace è possibile soltanto proporzionalmente all'equilibrio del terrore. Bene, questa convinzione porterà inevitabilmente alla distruzione del mondo. E chi allora potrà salvarsi?
Così ogni problema - da quello dal moltiplicarsi delle dittature militari, a quello dell'industrializzazione, dello spompare le risorse naturali, dell'inquinamento galoppante, dell'assolutizzarsi ad ogni giorno che passa della ragione economica, del benessere a costo di tutto ecc. - ogni problema manifesta con estrema evidenza, l'assurdità, la vera e propria pazzia, del decidere di scegliere il particolare, il personale, il privato ecc. come realtà di valori nella quale operare o anche soltanto sperare, la propria liberazione.
Volere o no, la storia ha condannato il nostro tempo, al collettivo, al comunitario, all'universale. La terra su cui si poggiano i piedi non sono i dieci centimetri quadrati, ma tutto l'orbe terraqueo. L'aria che si respira è quella della fascia di ossigeno che racchiude la terra, sempre più ristretta dall'eccessività di ossido di carbonio.
E' proprio vero che il famoso «buco» nel quale si ravvoltola il nostro vivere quotidiano, è una prigione soffocante. E' vero che il bisogno di una liberazione è come la volontà di strapparci il cappio dal collo.
L'importante però è non sbagliare nell'identificare la vera liberazione. Perché l'errore potrebbe. essere come quello del pesce che incappato nei tramagli crede che il divino colarsi lo liberi. Oppure come per il baco da seta che pazientemente si costruisce il suo bozzolo d'oro per morirvi. Leggi di natura, d'accordo, ma per l'essere umano potrebbero essere leggi di natura, per esempio, la fraternità, la solidarietà, la libertà, la giustizia, l'uguaglianza ecc. e anche, perché no, la lotta, perché questi valori decisivi per la dignità umana, perché l'umanità non sia disumanità, siano affermati nella storia, diventino cioè la «storia».
Non è possibile concludere queste «divagazioni» del dopo ferie, al rientro nel proprio buco, senza un pensiero - ma è nostalgia profonda, misteriosa che sale su dai secoli - a Gesù Cristo, che questa dignità e libertà umana ha tanto sognato. E sono duemila anni e quanto mare di lacrime e di sangue ha affogato la terra e tutto pare che sia ancora e forse nemmeno, all'inizio. Perché?
in Lotta come Amore: LcA ottobre 1980, Ottobre 1980
Luigi Sonnenfeld
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