Lettere

Grazie anche a te
Ho ricevuto il bollettino Lotta Come Amore e vi scrivo per esprimere alcune riflessioni in riscontro a ciò che ho letto in esso.
A prescindere da una valutazione dell'aspetto economico, che non sono in grado di fare, ritengo che questo giornalino sia valido per il suo contenuto e valga perciò la pena continuare a pubblicarlo. Il motivo decisivo, in tal senso, è che chi lo scrive abbia realmente qualcosa da comunicare, come mi pare sia il vostro caso, di vissuto in prima persona, senza porsi troppo il problema della utilità, almeno immediata, verificabile. In fondo, si tratta di gettare e rigettare il seme, senza sapere se vi saranno frutti.
L'elemento positivo che trovo in ciò che scrivete è la capacità e la volontà di conciliare il radicamento nella realtà con l'utopia, cioè essere profondamente inseriti nel mondo con le sue contraddizioni e ambiguità, vivere il quotidiano nel suo grigiore e squallore e sapere, allo stesso tempo, vedere "altro e oltre" nel presente banale, continuare a credere nel sogno di un orizzonte più lontano, cercando di prefigurarlo già "qui e ora". Non so se questa vostra apertura ostinata al domani sia per istinto di autoconservazione o per una incrollabile fiducia che, nonostante tutto, merita proseguire nella lotta. Comunque, sentire ciò che dite fa bene, non sul piano del buon sentimento superficiale, ma in profondità, in questi tempi in cui si fa a gara nel "catastrofismo" a tutti i livelli; senza voler negare la tragicità dell'esistenza.
Tuttavia, per chiarezza, devo dire che non sono dalla vostra parte, rispetto ad un ideale confine tra vita e nulla: sono per e nel nulla e, ovviamente, non sono neppure credente. Questa condizione di nulla non è una scelta, compiuta magari per il gusto morboso del "negativo", ma è uno stato che ci si trova dentro, meglio la si scopre come la propria vera realtà interiore e solo allora la si assume su di sé, con il compito di viverla sino infondo in tutte le sue conseguenze.
Ad un certo momento, urge la necessità di fare silenzio, attenzione, per eliminare tutto il superfluo, la zavorra che ci soffoca, per essenzializzarci, ricercando il centro attorno cui ogni cosa deve ruotare, per toccare il fondo di noi stessi. E cosa si scopre? Un abisso che dà le vertigini: il centro non esiste. c'è solo il caos; il fondo è "senza fondo" e tutto risulta superfluo, lo stesso fatto di esistere! L'immagine più appropriata è quella del deserto di ghiaccio.
Allora, se non si vuole vivere ancora nella menzogna, o anche solo nell'illusione, bisogna riconoscere che la propria verità interiore è il vuoto totale: situazione descritta con precisione nella "lettera" dell'ultimo bollettino. Non si può neanche dire d'aver perso una fede, ma solo di averla cercata invano e che il proprio sforzo di dare consistenza e fondamento all'esistenza non è approdato a niente: si è chiesto pane e si sono avute pietre, cioè menzogna.
Credo di appartenere ad una generazione di nichilisti totali, non credenti integrali, che non hanno il "cielo" (la fede in Dio), ma neppure la "terra" (la fede nell'uomo, nel suo valore). Allora, occorre prendere' coscienza di tale nichilismo, spesso inconscio, e fare "terra bruciata" dentro e fuori di noi: non per un gusto macabro della distruzione e dell'autodistruzione (benché ci sia anche questo), ma per l'assoluta impossibilità di credere. Nel vuoto non si edifica e l'auto fondazione alla lunga non regge. Assumere e vivere questo vuoto equivale ad affermare l'unica verità, per quanto amara, desolante essa sia, e ogni ricerca di senso è un ostinato tentativo di darsi una "menzogna vita-le", anche banale, per rimanere in piedi. Tale ostinazione è una sorta di "volontarismo antologico": una volontà che la vita continui ad essere a tutti i costi, che a volte avverto pure in ciò che scrivete, eppure, benché accetti lucidamente questa situazione, ripeto che sentire le vostre parole fa bene! Pur essendo estranea alla vostra proposta, specie nella sua dimensione cristiana (ho sperimentato sulla mia pelle che la "Parola" è più menzogna di tante parole, che vogliono essere solo umane), intravedo in essa ciò che avrebbe potuto essere, una possibilità di vita per chi ne ha ancora voglia. Sapendo cosa significa, non ritengo giusto togliere agli altri la loro ragione di fondo e a chi è disposto a giocarsi su un'utopia, voi potete dare qualcosa. lo ho solo la mia miseria, la mia umanità lacerata, di-strutta, che non ha nulla da offrire:può solo ferire, produrre macerie. L'annientamento si ha diritto di esercitarlo solamente su di sé.
Di fronte alla vostra "utopia", mi trovo come un bambino, che, dopo aver intensamente amato i suoi sogni, scopre che il mondo reale è lo totale negazione di quei sogni, i quali sono ora per lui inaccessibili, una porta sprangata; il bambino sa, e io con lui, che quel mondo è la sua strada e la percorre, ma il suo cuore è rimasto e rimarrà sempre presso quella porta chiusa, benché sappia che non busserà mai, perché non si torna indietro, e camminerà nel mondo estraneo a tutti e a tutto, con una struggente nostalgia per ciò che ha perso, con una ferita eternamente sanguinante. A ciò si aggiunge, oggi, l'aggravante che per molti non c'è neppure il rimpianto per il tesoro perso, mai posseduto, ma solo bramato, ricercato invano.
Le mie sono risposte assolutamente negative, ma se la vita ha un senso e vale viverla, allora, per uscire dalla palude, non basterà il "sano realismo": occorrerà un immane sforzo per ripristinare il legame con la fonte della vita, comunque si concepisca tale fonte. Si richiederà creatività, fede incrollabile, temprata sulle prove del deserto, coraggio di sognare e vivere l'utopia sognata di fronte a tutta la ragionevolezza del mondo, affinché il possibile e l'impossibile si facciano reali.
Soprattutto, dovrà nascere nel cuore dell'uomo un fuoco inestinguibile, che scuota, incalzi, non dia tregua: la fede in un "amore lontano", che attende con trepidazione e nel quale l'uomo potrà riposare e trovare finalmente pace.
Può nascere tutto ciò? lo penso di no, ma se è possibile, anche voi potete fare qualcosa con la vostra testimonianza. E allora, per quanto contraddittorio possa apparire: GRAZIE!
Con stima e simpatia, cordiali saluti.


La Preghiera
Castelgandolfo, 25 aprile 1980
In varie occasioni lungo questi anni di lavoro operaio discutendo con i compagni di lavoro mi è stata posta una domanda precisa: «Ma tu preghi ancora?», «Che vuol dire per te pregare?».
Questa domanda semplice e puntuale mi ha accompagnato giorno dopo giorno nella mia ricerca di preghiera anche per poterne parlare con quanti mi chiedevano.
E' certamente una domanda poco filosofica e intellettuale, ma senza altro molto teologica e pratica. Una domanda che nasce dal fallimento di certe risposte date con formule preconfezionate, buone per ogni stagione e ogni età; spesso separate nettamente dal quotidiano di ogni uomo e da un riferimento diretto alla costruzione del Regno di Dio.
Una domanda che viene posta perché si constata che forse c'è ancora spazio nella vita di alcuni uomini per l'Assoluto, il Gratuito, cosi come il Cristo ha annunciato il volto paterno di Dio. E' una domanda che nasce dalla constatazione che qualcuno prega, non dice solo formule di preghiera, ma si ferma in preghiera e avvolge in questo atteggiamento di fondo tutta la propria vita a partire dal quotidiano.
Mi sembra pertanto che simile domanda sia motivata e articolata, espressione di una autentica ricerca.
Non penso che sia possibile dire che cosa è per me la preghiera, quanto invece descriverne la prima influenza nella mia vita.
In primo luogo è accoglienza gioiosa dell'amore che Dio ha per me, per tutti gli uomini, per ciascuno uomo. Disponibilità quindi ad essere amato, a gioire, a ringraziare!
Accoglienza non di qualcosa, ma di qualcuno che dà gioia e orienta la tua vita.
Tale atteggiamento non è di qualche momento di preghiera, ma entra sempre più in tutti i momenti della giornata, nella lotta, sul lavoro, nelle sconfitte, nel giornaliero, ecc.
E' così che la mia vita si trasforma in ricerca dell'incontro con Dio, costruito in una accoglienza quotidiana dei fratelli, degli ultimi, di me stesso, della creazione...
In tale accoglienza viene costruita lentamente ma costantemente una Comunione sempre più completa e totalmente umana, una Comunione gratuita a imitazione di quella che il Padre ci ha offerto nel suo figlio Gesù.
Baldassarre



in Lotta come Amore: LcA giugno 1980, Giugno 1980

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