Cari amici,
queste paginette vi arrivano nell'anno 80 ma vorrebbero essere le ultime dell'anno scorso. La puntualità spesso non è possibile e per diversi motivi. A volte manca letteralmente il tempo e anche le forze. dopo una giornata di lavoro in officina, si ritrovano alquanto ridotte e dal martello alla penna, non sempre il passaggio è agevole e possibile. E i sabati e le domeniche troppo spesso ormai rimangono giorni risucchiati da incontri, manifestazioni, impegni di partecipazione e di lotta, nella realtà del momento di storia che attraversiamo. Sappiamo bene che tutto può essere inutilità, tempo e forze buttate al vento, ma pensiamo che non sia onesto rifugiarci nell'indifferenza, ripiegare elegantemente nel personale, indurendo il cuore e l'anima nella difesa e nell'affermazione del privato. Una volta si diceva ed era affermazione coraggiosa, avanzatissima, che tutto era politica, compreso il soffiarsi il naso. Attualmente forse è più giusto dire che tutto ormai è pazzia, il problema non sta più fra pazzia e saggezza, ma soltanto quale pazzia, quale tipo o realtà di pazzia, scegliere per affrontare il vivere, la realtà del quotidiano e tanto più un progetto nel quale giocare la propria vita e il rapporto d'esistenza con il mondo nel quale stiamo vivendo.
Perché ad una logica di cultura, di civiltà, di religione, di morale, di politica ecc. così come normalmente s'intendeva ai bei tempi dei sillogismi e cioè dei filosofi, teologi, pensatori e così via, è semplicemente ridicolo il rifarsi e riferirsi. Tutto si è andato logorando come vestito vecchio e improvvisamente ci siamo trovati fra mano degli stracci. I tentativi di ricucitura e di rammendo non sono serviti ad altro che a dimostrare l'assoluta inservibilità. In fondo la logica economica del consumismo è venuta applicandosi anche alla cultura, ai valori di rapporto, alla mentalità e alla realtà di vita individuale e collettiva. Prendere e gettare via non è più nemmeno una novità. La novità semmai sta tutta nello scoprire una spaventosa realtà di vuoto, di senso dell'inutile, del non sapere a che santo rifarsi per trovare un motivo d'interesse, una ragione di vita.
Perché è assai faticoso vivere senza sapere perché. Ma non il perché filosofico o teologico, roba ormai da raffinati fuori tempo. Il perché pratico che comporti il coraggio di tirare avanti il quotidiano, la normalità della vita e quindi la sua sterminata monotonia, senza una precisa convinzione e cioè senza entusiasmo, dato che il senso del dovere nei confronti della vita è un non senso.
Il vuoto del motivo interiore, del convincimento personale, è irrimediabile. E' decisamente senza sostituzione. L'universo non basta a riempire il vuoto di cuore. E il sole in mano non serve a far vedere un cieco. Già Gesù. e la sua Parola è tanto più per il nostro tempo, diceva che non valeva nulla per l'uomo guadagnare e possedere il mondo intero se nel frattempo perdeva l'anima sua. E anima è anche l'intima ragione, motivazione del proprio vivere, è il se stesso più profondo, essenzializzato, l'insostituibile nascosto nel midollo dell'esistenza.
Avvicinare persone, parlare e spesso è più che sufficiente l'intuizione, quell'impressione a seguito della quale ci accorgiamo di comunicare sull'orlo dell'abisso, non è più comunicare, offrire e accogliere, è guardare nel vuoto, stringere la mano a fantasmi, è precipitare. Tant'è vero che spesso viene istintivamente da cercare di aggrapparsi a qualcosa, da precisare immediatamente un qualche motivo capace di reggere, nonostante tutto.
Una volta, ma sono due, cinque anni, situazioni difficili, momenti di difficoltà, si chiamavano col dolcissimo nome di crisi, una musica di speranza e di poesia come un uccello che canta solitario sul ramo dell'albero o sui tegoli del tetto. Ora è il niente, il vuoto, l'irrimediabile, la fine. Chiuso per lutto.
Pessimismo? Sarebbe sempre una gran cosa. E' molto peggio, perché è assenza di volontà di lotta. E' passività, resa senza condizioni. A volte viene l'impressione che non rimanga altro da fare che assistere allo spettacolo. Soffrendo l'angoscia di non poter muovere nemmeno un dito: perché fare qualcosa è rischiare il ridicolo, esattamente come tentare di fare qualcosa davanti ad uno spettacolo.
Queste riflessioni puoi, caro amico, giudicarle racconto eccessivo, ma tu sai che ogni affermazione potrebbe essere comprovata da citazioni di cronaca quotidiana. Con pezzi di giornale, ma forse sarebbe meglio dire con giornali, riviste e libri interi, dalla prima all'ultima pagina. E con nomi e nomi, come sull'elenco telefonico.
Oppure basterebbe mettere un po' più di attenzione alle conversazioni, parlare con più Amore con coloro con i quali si parla e cercare di ascoltare un po' di più e a cuore aperto, chi ha voglia di parlare e anche chi non ne ha voglia perché non crede più alla parola e tanto meno all'amicizia.
Verrebbe da pensare che alla base di tanta violenza ci sia questa conflittualità cioè impossibilità di rapporti e quindi ricerca di soluzione nel non parlare più, nemmeno con se stesso, se non attraverso l'evasione, lo sfuggirsi e il distruggersi o comunicare con gli altri, con l'esistenza, non parlando ma sparando. Non si vede come sia possibile sorprendersi che le parole, in questo nostro tempo, siano diventate droga o proiettili. Quando l'uso comune della parola, sia pure metaforicamente, ma fino ad un certo punto, è per drogare e sopraffare il prossimo, è per la menzogna e lo sfruttamento e l'oppressione.
D'altra parte la conflittualità spicciola e la violenza quotidiana, non è possibile giudicarla se non come normalità di rapporti, quando è realtà storica mondiale.
La pace e la sopravvivenza del mondo riposa nell'armamento nucleare e sull'equilibrio degli interessi dei due imperialismi. Questa realtà di conflitto sbriciola, psicologicamente e concretamente, la spaventosa ostilità fino alla rivoltella nelle tasche della gente e nella diffidenza tra persona e persona. E in maniera irrimediabile, perché mai, come forse nel nostro tempo è successo - ma succederà sempre più - che l'universale determini, costruisca il particolare, che quello che succede dentro le pareti di casa o ciò che avviene fra due persone sia segno, immagine e realtà di quello che avviene a livelli mondiali. Perché il privato. il personale non può esistere più: anche quando ci sembra di no o cerchiamo che non succeda, siamo immagine e somiglianza di questo mondo.
Forse perché e non può non venirmi in mente, ci siamo cancellati un po' troppo di sulla fronte e dall'anima, l'immagine e somiglianza di Dio.
Rimane la pazzia di tentare una liberazione e cioè una diversificazione che non vuol dire. Evidentemente, estraniarsi, disincarnarsi, astoricizzarsi. Anzi, tutt'altro.
Non siamo diversi quando non si battono le mani quando tutti applaudono. né quando non si fischia quando tutti fischiano. Siamo diversi quando non si va a teatro, si rifiuta di guardare il mondo come uno spettacolo, ma si diventa in un modo o in un altro, spettacolo noi stessi per il tentativo onesto di rappresentare qualcosa. Qualunque cosa, purché sia senza trucchi, travestimenti, canovacci imparati a memoria. Qualunque cosa pur di non fare teatro, cinema, giocare con le ombre e con le controfigure.
So bene che cercare la propria identità, è fare opera di autentica stranezza, come tentare di volare agitando le braccia. Pensare di averla trovata e crederci e costruirvi sopra la propria casa, è roba da pazzi. Ma ormai il bivio, il crocevia della storia, non permette altre soluzioni. O la pazzia della creatività. ricercata dal profondo della propria immaginazione e rafforzata da un coraggio inesauribile (va bene anche il coraggio che non si ha) o la strada asfaltata, l'autostrada della razionalità, dell'allineamento, dell'andare avanti a corpo morto portato verso il gran mare del fiume del nostro tempo. Penso che la passività sia il più grosso peccato contro se stessi, è la non accettazione del rischio, della fatica e della meravigliosità dell'essere vivi. E' impoverimento di vita e quindi pesante responsabilità verso gli altri, verso la storia.
La creatività è il riconoscersi creature di Dio e accettare e dare respiro a quella presenza di volontà creativa che Dio ha nascosto in ciascun essere vivente. In noi esseri umani la particolarità è la coscienza di questa potenza creativa e l'invito al suo completamento (perfezionamento): la vita ci è stata donata per essere creata da ciascuno di noi.
La Fede cristiana ne dà di questo Mistero un'indicazione adorabile e un racconto storico in Gesù Cristo: Lui che crediamo vero Dio e vero Uomo in unica Persona.
Cari amici. pensieri di fine d'anno. ma non sono di stanchezza e tanto meno di paura: forse esprimono uno stato d'animo di trepidazione per le sorti del mondo, per la possibilità ormai nelle mani di uomini della cancellazione del futuro, per un cambiamento di rotta storica che costi prezzi spaventosi, per un intristimento, ancora più banalizzato, disumanizzato, del vivere quotidiano.
So bene che la nostra, la mia proposta è goccia d'acqua nel deserto di sabbia o è tentare di prosciugare l'oceano col cavo della mano: ma che sia proposta di chi vive ormai da molti anni può essere riprova e argomento, che è valore capace di reggere anche sulla distanza...
Con gli auguri di ogni bene.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA gennaio 1980, Gennaio 1980
Luigi Sonnenfeld
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